Dopo la deludente ultima sessione dei Colloqui sul Clima di Bonn, torna la preoccupazione che a Parigi si replichi quanto già visto nella capitale danese 6 anni fa allorché non si giunse ad alcun accordo.
Le questioni della “giustizia climatica” mettono in secondo piano che gli impegni nazionali presentati, come sottolineato anche dalla IEA, non mettono su un percorso in grado di cogliere l’obiettivo di +2 °C al 2100.
Entrato agli ultimi Colloqui sul clima di Bonn (19-23 ottobre 2015) con 20 pagine, il testo base per un Accordo da sottoscrivere alla COP21 di Parigi (30 novembre – 11 dicembre 2015) ne è uscito con 51 e con oltre 1.000 parentesi che sono altrettanti punti che debbono essere negoziati.
In questi numeri si può cogliere l’esito insoddisfacente dei lavori svoltisi nella “città federale” tedesca e le difficoltà che si presentano a livello politico per portare a Parigi un testo che non sia oggetto di trattative in quella occasione.
“Ora abbiamo un testo condiviso che è equilibrato e completo – ha affermato a conclusione dei lavori, la Segretaria esecutiva dell’UNFCCC, Christiana Figueres – La cattiva notizia è che non è più conciso. La sfida che attende i Governi è di ridurlo e renderlo coerente per essere adottato a Parigi”.
Par di capire che ci sarà bisogno di un’altra sessione straordinaria prima della Conferenza UNFCCC, perché un documento ancora così complesso non può essere portato in adozione alla Conferenza UNFCCC, soprattutto la Presidenza francese della COP21 non vuole giungere a quell’appuntamento con opzioni ancora aperte, con il rischio di far fallire la Conferenza stessa.
Probabilmente, il capo della Diplomazia climatica francese, Laurent Fabius che presiederà appunto la COP21 tenterà di risolvere gli aspetti più controversi nel corso della Conferenza Ministeriale di alto livello, già prevista nella capitale francese nella prima decade di novembre.
In verità, gli ultimi colloqui di Bonn erano già iniziati in salita, con la sconfessione da parte dei Paesi del G77 (oltre 130 Paesi tra cui Cina e India) dell’operato dei due co-Presidenti del Gruppo di Lavoro sulla Piattaforma di Durban per un’Azione rinforzata (AWG ADP), l’algerino Ahmed Djoghlaf, e lo statunitense Daniel Reifsnyder, che avevano avuto il mandato di predisporre un testo più sintetico delle 89 pagine redatte nel corso dei precedenti Colloqui sul Clima (Climate Change Talks) di Bonn (31 agosto – 4 settembre 2015).
Tant’è che, dopo una sospensione dei lavori, il testo portato in discussione si è ampliato per reinserire quegli aspetti che i Paesi in via di sviluppo ritenevano essenziali per un Accordo (in particolare, i finanziamenti per le azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, come inondazioni e siccità, e per ridurre le loro emissioni di gas serra).
A loro volta i Paesi più ricchi hanno fatto includere delle opzioni più vaghe per dopo il 2020, allorché scadrà l’impegno dei 100 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti pubblici e privati previsti dal Green Climate Fund, prevedendo tra i donatori anche i Paesi dalle economie più avanzate dei Paesi in via di sviluppo.
Le questioni della cosiddetta “giustizia climatica” e dei finanziamenti rischiano di sottacere l’altro aspetto non meno dirimente per scongiurare il punto di non ritorno del global warming, ovvero la riduzione delle emissioni.
È pur vero che nel frattempo sono saliti a 154 i Paesi che hanno formalizzato i loro piani d’azione per clima (INDCs), ma i tagli che questi comportano non sono tali da far cogliere l’obiettivo di contenere entro i 2 °C l’aumento della temperatura globale entro la fine del secolo.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha pubblicato il 21 ottobre 2015 “World Energy Outlook. Special Briefing for COP21”, anticipando alcune previsioni dell’annuale WEO, in uscita il 10 novembre 2015, con l’obiettivo di dare un contributo alla COP21, rispondendo a due fondamentali domande:
– come si evolverà il settore energetico al 2030;
– se gli INDCs, qualora pienamente attuati, saranno in grado di mettere il settore energetico lungo un percorso coerente con l’obiettivo concordato di limitare l’aumento della temperatura globale.
“Il fatto che più di 150 Paesi che rappresentano il 90% dell’attività economica globale e quasi il 90% dei gas a effetto serra correlati alla produzione energetica abbiano presentato impegni di riduzione delle emissioni è di per sé evento notevole – ha affermato il Direttore esecutivo della IEA, Fatih Birol – Questi impegni, insieme a quelli del settore energetico, stanno aiutando a costruire lo slancio politico necessario in tutto il mondo per sottoscrivere un Accordo sul clima di successo a Parigi“.
Nonostante questi sforzi, il Rapporto stima che se gli INDCs presentati fossero effettivamente implementati ci sarebbe un aumento medio della temperatura globale di circa 2,7 °C entro il 2100.
Pertanto, gli impegni nazionali dovrebbero essere intesi come base, secondo l’Agenzia, per compiere ulteriori sforzi necessari per raggiungere l’obiettivo concordato che costituirà anche il perno fondamentale per l’innovazione del settore energetico e per la realizzazione di nuove ed emergenti tecnologie che hanno la potenzialità di conseguire quel necessario cambiamento di profonda decarbonizzazione dell’economia.
“L’industria dell’energia ha bisogno di un segnale forte e chiaro dal vertice sul clima di Parigi – ha concluso Birol – Non riuscendo a trasmettere questo segnale, gli investimenti saranno spinti verso la direzione sbagliata, bloccando per decenni in infrastrutture energetiche insostenibili”.