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Canapa indiana: ancora al centro di discussioni fra polemiche e leggi

Dal boom di esercizi commerciali a una timida liberalizzazione della canapa indiana. Federcanapa intende far chiarezza sulla filiera della canapa industriale, affinché venga valorizzato come prodotto agricolo e che non si inneschino incomprensioni dal punto di vista dell’utilizzo e della legislazione.

di Nicoletta Canapa

Non è la prima volta che la nostra testata tratta il delicato tema della cannabis: lo abbiamo fatto lo scorso anno, prima con un primo articolo sull’aspetto legislativo, rintracciandovi un imminente nuovo business, poi con un secondo sul boom di coltivazioni.

Ora però a fare chiarezza sulla cosiddetta “cannabis light” ci pensa direttamente Federcanapa, la Federazione nato con l’intento di dare voce e supporto tecnico-scientifico al fermento di iniziative in atto da due o tre anni in tutte le Regioni italiane e di costituire una rappresentanza autorevole nei confronti del Governo, delle amministrazioni regionali e degli altri settori industriali.

Dopo la sentenza n. 30475/2019 delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, si chiarisce una volta per tutte che la produzione e la commercializzazione di cannabis sono generalmente vietate, fatta eccezione per la produzione di fibre o altri usi industriali in conformità alla normativa Comunitaria e le destinazioni tassative di cui all’art. 2 della L. n. 242/2016.

In altre parole la sentenza della Corte di Cassazione ha delineato i confini della liceità in materia di cannabis, pertanto la canapa industriale può essere coltivata, trasformata, trasportata e commercializzata nell’ambito delle eccezioni che abbiamo precedentemente descritto.

Va da sé che i riferimenti alla normativa Comunitaria valgono comunque a qualificare la pianta di canapa – nella sua interezza – quale “prodotto agricolo” e quale “pianta industriale”. Fibra e canapulo, fiori, foglie e semi, quindi, possono essere prodotti e trattati, purché la canapa in questione non rientri fra le sostanze stupefacenti ovvero continui a sottostare ai livelli di THC (il principio attivo della cannabis) previsti dalla Legge.

La trasformazione della canapa è pertanto consentita, nel rispetto delle normative legislative da applicare ai relativi settori, i quali spaziano dai generi alimentari ai semilavorati, dalla cosmetica al florovivaismo. A tal proposito, proprio il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo (MiPAAFT)  ha recentemente ribadito la liceità della “produzione di parti di piante, quali foglie, fronde, infiorescenze e talee ornamentali secondo le norme in materia di sementi, di materiali di moltiplicazione delle piante ornamentali e fitosanitarie”, purché si tratti di prodotti finali non destinati ad ulteriori attività florovivaistiche.

Fra negozi che vendono la cannabis declinata sotto varie forme e la legislazione che sembra rincorrere una tendenza ormai dilagante, Fedecanapa ha affermato “con la massima fermezza e convinzione la piena liceità della filiera dalla canapa industriale che, in base alla normativa vigente (comunitaria e nazionale), incentiva e tutela la filiera produttiva di una pianta industriale per le finalità agro-industriali’.

Di fronte a un mercato in continua e rapida evoluzione, viene spontaneo affermare che un ambito così variegato come quello della canapa indiana difficilmente può essere rilegato all’interno di una singola legge agricola: i confini fra legittimità ed illegittimità, infatti, devono essere presumibilmente risolti nelle sedi competenti dei Tribunali o, auspicabilmente, della politica.

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