Sostenibilità

Il “fardello” ecologico del mercato italiano: andare verso modelli sostenibili

Il fardello ecologico del mercato italiano andare verso modelli sostenibili

Istituzioni, consumatori e imprese debbono condurre i mercati a modelli meno insostenibili.

Il 23 febbraio 2012 è stato presentato lo Studio “Market Transformation. Sostenibilità e Mercati delle risorse primarie”, realizzato dal WWF e dal Sustainable Europe Research Institute (SERI), con il supporto di UniCredit che ha avviato un percorso sul tema della sostenibilità ambientale anche attraverso l’integrazione della valutazione dei rischi ambientali nelle proprie politiche di credito. 

La Ricerca si inserisce nell’ambito del programma internazionale “WWF Market Transformation”, in vista della Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile RIO + 20, che mira a ridurre l’impronta ecologica, reindirizzando i modelli di approvvigionamento delle risorse e contribuendo alla creazione di una domanda e offerta di prodotti con minor impatto ambientale.
“La Market Transformation Initiative opera con i protagonisti del mercato per ridurre l’impatto della produzione globale sulle risorse naturali, prioritarie tanto per la salute del pianeta quanto per la nostra economia. Produrre con meno risorse, ridurre gli sprechi, seguire certificazioni e standard di sostenibilità sono tra le più importanti strade percorribili – ha detto Helen Von Hoeven, Direttore della Market Transformation Initiative WWF International – Oggi esiste un mercato per chi produce secondo standard migliori, e il rispetto per l’ambiente e le società umane può trasformarsi in un’opportunità concreta, in grado di coinvolgere i consumatori e gli altri attori del mercato in una svolta responsabile di cui non possiamo più fare a meno”.

Partendo dal quadro dell’uso delle risorse naturali e della pressione esercitata dai mercati globali, lo Studio si focalizza sull’analisi di 4 “commodities” prioritarie in quanto collegate a settori strategici per il mercato italiano (alimentare, tessile, cartario) il cui prelievo in natura e relativa filiera produttiva hanno un forte impatto sull’ambiente: caffè (470 mila tonnellate in un anno), carta e pasta di carta (7,6 milioni tonn.), cotone (670 mila tonn.) e olio di palma (720 mila tonn.).
Il “fardello” ecologico che tali importazioni trascinano con sé è pesante: quasi 8 miliardi di m3 di acqua utilizzati; oltre 34 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti emesse in atmosfera; 8,5 milioni di ettari di terra sottratti ad agricoltura e biodiversità; più di 20 milioni di tonnellate di materiali “biotici” (ovvero la biomassa coltivata) prelevati dagli ecosistemi; 38 milioni di tonnellate di materiali erosi “abiotici” (come sedimenti, rocce, minerali).
“Le quattro commodities analizzate sono responsabili di mezza tonnellata di risorse prelevate ogni anno da qualche parte nel mondo per ogni cittadino italiano – ha detto Fritz Hinterberger, Presidente del SERI – Apprezzo l’impegno del WWF e delle imprese coinvolte per affrontare questa responsabilità e ci aspettiamo misure concrete per ridurre questi fardelli ecologici’ fino a un decimo dei valori attuali entro pochi decenni. Studi internazionali dimostrano che questo è possibile senza compromettere né il benessere degli italiani né la competitività delle imprese italiane. E la sostenibilità è sempre più riconosciuta come un vantaggio non solo ambientale e sociale, ma anche economico”.

Secondo il Rapporto WWF-SERI, dal 1980 al 2007 l’estrazione di risorse vergini a livello globale è passata da 15 miliardi di tonnellate a oltre 20 miliardi tonnellate annue con 35 aree prioritarie per la tutela della biodiversità, individuate dal WWF, minacciate progressivamente da attività produttive, quali allevamenti e colture estensive, sovrasfruttamento degli stock ittici e acquacoltura.

