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Quel che si dovrebbe fare per ridurre lo smaltimento in discarica

Quel che si dovrebbe fare per ridurre lo smaltimento in discarica

Tartassare lo smaltimento in discarica, eliminare gli incentivi per il recupero energetico dai rifiuti, incentivare il riciclaggio perché diventi più conveniente del recupero energetico, promuovere serie politiche di prevenzione con il principio “chi inquina paga”: ecco la ricetta del tutto condivisibile di Legambiente.

Il Dossier “Ridurre e riciclare prima di tutto”, presentato da Legambiente il 19 novembre 2013, offre una conferma ulteriore, se mai ce ne fosse stato bisogno, di come la cattiva gestione dei rifiuti rischi di costare molto al nostro Paese qualora non si intervenga in tempi rapidi.
Nel 2012, secondo i dati ISPRA l’Italia continuava a smaltire troppi rifiuti urbani in discarica: 11,7 milioni di tonnellate ovvero 196 kg per abitante in un anno (il 39%) e la metà delle Regioni italiane ne metteva sotto terra più del 50%. In particolare, le Regioni che hanno fatto maggior ricorso alla discarica sono risultate: Sicilia (83% dei rifiuti urbani, 404 kg per abitante), Calabria (81%, 356 kg/ab) e Liguria (66%, 388 kg/ab), mentre il record in valore assoluto del quantitativo spetta al Lazio (2,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani), seguito dalla Sicilia (2 milioni di tonnellate) e dalla Puglia (1,2 milioni di tonnellate).
Sono ormai 20 anni che le normative dell’Unione europea prevedono che tale opzione sia del tutto residuale dopo la prevenzione, il riciclaggio e il recupero, eppure in Italia ci sono tuttora attive 186 discariche, tant’è che la Commissione UE ha avviato diverse procedure di infrazione nei confronti del nostro Paese, che rischiano di costarci, per le multe conseguenti alle mancate bonifiche, più di quanto spenderemmo per le operazioni di risanamento ambientale.

Che in questi anni sia mancata una corretta programmazione dell’Amministrazione centrale, realizzata attraverso la declinazione di pregnanti scelte operative e indirizzi tecnici, che avrebbe potuto attuare concrete azioni per ottimizzare la gestione integrata dei rifiuti, diretta anche al superamento di situazioni di criticità ed emergenza, l’ha rilevato di recente anche la Corte dei Conti nella “Relazione sulla gestione delle risorse del fondo per la promozione degli interventi di riduzione e della prevenzione di rifiuti e per lo sviluppo di tecnologie di riciclaggio”.

Legambiente punta il dito per questa situazione, soprattutto sui bassi costi dello smaltimento in discarica anche per lo scarso utilizzo da parte delle Regioni italiane dell’ecotassa ovvero il tributo speciale istituito con il comma 24 dell’Art. 3 della Legge n. 549 del 28 dicembre 1995 “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” che deve essere versato a favore delle Regioni per il conferimento in discarica dei rifiuti solidi, con lo scopo di ridurne la produzione e incentivarne il recupero.
A determinare l’entità di tale tributo è una Legge regionale, ma a quanto si può rilevare dal Dossier sono davvero poche le Regioni che hanno saputo utilizzare la leva economica per ridurre i rifiuti.
Suddividendo le Regioni in 3 Categorie, solo le Marche hanno previsto la modulazione del tributo in base ad un criterio di premialità/penalità, basato sul superamento degli obiettivi di legge sulla percentuale di raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio: maggiore è il superamento, maggiore è lo sconto sull’ecotassa in discarica praticato dai Comuni virtuosi.
Così nelle Marche il conferimento in discarica costa 120 euro a tonnellata, rispetto ad una media nazionale compresa tra i 70 e i 100 euro.

Alla seconda Categoria, rientrano quelle Regioni nelle quali la modulazione del tributo speciale per lo smaltimento in discarica è basata solo sul raggiungimento degli obiettivi di legge del 65% di raccolta differenziata, senza sconti progressivi e proporzionali all’aumentare della percentuale (AbruzzoLiguriaSardegnaSiciliaToscana e Veneto).
Alla terza Categoria rientrano le restanti Regioni che non hanno previsto alcuna norma sull’ecotassa.

Ma l’Associazione ambientalista avanza anche un’articolata proposta per affrontare la sfida di una diversa gestione dei rifiuti, basata su prevenzione e riciclo, che poggia su 4 punti.
1. Tartassare lo smaltimento in discarica
Per disincentivare l’uso in discarica il rispetto della direttiva europea non basta, serve utilizzare la leva economica per imporre un aumento dei costi di conferimento. Tutte le Regioni italiane devono fissare al tetto massimo di 25 euro per tonnellata l’entità del tributo regionale per i rifiuti che vengono smaltiti in discarica dopo il pretrattamento. Partendo da questa cifra, le Regioni devono però modulare il pagamento del tributo speciale per lo smaltimento in discarica in base a un criterio di premialità/penalità, secondo l’esempio delle Marche, premiando economicamente i Comuni più virtuosi, penalizzando invece quelli che non lo sono stati.

