Biodiversità e conservazione Fauna

Estinzione di specie: sta accelerando più di quanto previsto

Uno studio di aggiornamento di uno precedente che 5 anni fa aveva segnalato il rischio di una sesta estinzione di massa nell’Antropocene, evidenzia che i tassi di perdita di molti vertebrati sono più veloci di quelli stimati allora, sollecitando un’azione globale immediata, come il divieto del commercio di specie selvatiche.

Nell’articolo “The Anthropocene”, pubblicato nel 2000 su Global Change Newsletter firmato da Paul Crutzen, Premio Nobel per la Chimica per aver scoperto gli effetti della decomposizione della fascia di ozono, e Eugene Stoermer, Professore di Biologia all’Università del Michigan, e pubblicato nel 2000 su Global Change Newsletter”, fu coniato il termine con il quale si indicava che la fase geologica in cui l’uomo e le sue attività erano le principali cause delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche del Pianeta.

Tra gli effetti dell’Antropocene c’è la “Sesta Estinzione di massa” in corso, di cui l’uomo sarebbe il principale responsabile, secondo lo Studio Accelerated modern human–induced species losses: Entering the sixth mass extinction”, pubblicato su ScienceAdvances la rivista dell’AAAS (American Association for the Advancement of Science).

Lo Studio, mettendo sotto la lente ben 27.600 specie di uccelli, anfibi, mammiferi e rettili (un campione rappresentativo della metà delle specie note di vertebrati terrestri) e analizzando in dettaglio anche la perdita di popolazione di 177 specie di mammiferi tra il 1900 e il 2015, dimostrava un dimezzamento dei singoli individui e delle popolazioni che formano le specie, prevedendo che nell’Antropocene si potrebbe verificare la sesta estinzione di massa.

Ora, a distanza di 5 anni i principali autori di quello Studio, Gerardo Ceballos dell’Istituto di Ecologia dell’Università Nazionale del Messico e Paul Erlich del Centro per la conservazione biologica presso il Dipartimento di Biologia dell’Università californiana di Stanford, con la collaborazione di Peter H. Raven, Presidente emerito del Giardino Botanico del Missouri, hanno condotto un aggiornamento, pubblicando il 1° giugno 2020 sulla PNAS, la Rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti,Vertebrates on the brink as indicators of biological annihilation and the sixth mass extinction”, che evidenzia come il tasso di estinzione sia molto più alto di quanto si pensasse in precedenza e sta erodendo la capacità della natura di fornire servizi vitali alle persone.

Durante il XX secolo, secondo lo Studio, almeno 543 specie di vertebrati terrestri si sono estinte e probabilmente quasi lo stesso numero di specie si estinguerà nei prossimi due decenni, e gli effetti a cascata di questa tendenza includono un’intensificazione delle minacce per la salute umana, come il Covid-19.

Quando l’umanità stermina popolazioni e specie di altre creature, sta tagliando il ramo su cui è seduta, distruggendo parti essenziali del nostro sistema di supporto vitale – ha affermato EhrlichLa conservazione delle specie dovrebbe essere considerata un’emergenza nazionale e globale da Governi e Istituzioni, alla pari delle perturbazioni climatiche a cui è correlata”.

Le pressioni umane, come la crescita della popolazione, la distruzione degli habitat, il commercio della fauna selvatica, l’inquinamento e i cambiamenti climatici, minacciano in modo critico migliaia di specie in tutto il mondo. 

Gli ecosistemi, dalle barriere coralline alle foreste di mangrovie, alle giungle e ai deserti, dipendono dalle relazioni che hanno determinato l’evoluzione delle specie per mantenere il loro funzionamento e renderle resilienti ai cambiamenti. Senza questa solidità, gli ecosistemi sono sempre meno in grado di preservare un clima stabile, fornire acqua dolce, impollinare le colture e proteggere l’umanità da catastrofi naturali e malattie.

Per comprendere meglio la crisi dell’estinzione, i ricercatori hanno esaminato l’abbondanza e la distribuzione di specie in pericolo, scoprendo che 515 specie di vertebrati terrestri (l’1,7%) di tutte le specie analizzate) sono sull’orlo dell’estinzione, il che significa che rimangono meno di 1.000 individui. Meno di 250 individui sono rimasti in circa la metà delle specie studiate e la maggior parte delle specie a rischio di estinzione sono concentrate nelle regioni tropicali e subtropicali sempre più soggette all’invasione umana.

