Green economy Sostenibilità

La Cina alla ricerca di un nuovo modello di crescita

La Cina alla ricerca di un nuovo modello di crescita

La nuova leadership politica mostra di voler intraprendere un percorso di sviluppo economico più green, capace di tutelare l’ambiente e la salute, ma anche gli investimenti.

Dopo una crescita che negli ultimi 30 anni ha creato sviluppo, con contropartite pesanti sul piano ambientale e sulla salute umana, la Cina è giunta ad una svolta di cui la nuova leadership è consapevole e per cui sta intraprendendo un percorso obbligato per rendere la 2a l’economia mondiale più ”green”.

A differenza dei loro predecessori la cui legittimazione politica era basata sulla “crescita”, il Presidente Xi Jinping e il Primo Ministro Li Keqiang devono ora rispondere ad una nuova classe media di consumatori, prospera ed urbanizzata, sempre più sensibile alla “sostenibilità” dei prodotti e delle aziende produttrici, e preoccupata degli alti livelli di inquinamento raggiunti, come quelli che si sono registrati nell’ultimo inverno a Pechino, con livelli di PM2,5 di ben 22 volte superiori a quelli indicati “sicuri” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che hanno costretto le autorità locali ad invitare i cittadini a rimanere in casa per più giorni di fila.

Di qui, la decisione, ormai matura, del Governo cinese di affrontare le molte sfide ambientali accumulate che non possono più essere trascurate e che suscitano sempre più proteste tra la popolazione, oltre che creare una cattiva immagine sullo sviluppo industriale del Paese, che può compromettere gli investimenti dall’estero.

Da questo punto di vista, il mese di giugno 2013 può essere considerato una “pietra miliare” di questo cambio di direzione della politica economica ed ambientale cinese.
L’8 giugno, infatti, c’è stato l’Accordo bilaterale con gli Stati Uniti sulla riduzione di emissioni degli idrofluorocarburi (HFC), sottoscritto da Barack Obama e Xi Jinping nella tenuta presidenziale di Palm Spring, nel deserto della California.
Era dal 2009 che USA, Canada e Messico avevano proposto di eliminare progressivamente queste sostanze refrigeranti che hanno un impatto notevole sul global warming, utilizzando il Protocollo di Montreal (1989) per la protezione della fascia di ozono che aveva stabilito la progressiva eliminazione entro il 2030 dei CFC, ma Cina (il più grande produttore mondiale di HFC), India e Brasile si erano sempre opposti.

Seppure l’Accordo siglato non alteri il quadro UNFCCC sul Protocollo di Kyoto che gli USA non hanno mai ratificato e la Cina non sia tenuta alle riduzioni previste per i Paesi inclusi nell’Allegato I, di certo apre nuovi scenari per il contenimento del riscaldamento globale entro i 2 °C alla fine del secolo dal momento che gli HFC sono gas serra ben più potenti della CO2.

Proprio in questi giorni (24-28 giugno 2013) si sta svolgendo a Bangkok la 33a riunione delle Parti del Protocollo di Montreal e lì si avrà un test significativo sulla capacità della Cina di trascinare in questa nuova fase gli altri Paesi in via di sviluppo grandi produttori di HFC, con ripercussioni positive anche sulla Conferenza delle Parti sui Cambiamenti Climatici di novembre in Polonia, che dovrà definire un nuovo Accordo, in sostituzione di quello di Kyoto.

Il giorno 15 giugno, poi, il Governo cinese ha annunciato l’introduzione di “10 dure misure” per ridurre l’inquinamento atmosferico, dopo che il giorno prima in una riunione presieduta da Li Keqiang aveva approvato una serie di rigidi controlli sulle industrie che producono grandi quantità di emissioni e rifiuti.

L’obiettivo è di ridurre del 30% entro il 2017 le emissioni delle industrie pesanti come le acciaierie e i cementifici che dovranno sostituire le tecnologie obsolete e pubblicare i dati sugli inquinanti. Inoltre, saranno bloccati i progetti edificatori che non riusciranno a superare le valutazioni ambientali, ridotti gli usi di fonti fossili per gli impianti di produzione di energia elettrica, migliorati gli standard qualitativi dei carburanti, con la rottamazione dei mezzi di trasporto individuali più vecchi, controllati gli impianti condominiali di riscaldamento, molti dei quali vanno ancora a carbone.

Qualche giorno dopo, il 18 giugno a Shenzhen, una metropoli di oltre 10 milioni di abitanti sorta dal nulla 35 anni fa, ha preso avvio una sperimentazione per ridurre l’inquinamento tramite un sistema di mercato delle emissioni, simile all’ETS europeo, che costringerà le 635 imprese industriali e del settore delle costruzioni che non riusciranno a rimanere entro i tetti massimi assegnati di emissioni, ad acquistare i diritti da quelle che non li hanno superati. Entro l’anno la sperimentazione verrà estesa ad altre metropoli, compresa Pechino, con l’obiettivo di implementarla su tutto il territorio nazionale, qualora i risultati siano incoraggianti.

Infine, il 19 giugno la Corte Suprema cinese e le Agenzie di protezione ambientale hanno diffuso un documento in cui elencano 14 tipi di attività che saranno considerati con effetto immediato “crimini ambientali” penalmente perseguibili, fino a 7 anni di reclusione e, per i casi più gravi, è prevista la pena di morte.

Tra le tipologie di reato sono comprese, tra le altre: “scarico e trattamento di rifiuti radioattivi”; “l’abbandono di rifiuti contenenti agenti patogeni di malattie infettive”; “il rilascio di sostanze tossiche e inquinanti nelle aree protette e nei corsi d’acqua”. Recentemente, infatti, ci sono stati casi che hanno allarmato l’opinione pubblica e avuto vasta eco mediatica, come le 6.000 carcasse di animali infetti, per lo più di suini, che sono state scaricate nelle acque del fiume Jiapingtang, affluente del fiume Huangpu che attraversa la città di Shanghai.

Finora il Codice penale cinese prevedeva il reato solo in caso di decesso di una persona, d’ora in poi i responsabili potranno essere condannati, anche in assenza di conseguenze dirette sulle persone, facilitando il lavoro dei giudici nel condannare gli inquinatori.

Come si può constatare, il sistema istituzionale del Paese permette che, una volta assunte le decisioni, le azioni sono immediatamente conseguenti. Solo in seguito sarà possibile verificare se l’obiettivo prefissato sia stato troppo ambizioso e se non abbia costretto ad un forte rallentamento della crescita.

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