A tal proposito, osserviamo che va in direzione opposta l’Art. 15 “Misure per incrementare la raccolta differenziata e il riciclaggio” del d.d.l. “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”, il collegato ambientale alla Legge di Stabilità varato dal Consiglio dei Ministri l’8 novembre 2013, che, come abbiamo messo in risalto in un precedente post, sposta l’obbligo previsto dal D.lgs n. 152/2006 di raggiungere entro il 2006 l’obiettivo del 35% di raccolta differenziata, al 31 dicembre 2014 e, conseguentemente, anche quello del 45% (al 31 dicembre 2015) e del 65% (al 31 dicembre 2016), operando di fatto una vera e propria sanatoria per quei Comuni meno virtuosi e inadempienti, che per il mancato raggiungimento dell’obiettivo dal 2013 avrebbero dovuto pagare il 20% in più di tributo regionale per lo smaltimento in discarica e che con tale mascherata “proroga” non pagheranno per tutto il 2014.

2. Eliminare gli incentivi per il recupero energetico dai rifiuti
Negli ultimi 20 anni la combustione dei rifiuti è stata ampiamente incentivata rispetto ad altre forme di gestione dei rifiuti. Nonostante l’Europa indicasse di perseguire la prevenzione dei rifiuti e il riciclaggio prima del recupero energetico, queste due opzioni non hanno mai avuto lo stesso trattamento di favore riservato alla combustione dei rifiuti.

Anche in questo caso, la parte del collegato ambientale non pare che ci sia tale volontà all’interno del Governo, visto il dissidio insorto tra il Ministro dell’Ambiente e quello dello sviluppo economico in merito ad una moratoria sulla costruzione di nuovi termovalorizzatori, a cui abbiamo dato ampio risalto.

3. Incentivare il riciclaggio perché diventi più conveniente del recupero energetico
È fondamentale passare più in generale dalla logica degli incentivi solo per le raccolte differenziate a quelli anche per il riciclaggio. Si deve prevedere innanzitutto un regime di IVA agevolata (ad esempio al 10%) per i prodotti o manufatti realizzati con una percentuale minima di materiale riciclato. Ma è importante anche rendere obbligatori i cosiddetti “criteri ambientali minimi” negli appalti pubblici per promuovere gli acquisti verdi dalla filiera industriale del riciclaggio.

Su tale aspetto dirimente, indicato da Legambiente, il collegato ambientale dà risposta con l’art. 12 del Titolo V “Disposizioni incentivanti per i prodotti derivanti da materiali post consumo”, volto ad introdurre nella nostra legislazione un insieme di principi ed incentivi ai consumatori, alle aziende e agli enti locali per sostenere l’acquisto di prodotti realizzati con materiali derivati dalle raccolte differenziate post consumo in modo da promuoverne il recupero, riciclo e riutilizzo, oltre a ridurre i consumi energetici.
Se l’Art. 15 del collegato ambientale sopracitato non sarà modificato dal Parlamento, anche questo obiettivo non potrà essere conseguito nel breve termine, visto che per la prima applicazione di tali disposizioni si dovrà attingere al fondo costituito dall’addizionale al tributo di conferimento in discarica (ecotassa) dovuto dai Comuni che non conseguiranno gli obiettivi minimi di raccolta differenziata.

4. Promuovere serie politiche di prevenzione con il principio “chi inquina paga”
L’adozione recente del Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti è stata per molti versi un’occasione mancata: si delineano scenari ipotizzati, si chiede alle Regioni di attuare politiche di riduzione e non si prevedono ad esempio né finanziamenti per progetti per la concretizzazione delle politiche di prevenzione né sanzioni per chi non le attua. Per prevenire la produzione dei rifiuti, l’unico criterio da adottare è quello previsto dal principio europeo “chi inquina paga”.

Anche questo punto è del tutto condivisibile. Ma se il Governo continua pervicacemente a far pagare il servizio di gestione dei rifiuti (TARI, ex TARES, che potrebbe anche diventare TUC, ma che per quest’anno continuerà per lo più con la TARSU, cambiando acronimi come il gioco delle tre carte sulla base dei m2 dell’immobile posseduto, non premiando con una riduzione della tassa le utenze più virtuose, continuerà ad essere difficile perseguire anche questo obiettivo.

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