Il Report dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, adottato dalla Commissione UE, indica che non si arresta il degrado degli habitat naturali e che un terzo dell’avifauna è a rischio d’estinzione.
La maggior parte degli habitat e delle specie in Europa non gode di un favorevole o adeguato stato di conservazione, nonostante i significativi miglioramenti degli ultimi anni.
È quanto emerge dal Rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) “The State of Nature in the European Union”, adottato dalla Commissione UE il 20 maggio 2015, che fornisce il quadro generale più esaustivo mai stilato sullo “stato della natura nell’UE” sulla base delle relazioni che ogni 6 anni gli Stati membri sono tenuti a fornire sullo stato di conservazione e sulle tendenze degli habitat e delle specie oggetto delle Direttive “Uccelli” (79/409/CEE) e “Habitat” (92/43/CEE) che svolgono un ruolo centrale nella Strategia dell’UE sulla biodiversità.
“Questa relazione è significativa e tempestiva – ha dichiarato Karmenu Vella, Commissario UE responsabile per l’Ambiente, gli Affari marittimi e la Pesca – Anche se presenta un quadro nel complesso incerto, essa dimostra chiaramente che gli sforzi per migliorare gli ecosistemi vulnerabili possono rivelarsi estremamente efficaci. La relazione sottolinea inoltre l’importanza delle sfide che restano da affrontare. Dobbiamo fare di più per rispondere a queste sfide, dato che la salute della nostra natura è legata alla salute dei cittadini europei e alla nostra economia”.
La relazione è la prima valutazione a coprire entrambe le direttive e si fonda sulla più grande raccolta collaborativa di dati e valutazioni della natura mai realizzata in tutti gli Stati membri nel periodo 2007-2012.
Per quanto riguarda gli uccelli, la relazione conclude che oltre la metà di tutte le specie di uccelli selvatici valutati (52%) gode di uno stato sicuro, circa il 17% delle specie risulta tuttavia ancora minacciato, mentre per un altro 15% si parla di stock quasi a rischio, in declino o depauperati; tra queste si trovano specie agresti una volta comuni, come l’allodola (Alauda arvensis) e la pittima reale (Limosa limosa).
Esaminando altre specie protette dalla direttiva Habitat, quasi un quarto (23%) ha ricevuto una valutazione favorevole. Per più della metà (60%) lo stato indicato è ancora “sfavorevole” (per il 42% è “sfavorevole-inadeguato” e per il 18% “sfavorevole-scadente”). Le praterie, le terre umide e le dune destano particolare preoccupazione.
Nel complesso i tipi di habitat presentano uno stato di conservazione e una tendenza peggiori rispetto alle specie, poiché solo il 16% delle valutazioni che li riguardano è “favorevole”. La stragrande maggioranza degli habitat è in uno stato di conservazione “sfavorevole”: per il 47% delle valutazioni lo stato risulta “sfavorevole-inadeguato” e per il 30% “sfavorevole-scadente”.
Le principali minacce individuate per gli habitat sono date da alcune pratiche agricole (comprese modifiche di pratiche colturali, eccessivo sfruttamento del pascolo, abbandono dei sistemi pastorali, fertilizzazione e pesticidi) e dalle “modifiche delle condizioni naturali” causate dall’uomo (per lo più relative ai cambiamenti idrologici).
La relazione presenta inoltre i risultati positivi ottenuti da azioni di conservazione mirate promosse dall’UE. L’avvoltoio barbuto Gypaetus barbatus e il gobbo rugginoso Oxyura leucocephala sono entrambi oggetto di un piano d’azione dell’UE e hanno beneficiato del suo fondo LIFE: il loro numero ha registrato un sostanziale miglioramento. Natura 2000, la rete UE di aree protette che rappresenta il 18% del territorio dell’UE nonché la più vasta rete di aree protette al mondo, ha inoltre avuto un importante effetto positivo sullo stato di conservazione delle specie e dei diversi tipi di habitat.
Per comprendere meglio i fattori che influenzano lo stato attuale e le tendenze, gli Stati membri hanno fornito informazioni strutturate sulle pressioni e le minacce, vale a dire le cause che impattano sulle specie e sugli habitat.
Per i sistemi terrestri, l’ “agricoltura” e le “modifiche delle condizioni naturali” indotte dall’uomo sono i maggiori problemi individuati per tutti e tre i gruppi (uccelli, altre specie e habitat).
Per quanto riguarda l’agricoltura, la modifica delle pratiche di coltivazione, i pascoli per il bestiame (includendo l’abbandono dei sistemi pastorali/mancanza di pascoli), l’uso di fertilizzanti e pesticidi sono le pressioni e minacce più frequentemente citati.
In relazione alle “modifiche delle condizioni naturali”, indotte dall’uomo le condizioni idrologiche e dei corpi idrici, le variazioni idrografiche, la riduzione della rete di connettività degli habitat e il prelievo di acqua dalle falde sotterranee sono i principali fattori segnalati.
Questa valutazione è in linea con quella fatta ai sensi della Direttiva quadro sulle acque, dove agricoltura e idromorfologia sono state identificate come i principali fattori che incidono sui corpi idrici.
Per quanto riguarda i sistemi marini, l’ “uso delle risorse biologiche” (soprattutto pesca e raccolta di risorse marine, ma anche – in misura minore – acquacoltura) e “inquinamento” sono tra le principali pressioni, ma risultano significativi anche gli impatti derivanti dalla “modifica delle condizioni naturali” (dragaggio, modifica del regime idrologico e gestione costiera) e dalle “turbative indotte dalle attività umane” e dai “cambiamenti climatici” sugli uccelli marini.
“Questa valutazione unica è la prima del suo genere, basandosi sulle diffuse reti di osservazione di esperti e cittadini – ha osservato il Direttore esecutivo dell’AEA, Hans Bruyninckx – Nonostante alcune lacune informative, fornisce il quadro più completo sulla biodiversità in Europa fino ad oggi. I risultati sono eterogenei, ma inequivocabili. Quando vengono adeguatamente implementate, le misure di conservazione sono in grado di migliorare lo stato degli habitat e delle specie. Tali miglioramenti, tuttavia, sono ancora limitati e frammentari e, purtroppo, la biodiversità europea è ancora sottoposta ad erosione e a una continua pressione. Dobbiamo anche comprendere che quando si tratta di conservare e migliorare la biodiversità, occorre del tempo prima che le nostre azioni facciano la differenza su ampia scala. Pertanto, dobbiamo aumentare gli sforzi e le azioni”.