Diffusa la versione aggiornata per policy maker del Rapporto di valutazione sul degrado del suolo, approvato all’IPBES-6 di Medellín, che evidenzia come il suo peggioramento dovuto alle attività umane mini il benessere di due quinti dell’umanità, concorra all’estinzione delle specie e all’intensificazione dei cambiamenti climatici, e dia anche un importante contributo alle migrazioni umane di massa e all’aumento dei conflitti.
“Il degrado della superficie terrestre sta spingendo il Pianeta verso una sesta estinzione di massa: arrestare questo problema e ripristinare il suolo degradato è una priorità urgente per proteggere tutta la vita sulla Terra”.
È questo il principale messaggio del primo Rapporto mondiale sul degrado del suolo e ripristino del territorio, approvato dalla VI Assemblea plenaria dell’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) tenutasi in Colombia (Medellín, 17-24 marzo 2018), del quale è stata poi rilasciata la versione aggiornata di Sommario per policy maker.
Dopo la diffusione dei 4 report scientifici (link: https://www.regionieambiente.it/biodiversita_declino_pericolo_umanita/) sulle condizioni della biodiversità nelle 4 aree continentali analizzate (Africa, Americhe, Europa e Asia centrale, Asia e Pacifico), scritti da più di 550 esperti provenienti da oltre 100 Paesi, questo ulteriore Rapporto, del quale sarà pubblicata l’edizione integrale entro l’anno, evidenzia risultati altrettanto allarmanti.
Approntato da circa 100 esperti di 45 Paesi e basato su più di 3.000 fonti scientifiche e governative, oltre che locali, sottoposto a peer-review e migliorato da più di 7.300 commenti ricevuti da oltre 200 revisori esterni, il Rapporto segnala un peggioramento del degrado del suolo causato dalle attività umane, che mina il benessere di due quinti dell’umanità, concorre all’estinzione delle specie e all’intensificazione dei cambiamenti climatici, e dà anche un importante contributo alle migrazioni umane di massa e all’aumento dei conflitti.
Grave pericolo per il benessere umano
La rapida espansione e la gestione insostenibile delle terre coltivate e dei pascoli, si afferma nel Rapporto, è il più ampio fattore diretto di degrado del suolo, causando una significativa perdita di biodiversità e servizi ecosistemici: sicurezza alimentare, depurazione delle acque, fornitura di energia e altri contributi della natura essenziali per le persone. Ciò ha raggiunto livelli “critici” in molte parti del mondo.
“Con impatti negativi sul benessere di almeno 3,2 miliardi di persone, il degrado delle terre del Pianeta determinato dalle attività umane sta spingendo la Terra verso una sesta estinzione di specie di massa – ha affermato il Prof. Robert Scholes (Sudafrica) che ha presieduto il Gruppo di valutazione assieme all’italiano Montanarella – Evitare, ridurre e invertire questo problema e ripristinare terreni degradati è una priorità urgente per proteggere la biodiversità e i servizi ecosistemici vitali per tutta la vita sulla Terra e per garantire il benessere umano“.
“Sono state particolarmente colpite le zone umide – ha sottolineato a sua volta il Dott. Luca Montanarella, Ingegnere Agronomo che dal 2003 è a Capo del Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione UE per i dati sui Suoli – Dall’inizio dell’era moderna abbiamo visto perdite dell’87% nelle zone umide, con il 54% perse dal 1900”.
Secondo gli autori, il degrado del suolo si manifesta in molti modi: abbandono della terra, popolazioni di specie selvatiche in declino, perdita di suolo e di salute del suolo, di pascoli e acqua dolce, così come la deforestazione.
I fattori alla base del degrado del territorio, afferma il Rapporto, sono gli stili di vita ad alto consumo nelle economie più sviluppate, combinati con l’aumento del consumo nelle economie dei Paesi in via di sviluppo e in quelle emergenti. L’elevato consumo pro capite in aumento, amplificato dalla continua crescita della popolazione in molte parti del mondo, può portare a livelli insostenibili di espansione agricola, sfruttamento delle risorse naturali e estrazione mineraria, e urbanizzazione, che in genere provocano un maggiore livello di degrado del territorio.
