Biodiversità e conservazione Flora

Foreste: il 23% ha ridotto la capacità di resilienza

Un gruppo di ricercatori coordinati dal Centro Comune di Ricerca (JRC) ha scoperto che più della metà delle foreste nelle regioni aride, tropicali e temperate, dove si trova la maggior parte delle foreste intatte, ha mostrato una significativa diminuzione della resilienza nel corso degli ultimi due decenni. Al contrario, le foreste boreali che circondano le latitudini settentrionali del globo hanno visto un aumento della capacità di riprendersi dalle perturbazioni naturali ed antropiche.

Un quarto delle foreste che coprono la superficie terrestre, sono a rischio: non reggono alla sfida del clima.

È quanto rileva lo Studio Emerging signals of declining forest resilience under climate change”, pubblicato il 13 luglio 2022 su Nature e condotto da un gruppo di ricercatori del Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione UE.

Gli ecosistemi forestali assolvono il ruolo determinante nel ciclo globale del carbonio e nella mitigazione dei cambiamenti climatici, come anche nella protezione del suolo dall’erosione e nel sostegno alla biodiversità.

L’evidenza sperimentale dell’aumento improvviso della mortalità degli alberi sta sollevando preoccupazioni sulla loro resilienza, ovvero la capacità di resistere e riprendersi dalle perturbazioni naturali e antropiche, ma poco si sa su come si stia evolvendo in risposta ai cambiamenti climatici.

I ricercatori hanno valutato i cambiamenti di resilienza delle foreste nel periodo 2000–2020, integrando i dati delle immagini satellitari con l’apprendimento automatico, dimostrando come nel periodo esaminato la resilienza delle foreste sia diminuita.

Sia le foreste tropicali, che quelle aride e temperate evidenziano un calo significativo della resilienza, probabilmente correlato alla diminuita disponibilità di acqua e alla variabilità climatica. Al contrario, le foreste boreali mostrano modelli locali divergenti con una tendenza media all’aumento della resilienza, probabilmente beneficiando dell’aumento delle temperature e della fertilizzazione con CO2, che potrebbero permettere di superare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. Secondo, i ricercatori, tali modelli emergono in modo coerente sia nelle foreste gestite che in quelle intatte, corroborando l’esistenza di fattori climatici comuni su larga scala

Il nostro studio non permette di capire quali possono essere le strategie forestali migliori, ma ritengo ci siano due priorità in questo ambito – ha dichiarato all’ANSA Giovanni Forzieri, attualmente all’Università di Firenze, che ha guidato lo studio – La prima è lo sviluppo di metodologie per testare le varie strategie e capire quali siano quelle più efficaci, e la seconda è la messa a punto di un sistema di monitoraggio per evidenziare le aree di intervento prioritarie e agire in modo preventivo. Da questo punto di vista, la nostra ricerca costituisce un primo passo“.

La ridotta capacità di resilienza è statisticamente legata a bruschi cali della produttività primaria delle foreste, che si verificano in risposta al lento spostamento verso una soglia critica. Circa il 23% delle foreste intatte e indisturbate avrebbe già raggiunto una soglia critica e starebbe subendo un’ulteriore riduzione di resilienza. Insieme, questi segnali rivelano un diffuso calo della capacità delle foreste di resistere alle perturbazioni di cui si dovrebbe tenere conto nella progettazione di piani di mitigazione e adattamento, in grado di superare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici. 

I risultati dei ricercatori di Ispra (VA) sono coerenti con uno Studio dello scorso anno che correlava la morte degli alberi in Europa all’aumento di aridità dei suoli e con gli avvertimenti che la foresta pluviale amazzonica si sta avvicinando a un punto di non ritorno.

In copertina: Mortalità degli alberi nelle Alpi italiane causata da tempeste di vento e infestazioni da scolitidi (Foto di Alessandro Cesatti)

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