di Carmelina Sessa
La dichiarazione da parte dell’OMS dello stato di Pandemia, avvenuta l’11 marzo 2020, ha delineato la consapevolezza di trovarci dinanzi ad un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza globale. La diffusione indiscriminata e perdurante del nuovo Coronavirus (SARS-Cov-2) sta rappresentando una minaccia mondiale da mesi. La veloce trasmissibilità del virus e l’alto grado di letalità della relativa patologia Covid-19 combinati con la mancanza di vaccini specifici rendono, ad oggi, prematura ogni previsione su quali sviluppi effettivi ci saranno. Intanto, è sotto gli occhi di tutti che la straordinarietà dell’evento abbia prodotto una grave crisi, impattando sulla vita individuale e sociale delle persone. Le conseguenze coinvolgono non solo il campo sanitario, ma anche quello giuridico-economico. Ed il settore ambientale non è rimasto escluso, anzi. Le relazioni intercorrenti tra il Coronavirus e l’ambiente si son rivelate sin da subito, nella loro complessità, contraddistinte da più sfaccettature. Iniziamo col dire che, le politiche statali e il comportamento umano nei confronti dell’ecosistema sono strettamente connessi con il fenomeno Coronavirus, sebbene l’origine di quest’ultimo sia ancora discussa e dibattuta. In uno studio del WWF è stato evidenziato che le malattie trasmesse dagli animali all’uomo dipendono dalla distruzione degli ecosistemi naturali. Un ambiente alterato dal cambiamento climatico, dal sovrasfruttamento delle risorse e dalla trasformazione degli equilibri naturali stanno determinando nuovi processi di proliferazione e trasmissione dei virus patogeni, che attualmente rappresentano un concreto pericolo per la salute umana. ( L’OMS stima che dal 2030 ogni anno 250 mila persone al mondo moriranno per malattie scatenate dall’effetto serra e dalle sue conseguenze. ) Considerazioni analoghe provengono dal direttore esecutiva dell’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), Inger Andersen, la quale, intervistata, ha sostenuto che l’erosione della natura a causa dell’Uomo ha determinato un aumento di circolazione dei patogeni dagli animali alle persone. L’intensificazione durante il periodo del lock down delle misure di «distanziamento sociale» – con grande vulnus per molti diritti e libertà fondamentali essendo risultato preminente il diritto alla salute pubblica – ha avuto effetti inevitabili sull’ambiente. Il confinamento domestico, la limitazione degli spostamenti al minimo ed il brusco rallentamento dell’economia, soprattutto nei mesi centrali da marzo a giugno, hanno determinato un’incredibile riduzione di emissioni di Co2 con un importante abbassamento dei livelli di inquinamento nell’aria, nel suolo e negli oceani. Così abbiamo assistito ad una natura che in quei mesi ha continuato il suo corso rigenerandosi, mentre tutto il resto si fermava. Non è oro ciò che luccica: i miglioramenti dovuti al blocco temporaneo delle attività umane erano destinati a terminare con la ripresa, una volta decretata la fine del periodo di lock-down, dato che da soli essi non potevano garantire una svolta sostenibile a lungo termine per l’ambiente. Infatti, in assenza di un cambiamento strutturale dei paradigmi di produzione e consumo umani, e di una coscienza civica attiva e consapevole, i livelli di inquinamento hanno potuto solo che ricominciare ad aumentare. Ai problemi ambientali che erano già noti, si sono aggiunti quelli dovuti alla cattiva gestione dello smaltimento dei prodotti monouso e non biodegradabili – guanti e mascherine in primis – largamente utilizzati dall’inizio dell’emergenza epidemiologica. Stando alle linee guida predisposte dall’Istituto Superiore di Sanità, in quanto rifiuti indifferenziati tali dispositivi di protezione individuale (dpi) devono essere gestiti privilegiando l’incenerimento, al fine di minimizzare ogni manipolazione. A pagare lo scotto dell’inquinamento da dpi sono sicuramente gli ecosistemi marini, dal Mar Mediterraneo fino all’Oceano Pacifico, come messo in luce dai preoccupanti allarmi lanciati dalle associazioni ambientaliste in seguito a ritrovamenti di grossi quantitativi di rifiuti sia nei fondali che sulle