Al 2014, oltre 1,5 miliardi di ettari di ecosistemi naturali sono stati convertiti in terre coltivabili. Meno del 25% della superficie terrestre è sfuggito ai significativi impatti dell’attività umana, e gli esperti dell’IPBES stimano che al 2050, questa percentuale scenderà a meno del 10%.
Attualmente, le terre coltivate e i pascoli coprono più di un terzo della superficie terrestre, e di recente sono stati eliminati habitat originari, comprese foreste, praterie e zone umide, dove si concentrano alcuni degli ecosistemi più ricchi di specie del Pianeta.
Il Rapporto sottolinea che l’aumento della domanda di cibo e biocarburanti porterà probabilmente a un progressivo aumento degli apporti di sostanze nutritive e chimiche e uno spostamento verso sistemi industrializzati di produzione zootecnica, con un utilizzo di pesticidi e fertilizzanti che dovrebbe raddoppiare entro il 2050.
La possibilità di un’ulteriore espansione agricola in habitat originari può essere raggiunta aumentando la resa nelle aree agricole esistenti, passando a diete meno impattanti, come quelle con più alimenti a base vegetale e meno proteine animali da fonti non sostenibili e riduzioni della perdita e dello spreco di cibo.
Forti collegamenti con i cambiamenti climatici
“Attraverso questo rapporto, la comunità globale di esperti ha emesso un avvertimento franco e urgente, con chiare opzioni per affrontare la gravità dei danni ambientali – ha affermato Sir Robert Watson, Presidente dell’ IPBES –Il degrado del suolo, la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici sono i tre volti diversi della stessa sfida centrale: l’impatto sempre più pericoloso delle nostre scelte sulla salute del nostro ambiente naturale. Non possiamo permetterci di affrontare ognuna di queste tre minacce in modo isolato, ognuna di esse merita la massima priorità politica e deve essere affrontata insieme alle altre“.
Il Rapporto dell’IPBES rileva che il degrado del suolo è un importante contributo ai cambiamenti climatici, con la sola deforestazione che contribuisce a circa il 10% di tutte le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo. Un altro fattore importante che ha influito sui cambiamenti climatici è stato il rilascio di carbonio precedentemente immagazzinato nel suolo, il cui degrado tra il 2000 e il 2009 è stato responsabile di emissioni globali annue fino a 4,4 miliardi di tonnellate di CO2.
Data l’importanza delle funzioni di cattura e stoccaggio del carbonio nel suolo, l’eliminazione, la riduzione e l’inversione del degrado del terreno potrebbero fornire più di un terzo delle attività di riduzione dei gas serra più economiche, necessarie entro il 2030 per mantenere il riscaldamento globale sotto la soglia dei +2 ° C dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, aumentando la sicurezza alimentare e idrica e contribuendo ad evitare conflitti e migrazioni.
Proiezioni al 2050
“Tra poco più di tre decenni, si stima che 4 miliardi di persone vivranno in territori aride – ha osservato il Prof. Scholes – A quel punto è probabile che il degrado del suolo, assieme ai problemi strettamente correlati dei cambiamenti climatici, costringerà da 50 a 700 milioni di persone a migrare. La diminuzione della produttività del suolo rende anche le società più vulnerabili all’instabilità sociale, in particolare nelle zone aride, dove anni con precipitazioni estremamente ridotte sono stati associati a un aumento fino al 45% in conflitti violenti“.
“Entro il 2050, si prevede che la combinazione di degrado del suolo e i cambiamenti climatici ridurrà i raccolti globali in media del 10%, e fino al 50% in alcune regioni – ha aggiunto Montanarella – In futuro, la maggior parte del degrado si verificherà in America centrale e meridionale, nell’Africa subsahariana e in Asia, dove sono rimaste le aree con la maggior quantità di terra rimasta adatta all’agricoltura“.
Il Rapporto evidenzia, inoltre, le sfide poste dal degrado del suolo e l’importanza del suo ripristino per il conseguimento degli obiettivi chiave di sviluppo internazionale, compresi gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU al 2030 (in particolare l’OSS 15. Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, e fermare la perdita di diversità biologica) e gli Obiettivi di Biodiversità di Aichi, inseriti nel Piano strategico per la biodiversità (2011-2020) concordato alla Conferenza di Nagoya (2010).
