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“Punti di non ritorno”: con modelli spaziali ricominciare daccapo

Uno studio di un gruppo di scienziati internazionali, tra cui una ricercatrice dell’ISAC-CNR, basato su analisi matematiche di modelli spaziali e nuove osservazioni del mondo reale, ha trovato che i “punti di non ritorno” degli ecosistemi dovrebbero essere riconsiderati per determinare quali siano irreversibili e quali viceversa siano resilienti.

Sentiamo spesso dire che, data la crisi climatica in corso, potremmo raggiungere un “punti di non ritorno” (tipping point), cioè una condizione irreversibile per cui, per esempio, una savana potrebbe trasformarsi irrimediabilmente in deserto o la corrente del Golfo rallentare progressivamente il suo percorso.

Un gruppo internazionale di scienziati ecologisti e matematici, di cui fa parte anche Mara Baudena dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Cnr di Torino, è giunto ad una conclusione sorprendente, come riporta lo Studio, “Evasion of tipping in complex systems trough spatial pattern“, pubblicato su Science.

Dobbiamo fare tutto il possibile per fermare il cambiamento climatico – hanno affermato gli autori in completo accordo con l’ultimo preoccupante rapporto dell’IPCC – Tuttavia gli ecosistemi e la Terra sono molto più resilienti di quanto si pensasse in precedenza. Il concetto di ‘punti di non ritorno’ è troppo semplificato”.

Modello spaziale di cozze e diatomee su una piana di marea. Questa formazione consente di evitare i punti di non ritorno causati dall’innalzamento del livello del mare, in modo che le maree non la sommerga. I modelli spaziali sulla placca di marea, comprese le onde, si basano su simulazioni di modelli matematici (pattern&onde). ©Johan van de Koppel / Ulco Glimmerveen.

La ricerca ha analizzato i “punti di non ritorno” tenendo conto delle interazioni e dinamiche in un contesto esteso spazialmente. La formazione di strutture regolari nello spazio, come per esempio quelle illustrate nell’immagine soprastante, era spesso considerata un segno che il sistema si stava avvicinando a un “punto di non ritorno”. Invece, nuove analisi di modelli matematici e osservazioni da satellite hanno permesso di appurare che le strutture spaziali rendono gli ecosistemi più resilienti, rimanendo più stabili di quanto si pensasse anche ai cambiamenti climatici.

Questi modelli sembrano effettivamente consentire agli ecosistemi di eludere tali punti di non ritorno – ha dichiarato Max Rietkerk, Professore di ecologia spaziale e cambiamento globale all’Università di Utrecht e principale autore dello Studio – Questi risultati si basano su analisi matematiche di modelli spaziali e nuove osservazioni da ecosistemi del mondo reale”.

I modelli che emergono spontaneamente in natura sono spesso indicati come “modelli di Turing“, dal nome del famoso matematico britannico Alan Turing che nel 1952 descrisse i modelli in natura, come le strisce sui mantelli degli animali, che possono svilupparsi da una posizione di partenza omogenea. 

Nella scienza ecologica, i modelli di Turing sono spesso spiegati come segnali di allarme precoce, perché indicano un disturbo – ha chiarito Arjen Doelman di Analisi Applicate all’Università di Leiden e co-autore dello Studio – Il meccanismo di formazione del modello di Turing è ancora indiscusso. Ma il fatto che un modello si stia formando da qualche parte non significa necessariamente che un equilibrio sia interrotto oltre punto di non ritorno“. 

Come esempio di tale situazione, Rietkerk ha fatto riferimento al passaggio dalla savana al deserto. 
Lì puoi osservare tutti i tipi di forme spaziali complesse – ha osservato lo scienziato – È una riorganizzazione spaziale, ma non necessariamente un punto di svolta. Al contrario, i modelli di Turning sono in realtà un segno di resilienza”.

 Gli studiosi hanno scoperto un nuovo interessante fenomeno in ecologia: la multistabilità, che implica come molti modelli spaziali differenti possano verificarsi simultaneamente nelle stesse circostanze. 
Ciascuno di questi modelli può rimanere stabile in un’ampia gamma di condizioni e cambiamenti climatici – ha aggiunto Rietkerk – Inoltre abbiamo scoperto che qualsiasi sistema complesso abbastanza grande da generare schemi spaziali può anche eludere i punti di non ritorno”. 

La domanda ora è: quali sistemi sono sensibili a punti di non ritorno e quali no?
Ciò significa che dobbiamo tornare al punto di partenza per capire il ruolo esatto dei punti di non ritorno – ha concluso Rietkerk – Solo allora possiamo determinare quali condizioni e modelli spaziali determinano punti di non ritorno e quali no“.

In copertina: Il deserto del Sahara avanza verso la savana (Fonte: Haile F/Flickr)

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