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Australia: missione Grande barriera corallina. Il governo ha varato un piano

Australia missione grande barriera corallina

La Grande barriera corallina australiana sta scomparendo. Per questo il governo ha varato un piano per salvarla, ma il progetto non è piaciuto ai gruppi ambientalisti, così cinque Università marine hanno presentato all’Unesco un rapporto alternativo, chiedendo di fermare l’espansione delle miniere di carbone e delle strutture portuali.

Si estende per 2300 chilometri al largo della costa nordest del continente australiano ed è patrimonio mondiale Unesco, ma la Grande barriera corallina è in preoccupante declino e rischia di scomparire per una combinazione allarmante di concause, a cominciare da cambiamenti climatici, pesca fuori controllo, sfruttamento dei fondali e inquinamento.

Per questo il governo federale australiano e quello statale del Queensland hanno diffuso l’atteso piano di sostenibilità a lungo termine denominato “Reef 2050” con l’obiettivo di rispondere alle raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Comitato Unesco per il patrimonio mondiale, i quali da tempo esprimono preoccupazione per il critico stato di salute dell’area causato dalle pressioni antropogeniche, e proprio per questo alla riunione di giugno-luglio prevista a Bonn decideranno se includere la Barriera nella “lista nera” dei siti in pericolo.

Il piano per proteggere il reef realizzato dai due governi, però, non ha incontrato i favori dei gruppi ambientalisti che si sono ritrovati uniti nel criticarlo come assolutamente inefficace. Tanto che, un team di scienziati marini di cinque Università, spalleggiati dall’Accademia australiana delle Scienze, ha presentato all’Unesco un rapporto alternativo, che prevede un sistema di monitoraggio e di sviluppo per risanare la caratteristica vegetazione marina con l’obiettivo principale di fermare l’espansione delle miniere di carbone e delle strutture portuali.

Quindi, da una parte c’è il primo ministro conservatore Tony Abbott che descrive il piano “ufficiale” come una valutazione comprensiva e strategica per proteggere la Barriera, e una prova eclatante che il governo è totalmente impegnato a preservarla. A dargli man forte anche il ministro dell’Ambiente Greg Hunt che ha dichiarato recentemente: “Il piano è stato concepito con la preoccupazione di trovare un equilibrio fra la protezione dei coralli e uno sviluppo durevole. I rifiuti provenienti dal dragaggio dei fondali per l’espansione di uno dei più grandi porti di carbone al mondo, ad Abbott Point, verranno smaltiti a terra anziché all’interno del parco marino della Barriera. Inoltre, esso presenta obiettivi per migliorare la qualità dell’acqua riducendo gli scarichi agricoli e offre norme di protezione della vegetazione e dei fiumi presso la costa”.

Dall’altra parte, invece, c’è il monito dall’Accademia australiana delle Scienze e delle cinque Università marine che ritengono il piano governativo inefficace perché non contrasta la causa principale del problema: il cambiamento climatico.

La strategia intrapresa è insufficiente per conseguire l’obiettivo prefisso di ripristinare e salvaguardare la barriera corallina – hanno messo in guardia gli scienziati – Nonostante un recente studio abbia dimostrato che il cambiamento climatico sia il principale responsabile del suo declino, nel piano per tutelarla non sono previste misure adeguate per contenere e ridurre le emissioni di gas inquinanti”. Secondo l’Accademia il piano presenta altre carenze, tra cui l’assenza di programmi specifici per affrontare adeguatamente questioni come la cattiva qualità dell’acqua, lo sviluppo costiero e la pesca illegale.

L’Australia è il principale venditore di carbone al mondo, e porti come Abbot Point, vicino alla città di Bowen, nel Queensland, sono in fase di espansione per consentire maggiori esportazioni di combustibili fossili – ha dichiarato il professor Terry Hughes, direttore del Centro di Ricerca australiano sulla Barriera Corallina – È evidente che non è possibile mantenere la barriera in buone condizioni se si ha intenzione di sviluppare l’industria del carbone. Abbiamo bisogno di emanciparci gradualmente dai combustibili fossili ben prima del 2050, ma l’obiettivo di riduzione delle emissioni in Australia è molto debole rispetto agli standard internazionali. Il nostro Paese, infatti, vive un conflitto di interessi profondo: da un lato deve proteggere uno degli ecosistemi più belli e preziosi del mondo, dall’altro deve gestire la sua enorme riserva di carbone”.

Oltre che dal riscaldamento globale, la barriera corallina è minacciata dall’inquinamento provocato dall’agricoltura, dai cicloni e dall’invasione di una specie di stella marina che si nutre dei coralli. Ad oggi ha perso circa metà della sua copertura di corallo. E sono fortemente a rischio estinzione anche le 1.500 specie di pesci, tartarughe e 4.000 varietà di molluschi che ci vivono.

Il piano del governo australiano – conclude Hughes – si prefigge di ridurre del 50% l’azoto e del 60% i pesticidi che terminano nel reef entro il 2018. C’è anche l’intenzione di proteggere i dugonghi e le tartarughe marine. Tuttavia, i fondi stanziati per il raggiungimento di questi obiettivi non sono sufficienti. In poche parole, tutto sembra troppo concentrato sull’obiettivo di rispondere a breve termine alle preoccupazioni dell’Unesco, piuttosto che sulla sfida a lungo termine del ripristino concreto della barriera”.

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1 commento

Giuseppe Chitarra 23 Aprile 2022 at 07:35

con la tecnologia è oggi possibile intervenire, per ridurre e curare i danni ambientali prodotti dall’uso sconsiderato dell’ambiente stesso,sono titolare di una PMI INNOVATIVA e credo di poter intervenire costruttivamente nella riparazione dei danni sulla barriera corallina, vorrei avere dei contatti con gli istituti di ricerca che lavorano al recupero di questi ambienti in pericolo, per esaminare soluzioni semplici, economiche, durature.

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