“Il valore maggiore di tale valutazione è la prova che fornisce ai decisori dei Governi, delle imprese, del mondo accademico e persino a quelli delle comunità locali – ha affermato la Dott.ssa Anne Larigauderie, Segretaria esecutiva dell’IPBES – Con una migliore informazione, supportata dal consenso dei maggiori esperti mondiali, tutti noi possiamo fare scelte migliori per un’azione più efficace”.
Opzioni per il ripristino del territorio
Il Rapporto rileva che esempi positivi di ripristino del territorio si trovano in ogni ecosistema e che molte pratiche e tecniche ben collaudate, sia tradizionali che moderne, possono evitare o invertire il degrado. Nelle terre coltivate, ad esempio, alcune di queste includono la riduzione della perdita di suolo e il miglioramento della sua salute, l’uso di colture che tollerano la salinità, l’agricoltura conservativa e sistemi di integrazione di colture, allevamenti e silvicoltura.
Nei pascoli tradizionali, il mantenimento di appropriati regimi antincendio e la reintegrazione o lo sviluppo di pratiche e locali di gestione del bestiame si sono dimostrate efficaci.
I risultati di successo nelle zone umide includono il controllo delle fonti di inquinamento, la gestione delle zone umide come parte del paesaggio e il riutilizzo delle zone umide danneggiate dal drenaggio.
Nelle aree urbane sono indicate come opzioni chiave per agire la pianificazione dello spazio, il reimpianto con specie autoctone, lo sviluppo di “infrastrutture verdi” come parchi e fiumi, il risanamento di terreni contaminati e sommersi (ad esempio dall’asfalto), il trattamento delle acque reflue e il ripristino dei canali fluviali.
Le opportunità per accelerare le azioni individuate nel Rapporto includono:
– il miglioramento del monitoraggio, dei sistemi di verifica e dei dati di base;
– il coordinamento delle politiche tra i diversi Ministeri per incoraggiare simultaneamente pratiche di produzione e consumo più sostenibili di materie prime;
– l’eliminazione di “incentivi perversi” che promuovono il degrado del territorio e la promozione di incentivi positivi che premiano la gestione sostenibile del suolo;
– l’integrazione delle agende agricole, forestali, energetiche, idriche, infrastrutturali e dei servizi.
Nel sottolineare che gli accordi ambientali multilaterali esistenti offrono una buona piattaforma per evitare, ridurre e invertire il degrado del suolo e promuoverne il ripristino, gli autori osservano che tuttavia, è necessario un maggiore impegno e una cooperazione più efficace a livello nazionale e locale per raggiungere obiettivi di degrado quasi zero del suolo, senza perdita di biodiversità e miglioramento del benessere umano.
Lacune di conoscenza
Tra le aree identificate dal rapporto come opportunità per ulteriori ricerche ci sono:
– le conseguenze del degrado del suolo sugli ecosistemi delle acque dolci e costiere, sulla salute fisica e mentale e sul benessere spirituale e sulla prevalenza e trasmissione delle malattie infettive;
– le potenzialità del degrado del suolo di esacerbare i cambiamenti climatici e del ripristino dei terreni per aiutare sia la mitigazione che l’adattamento;
– le relazioni tra degrado del suolo e ripristino dei processi sociali, economici e politici in luoghi lontani;
– le interazioni tra degrado del suolo, povertà, cambiamenti climatici e rischio di conflitti e di migrazione non volontaria.
Profilo ambientale ed economico
Infine, il Rapporto rileva che un aumento del lavoro e degli altri benefici connessi al ripristino dei terreni spesso superano di gran lunga i costi. In media, i benefici del ripristino sono 10 volte maggiori dei costi (stimati in 9 diversi biomi) e, per regioni come l’Asia e l’Africa, il costo dell’inazione in termini di degrado del suolo è almeno tre volte superiore al costo dell’agire.
“Il pieno dispiegamento di strumenti e di modi comprovati per fermare e invertire il degrado del suolo non è solo vitale per garantire la sicurezza alimentare, ridurre i cambiamenti climatici e proteggere la biodiversità – ha aggiunto Montanarella – È anche economicamente prudente e sempre più urgente“.
“Tra i molti messaggi importanti del Rapporto, questo è tra i più importanti – ha fatto eco a tale messaggio Watson – Implementare le giuste azioni per combattere il degrado del territorio può trasformare la vita di milioni di persone in tutto il pianeta, ma questo diventerà più difficile e più costoso quanto più tardivamente ne prenderemo atto”.