Caffè. Sono state pari a circa 470 mila tonnellate nel solo 2008 le importazioni italiane, che gravano sull’ambiente con 1.400 milioni di m3 di acqua, circa 4 milioni di tonnellate di CO2-equivalenti, 1,6 milioni di ettari l’anno, 700 mila tonnellate di materiali biotici e 6,5 milioni di tonnellate di materiali abiotici. In generale, per produrre un chilo di caffè sono necessari 12-14 m2 di terra arabile, mentre sono circa 10 milioni gli ettari di terra destinati globalmente alla coltivazione del caffè. Le importazioni italiane di caffè in forma grezza, torrefatta o decaffeinata sono cresciute del 130% dal 2000 a oggi e provengono (vedi cartina) soprattutto da Brasile (33%), Vietnam (16%) e India (10%). Nello stesso periodo invece le esportazioni sono aumentate del 195%. 
La produzione mondiale invece ammonta a oltre 7,5 milioni di tonnellate ed è aumentata dell’8% dal 2004 al 2009. Tra i principali danni ambientali e sociali ci sono: il taglio delle foreste pluviali; il rischio d’estinzione per il rinoceronte di Sumatra, l’elefante indiano e la tigre di Sumatra. Le aree più colpite sono: Amazzonia, Choco-Darien (Sud-America), laghi africani del Rift, Sumatra, Borneo e Nuova Guinea, Ghati Occidentali (India) e area del grande Mekong. In particolare nell’Isola di Sumatra l’area ricoperta da foreste è passata dal 60%, nel 1960, ad appena il 10% nel 2010.

Carta. Sui banchi di scuola o sulle scrivanie in ufficio approda ogni giorno, sotto un’altra veste, il nostro ‘fardello’ quotidiano ‘nascosto’ in quaderni, libri, block notes ecc. Lo stesso vale per carta per usi igienico-sanitari, imballaggi di numerosi prodotti, giornali ecc. Alle importazioni italiane di carta e pasta-carta, infatti, (circa 7,6 milioni di tonnellate) è riconducibile l’utilizzo di 900 milioni di metri cubi d’acqua, l’emissione di 8,5 milioni di tonnellate di gas serra (CO2- equivalente), 5,8 milioni di ettari di terra l’anno, 16 milioni di materiali biotici e 17 milioni di materiali abiotici. Questa risorsa arriva in Italia (vedi cartina) soprattutto da Germania (19%), Svezia (14%), Francia (10%), USA (8%), Austria (7%), Brasile (6%), Spagna (5%). I principali problemi ambientali e sociali sono: deforestazione e trasformazione delle foreste, taglio illegale, conflitti sociali, minaccia degli habitat naturali, violazione dei diritti umani e distruzione delle foreste protette. Le aree prioritarie più colpite sono: Amazzonia, foresta Atlantica brasiliana, Cerrado/Pantanal, Borneo, foreste Valdiviane, Altai Sayan, Amur Heilong, Sumatra, area del Mekong, fiumi degli USA sud-orientali. Circa la metà del legno tagliato sul pianeta per usi commerciali è usato per produrre carta, che “occupa” 130 milioni di ettari di terra e solo il 10% della popolazione mondiale (Europei e Nord Americani) consuma circa la metà dei prodotti. Nel 2009 la produzione mondiale di carta e cartone è stata di 377 milioni di tonnellate.

