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La corsa alla terra per la produzione di biocarburanti

La corsa alla terra per la produzione di biocarburanti

Un rapporto evidenzia la necessità di rispettare i diritti delle popolazioni rurali.

Negli ultimi dieci anni (2000-2010) 200 milioni di ettari di suolo nei Paesi in via di sviluppo sono stati acquisiti da imprese (8 volte la superficie della Gran Bretagna), ma solo il 25% dei terreni accaparrati sono stati adibiti a scopi alimentari ed un ulteriore 3% destinato all’allevamento, mentre il restante è stato utilizzato per altri scopi, soprattutto per la produzione di biocarburanti (60%).

È quanto emerge dallo Studio “Diritti alla Terra e la Corsa alla Terra” pubblicato da The International Land Coalition (ILC), Agricultural Research for Development (CIRAD) e International Institute for Environment and Development (IIED), a cui hanno collaborato più di 40 organizzazioni nell’ambito del Progetto di Ricerca “Findings of the Global Commercial Pressures on Land”, che ha presentato 27 casi studio, studi tematici e panoramiche regionali, includendo anche gli ultimi dati del progetto in corso Land Matrix per il monitoraggio su larga scala della compravendita terreni.

La ricerca ha rivelato alcuni fallimenti di governance che stanno mettendo a rischio i poveri che vivono nelle aree rurali dei Paesi in via di sviluppo e che non sono stati riportati adeguatamente dai media che si sono occupati di recente del commercio dei terreni.

In primo luogo, le élite nazionali svolgono nelle acquisizioni dei terreni un ruolo molto più grande di quanto non sia stato denunciato fino ad oggi dalla stampa che si è concentrata di più sul ruolo degli investitori stranieri. In secondo luogo, il cibo non è il focus principale delle offerte di terra. Dei 71 milioni di ettari offerti che gli autori hanno potuto incrociare, il 22% era per l’estrazione mineraria, il turismo, l’industria e la deforestazione e i tre quarti del restante 78% per la produzione agricola era per i biocarburanti.
I ricercatori hanno scoperto che le offerte di terreni di grandi dimensioni anziché creare opportunità, ci sono maggiori probabilità che causino problemi per le fasce più povere della società, che spesso perdono l’accesso alla terra e alle risorse che sono essenziali per il loro sostentamento.

Nelle condizioni attuali, le offerte di terra di grandi dimensioni minacciano i diritti e i mezzi di sussistenza delle comunità rurali povere, specialmente delle donne”, ha dichiarato il principale autore del Rapporto, il dottor Ward Anseeuw del Centro francese di ricerca agricola per lo sviluppo internazionale (CIRAD).
Inoltre, i posti di lavoro promessi non si sono ancora materializzati, e nella loro fretta di attrarre investimenti, i Governi perdono le entrate fiscali a lungo termine e contrattano affitti senza negoziare su migliori offerte che potrebbero strappare. “La competizione per la terra sta diventando sempre più globale e più diseguale.
La governance debole, la corruzione rampante e la mancanza di trasparenza nel processo decisionale sono caratteristiche fondamentali del tipico ambiente in cui si trattano le grandi acquisizioni di terreni si svolgono, apportando benefici a pochi, mentre i poveri si trovano a pagare i costi
– ha spiegato Madiodio Niasse, Direttore della Coalizione Internazionale per la Terra (ILC), che include tra i suoi membri Agenzie delle Nazioni Unite, Istituzioni finanziarie internazionali, Istituti di ricerca e Organizzazioni della società civile e degli agricoltori.

Sebbene l’espropriazione e l’emarginazione dei poveri delle aree rurali non sia una novità, l’attuale “corsa alla terra” rappresenta un’accelerazione dei processi in corso e intensifica la gravità del problema.
Il Rapporto conclude che ci troviamo ad un bivio per quanto riguarda il futuro delle comunità rurali, della produzione basata sull’utilizzo dei suoli e degli ecosistemi in molte regioni del Sud del mondo.
Pertanto, il Rapporto raccomanda a Governi e investitori di:
• riconoscere e rispettare i diritti consuetudinari alla terra e alle risorse delle popolazioni rurali;
• mettere la produzione su piccola scala al centro delle strategie per lo sviluppo agricolo;
• riconoscere a livello internazionale i diritti umani al lavoro per i poveri;
• rendere il processo decisionale per la terra trasparente, inclusivo e responsabile;
• assicurare la sostenibilità ambientale nelle decisioni relative alle acquisizioni e agli investimenti che comportano uso di terra e acqua.

Il Rapporto, infine, sottolinea la necessità di modelli di investimento che non comportino grandi acquisizioni di terre, ma piuttosto collaborino con gli utenti della terra, nel rispetto dei loro diritti e della possibilità degli stessi piccoli agricoltori di svolgere un ruolo chiave negli investimenti per soddisfare le esigenze alimentari e di risorse del futuro. della società civile e degli agricoltori.
I “deboli” diritti alla terra sono un altro problema. “Dal momento che i Governi sono i proprietari della terra è facile per loro affittare grandi aree agli investitori, ma i benefici per le comunità locali e per le casse nazionali sono spesso minimi – ha aggiunto Lorenzo Cotula dell’Istituto Internazionale per l’Ambiente e lo Sviluppo (IIED) e co-autore del Rapporto – Perciò è necessario che alle comunità povere siano riconosciuti forti diritti sulla terra su cui hanno vissuto per generazioni”. “C’è ben poco tra le transazioni studiate che non meriti appieno l’appellativo di land grabbing” ha affermato a sua volta Michael Taylor, Responsabile del programma “Politica globale e Africa” del Segretariato ILC, che ha coordinato lo studio e co-autore anche lui della relazione.

Inoltre, la governance economica sta fallendo nei confronti dei poveri delle aree rurali.
I sistemi commerciali internazionali forniscono una solida tutela giuridica per gli investitori internazionali, mentre pochi e meno efficaci sono stati gli accordi internazionali istituiti per tutelare i diritti dei poveri delle aree rurali o per assicurare che la maggiore commercializzazione e gli investimenti si traducano in uno sviluppo sostenibile inclusivo e nella riduzione della povertà.
Ciò è anche dovuto al fatto che molti politici pensano l’agricoltura a piccola scala non abbia futuro e che su larga scala l’agricoltura intensiva sia il modo migliore per raggiungere la sicurezza alimentare e sostenere lo sviluppo nazionale.

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