Oltre all’aumento dei tassi di estinzione, secondo le stime dei ricercatori, c’è la perdita cumulativa di popolazioni – singoli gruppi localizzati di una particolare specie – e dell’areale geografico che hanno portato all’estinzione di oltre 237.000 popolazioni di quelle 515 specie dal 1900. Con un minor numero di popolazioni, le specie non sono in grado di svolgere la loro funzione nell’ecosistema, con conseguenti effetti a catena. Ad esempio, nel 1700 la caccia alla lontra di mare – il principale predatore dei ricci di mare che mangiano alghe – ha provocato l’estinzione della vacca di mare (ritina di Steller, il più grande mammifero marino dopo le balene), che si cibava principalmente di alghe.

Quel che faremo per far fronte all’attuale crisi di estinzione nei prossimi due decenni definirà il destino di milioni di specie – ha sottolineato Ceballos, principale autore dello studio – Siamo di fronte alla nostra ultima opportunità per garantire che i numerosi servizi offerti dalla natura non vengano irrimediabilmente sabotati“.

Secondo, i ricercatori, la perdita di creature in via di estinzione potrebbe avere un effetto domino su altre specie. La stragrande maggioranza (84%) delle specie con popolazioni inferiori a 5.000 esemplari vive nelle stesse aree delle specie con popolazioni inferiori a 1.000. Ciò crea le condizioni per una reazione a catena in cui l’estinzione di una specie destabilizza l’ecosistema, mettendo le altre specie a maggior rischio di estinzione.

L’estinzione genera estinzione”, scrivono gli autori dello studio. A causa di questa minaccia, chiedono che tutte le specie con popolazione inferiore a 5.000 individui siano elencate come in pericolo di estinzione nella Lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUNC-Red List), un database internazionale utilizzato per informare le azioni di conservazione su scala globale.

I risultati dello Studio potrebbero contribuire ad aumentare la consapevolezza sulla perdita di biodiversità e dare slancio alla Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD-COP15) che avrebbe dovuto svolgersi in Cina in ottobre, ma che è stata rinviata al 2021. Comprendere quali specie sono a rischio può anche aiutare a identificare quali fattori potrebbero essere maggiormente responsabili dell’aumento dei tassi di estinzione.

La Giornata Mondiale dell’Ambiente che si celebra il 5 giugno con l’obiettivo di porre le questioni ambientali in una prospettiva umana, quest’anno ha per tema “È l’ora della Natura” (It’s Time for Nature) proprio per sottolineare il ruolo essenziale dell’infrastruttura a supporto della vita sulla Terra e dello sviluppo umano. I cibi che mangiamo, l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo e il clima che rende il nostro Pianeta abitabile provengono tutti dalla natura.

Tra le altre azioni, i ricercatori propongono un accordo globale per vietare il commercio di specie selvatiche. Sostengono che la cattura o la caccia illegale di animali selvatici per cibo, animali domestici e medicine sia una minaccia fondamentale in corso non solo per le specie sull’orlo dell’estinzione, ma anche per la salute umana. 

Covid-19 che si pensa abbia avuto origine da pipistrelli e sia stato trasmesso all’uomo attraverso un’altro animale in un mercato di animali vivi, è un esempio di come il commercio di animali selvatici possa danneggiare gli esseri umani, secondo i ricercatori che hanno sottolineato come negli ultimi decenni gli animali selvatici abbiano trasmesso molte altre malattie infettive all’uomo e agli animali domestici, a causa dell’invasione di habitat e della cattura di fauna selvatica per il cibo.

Sta a noi decidere quale tipo di mondo vogliamo lasciare alle generazioni future – ha concluso Ravense uno sostenibile o uno desolato in cui la civiltà che abbiamo costruito si disintegra anziché appoggiarsi sui successi conseguiti”.

In copertina: La ricostruzione, ad opera del celebre naturalista e illustratore paleontologico Carl Buell, di una scena venatoria alla vacca di mare (ritina di Steller) il più grande mammifero marino dopo le balene, che si è estinto nel XVIII secolo per l’intensa caccia alla lontra di mare, principale predatore dei ricci di mare che mangiano le alghe, di cui il sirenide si cibava.

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