Cotone. Il “fardello” ecologico che portano con sé le importazioni italiane di cotone (circa 670mila tonnellate di cotone e derivati nel solo 2009) equivale a: un consumo di 5.300 milioni di m3 di acqua, l’emissione di circa 20 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti di gas serra, 944mila ettari di terra l’anno, 955 mila tonnellate di materiali biotici e 13 milioni di tonnellate di materiali abiotici. L’Italia importa il cotone (vedi cartina) prevalentemente da: Cina (20%), Turchia (13%), Pakistan (11%), India (9%), Bangladesh (5%). La produzione mondiale è di circa 25 milioni di tonnellate, di cui l’80% proveniente da 5 soli Paesi: Cina (34%), India (21%), USA (12%), Pakistan (8%) e Brasile (5%). Il 99% dei produttori, cui si deve il 75% del prodotto, si trova nei Paesi in via di sviluppo. Il consumo pro-capite è di 6,8 kg l’anno (di 17,7 kg nei Paesi sviluppati). I principali danni ambientali e sociali sono: ingente consumo di acqua ed energia, uso di pesticidi altamente inquinanti (in particolare fertilizzanti azotati sintetici) per l’ambiente e dannosi per la salute umana (si stimano circa 20 mila morti l’anno), condizioni di lavoro precarie che talvolta sconfinano nello sfruttamento minorile e nella schiavitù. Non sono quantificabili, poi, i danni alla fauna selvatica. Le aree prioritarie maggiormente interessate sono: lo Yangtze, l’Amur Heilong, l’Himalaya, i Ghati Occidentali, il Golfo di California, il Delta dell’Indo, l’Amazzonia, le foresta Atlantica brasiliana (Mata Atlantica), il Cerrado/Pantanal.

Olio di palma. Le importazioni in Italia nel 2010 sono arrivate a circa 1.100.000 tonnellate di olio grezzo, per un consumo di 410 milioni di m3 di acqua, 2 milioni di tonnellate di CO2-equivalenti, 210 mila ettari di terreno l’anno, circa 3 milioni di tonnellate di materiali biotici e circa 1,2 milioni di tonnellate di materiali abiotici. La gran parte dell’olio di palma giunge nel nostro Paese (vedi cartina) da Indonesia (71%), Malesia (13%), Thailandia (7%), Papua Nuova Guinea (6%). L’utilizzo per i principali prodotti derivati è così suddiviso: 185 mila tonnellate per i biocarburanti; 115 mila per i prodotti chimici organici; 50 mila per le margarine; circa 200 mila tonnellate complessive per prodotti il cui contenuto non è facilmente determinabile (cibi contenenti grassi vegetali, saponi e cosmetici). Una “zavorra ecologica” in aumento se si considera che la produzione mondiale di olio di palma negli ultimi 30 anni è passata da 4,9 a 49 milioni di tonnellate e che rispetto al 2000 ci si aspetta una crescita della domanda del 100% nel 2020 e del 200% nel 2050, anche a causa degli investimenti dei produttori di biodiesel. I principali danni ambientali e sociali collegati alla sua filiera produttiva sono: perdita di habitat, erosione e degrado del suolo, inquinamento chimico delle acque e dispersione di pesticidi che giungono sino agli ecosistemi marini, sfruttamento e distruzione degli stili di vita delle popolazioni indigene. Le aree più colpite sono: Borneo, Sumatra, Papua Nuova Guinea, Amazzonia, Bacino del Congo.

“L’umanità ha superato i 7 miliardi di abitanti e ricava risorse naturali dalla terra per oltre 60 miliardi di tonnellate l’anno (erano 40 nel 1980, saranno 100 miliardi entro il 2030 se continuiamo su questa strada), un peso ecologico totalmente insostenibile per il futuro – ha detto Gianfranco Bologna, Direttore scientifico del WWF Italia – Più che mai in una situazione di crisi economico-finanziaria che dura ormai da anni, dobbiamo dare la massima centralità al capitale naturale, alla sua cura, al suo ripristino, perché senza di esso l’intera economia mondiale non ha futuro. La Conferenza di Rio + 20 sarà un momento molto importante, ed è fondamentale che istituzioni, consumatori e soprattutto imprese, dalle grandi multinazionali alle piccole e medie imprese dei nostri distretti industriali, si assumano la responsabilità di trasformare i mercati e condurli a modelli meno insostenibili, sviluppando una produzione di qualità anche sotto il profilo ambientale”.

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