spiagge. Già da aprile il WWF avvertiva che se anche solo l’1% delle mascherine fosse smaltito in modo non corretto, questo ne comporterebbe al mese la dispersione nell’ambiente di 10 milioni di dispositivi. Stiamo parlando di numeri evidentemente impressionanti. Il tema richiede una particolare attenzione soprattutto se pensiamo al numero dei contagi nuovamente in aumento, e alle misure di distanziamento sociale che continuano ad essere prorogate. In particolare, oggetto di proroga è stata proprio l’imposizione dell’utilizzo delle mascherine anche all’aperto da parte della collettività, laddove non è possibile garantire il distanziamento, come stabilito dal DPCM del 7 settembre 2020, che ha prolungato la durata delle prescrizioni già previste dal precedente DPCM del 7 agosto, fino al 7 ottobre. A ciò si aggiunga l’obbligo delle mascherine all’aperto tout court ripristinato sempre a settembre da alcune ordinanze regionali e comunali, come in Campania, Calabria, Foggia, Formia e Genova. A fronte all’aumento dei rifiuti derivanti dall’utilizzo diffuso di mascherine e guanti monouso, a livello politico il Governo finora ha agito con il Decreto-legge 34/2020, per farsi carico sia della situazione ambientale sia del persistere del virus, individuando “Misure per l’ambiente”. L’articolo 229 bis intitolato “Disposizioni per lo smaltimento dei dispositivi di protezione individuale” contiene linee guida per l’individuazione delle misure a favore della sostenibilità ambientale da adottare entro massimo il 31 dicembre 2020; contiene altresì l’istituzione di un fondo da 1 milione di euro per l’anno corrente con l’obiettivo di promuovere la prevenzione, il riuso e il riciclo dei dispositivi di protezione; inoltre, come deterrente per l’abbandono di mascherine e guanti monouso è stata prevista una sanzione amministrativa pecuniaria che va da 30 a 150 euro. Scegliere di acquistare dispositivi riutilizzabili e lavabili, gettarli nell’indifferenziato e non buttarli a terra sono comportamenti che aiuterebbero ad affrontare in modo più sostenibile l’attuale crisi ambientale e questi sono gli avvertimenti su cui si è focalizzata la campagna di comunicazione e sensibilizzazione del Ministero dell’Ambiente. In riferimento al recupero del materiale delle mascherine – che l’art 229 bis pure pone tra gli obiettivi – occorre richiamare uno studio di ricercatori della University of Petroleum and Energy Studies in India, pubblicato sulla rivista Biofuels, secondo il quale la plastica delle mascherine potrebbe essere convertita e riutilizzata per produrre biocarburante, diventando fonte di energia.
In conclusione, alla luce di quanto sinora detto, è chiaro che le agende politiche degli Stati sono chiamate a “nuove” e “vecchie” sfide. La predisposizione delle strategie per combattere il “nemico invisibile” chiamato Coronavirus, non possono prescindere dalle priorità globali, improntate dagli obiettivi delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile per i prossimi dieci anni. Due ordini di motivi impongono di non retrocedere dalle questioni ambientali: l’incertezza sulla durata della Pandemia, per cui sembra ragionevolmente probabile che si vada nella direzione di (quantomeno) nuove proroghe per i prossimi mesi, e la sussistenza di una crisi ambientale che allo stato è peggiorata. I sette “sustainable development goals”, verso i quali bisogna tenere alta la guardia, rappresenteranno la bussola per le politiche europee e mondiali volte ad inaugurare riforme economiche, sociali ed ambientali. In controtendenza agli Usa che hanno sospeso l’applicazione delle leggi ambientali per la ripresa commerciale delle industrie, in Italia il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenendo alla terza giornata del Festival dell’economia civile di Firenze, ha annunciato il bisogno di una maggiore valorizzazione della tutela dell’ambiente ed un rinnovamento dell’economia. Si guarda ad una riforma per la biodiversità e per inserire nella Costituzione un riferimento allo sviluppo sostenibile, sulla scia delle politiche economiche green manifestate pure dalla Commissione Ue anche nel report “Verso un’Europa sostenibile entro il 2030”.