È in vigore, dopo un’attesa durata 20 anni, la Legge che ha introdotto nel Codice Penale uno specifico Titolo dedicato ai reati ambientali.
Solo la sua effettiva applicazione darà le risposte alle perplessità sollevate sulla formulazione lessicale del testo.
Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 122 del 28 maggio 2015, è in vigore la Legge n. 68 del 22 maggio 2015 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” che introduce uno specifico Titolo VI-bis nel Codice Penale per i reati ambientali, laddove precedentemente erano previsti con carattere prevalente di semplici contravvenzioni nel D.Lgs. n. 157/2006 (il cosiddetto Testo Unico Ambientale).
Promulgata con un ritardo di 20 anni rispetto alla prima proposta presentata in Parlamento, è Legge la persecuzione penale degli “Ecoreati”.
Nonostante la Legge sia stata approvata definitivamente in Senato il 19 maggio 2015, con 170 voti a favore, 20 contrari e 21 astensioni, non sono mancate le polemiche che si sono incentrate sulla formulazione del testo che, a parere dei critici, conterrebbe termini ambigui o indeterminati, in grado di ridurre i margini di applicazione rispetto alle previsioni e agli obiettivi posti.
In particolare, oggetto della querelle è stato l’avverbio “abusivamente” introdotto per sanzionare con la reclusione il delitto di:
– “Inquinamento ambientale” (Art. 452-bis) inteso come “una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili dello stato preesistente:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna (primo comma).
Il secondo comma dell’art. 452-bis, c.p. prevede un’ipotesi aggravata quando il delitto sia commesso in un’area naturale protetta o sottoposta a specifici vincoli, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette” punito con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 10.000 a 100.000 euro.
Ove gli eventi lesivi derivati dal reato siano plurimi e a carico di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave aumentata fino al triplo, fermo restando tuttavia il limite di 20 anni di reclusione.
– “Disastro ambientale” (art. 452-quater), inteso come:
“un’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; un’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; l’offesa all’incolumità pubblica con riferimento sia alla rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi, sia al numero delle persone offese o esposte a pericolo” e punito con la reclusione da 5 a 15 anni.
– “Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività” (Art. 452-sexies) reato previsto per “chi cede, acquista, riceve, trasporta, importa, esporta, procura ad altri, detiene, trasferisce, abbandona materiale ad alta radioattività” e punito con la reclusione da 2 a 6 anni e una multa da 10.000 a 50.000 euro.
A dare il via alle critiche sulla Rivista on line LexAmbiente.it, era stato il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Civitavecchia Gianfranco Amendola, uno dei padri del Diritto ambientale in Italia,) che aveva stigmatizzato l’introduzione dell’avverbio, che, al contrario degli annunci fatti, darebbe una “mano libera all’industria che inquina” e il cui obiettivo è di “evitare” l’intervento di “giudici troppo zelanti”, chiarendo poi in una successiva intervista ad Affaritaliani.it “Che significa quell’ ‘abusivamente’? Che basta che ci sia un’autorizzazione affinché il reato non può essere imputato a chi commette un disastro ambientale? Se è per questo anche Ilva ed Eternit avevano, e hanno, autorizzazione a produrre. C’è anche un’altra anomalia, perché intanto il disastro generico resta ed è senza “abusivamente”, aprendo la possibilità a problemi di interpretazione e di utilizzo degli strumenti giuridici. Il senso di tutto mi pare che sia la volontà di lasciare mano libera alle industrie che devono essere libere di fare ciò che vogliono senza che i magistrati possano intervenire”.
Tra le tante voci in disaccordo con questa interpretazione, per rimanere su un “piano” giuridico, quella del Sostituto procuratore di Nola, Maria Cristina Amoroso che in una recente intervista de “Il Sole 24 Ore” alla affermazione “Molto si è discusso di quell’avverbio ‘abusivamente’ che potrebbe depotenziare in maniera determinante le nuove fattispecie”, ha dichiarato: “Non sono d’accordo. Ci leggo, invece, l’intenzione opposta: non tanto quella di limitare l’incisività della riforma, quanto piuttosto quella di estendere l’area della punibilità a condotte che magari non sono in violazione di un’espressa disposizione normativa. Anche per quanto riguarda l’inquinamento e il disastro colposi, dove potrebbero verificarsi i maggiori problemi, credo che la legge andrà interpretata in maniera coerente e uniforme”.
Altro motivo che solleva discussioni sono le pene che, in assenza di dolo, nel caso di “ravvedimento operoso” comportano per il reato di disastro ambientale un massimo di 5 anni, meno di quel che è previsto per reati dalle conseguenze sociali e sanitarie meno gravi delle fattispecie.
La risposta sull’efficacia della nuova Legge, al di là del suo significativo valore “simbolico”, potrà avvenire solo dopo la sua effettiva applicazione.
Gli altri “ecoreati” previsti dalla nuova Legge sono:
– “Impedimento del controllo” (Art. 452 – septies) inteso come “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, negando l’accesso, predisponendo ostacoli o mutando artificiosamente lo stato dei luoghi, impedisce, intralcia o elude l’attività di vigilanza e controllo ambientali e di sicurezza e igiene del lavoro, ovvero ne compromette gli esiti” è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
– “Omessa bonifica” (Art. 452 – terdecies), inteso come reato commesso da “chiunque non provveda alla bonifica, al ripristino e al recupero dello stato dei luoghi, pur essendone obbligato direttamente dalla legge, da un ordine del giudice o da una autorità pubblica”, per cui è prevista la reclusione da 1 a 4 anni e una multa da 20.000 a 80.000 euro.