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Orso polare: nel pelo un’alternativa alle PFAS

Un team internazionale di scienziati ha scoperto il segreto antigelo della pelliccia dell’orso polare, che consente ad uno degli animali più iconici del pianeta di sopravvivere e prosperare in un ambiente dai climi più rigidi, aprendo alla possibilità di applicazioni più sostenibili nella scienza dei materiali, tra cui alternative alle “sostanze chimiche per sempre” (PFAS) che sono anche utilizzate nelle scioline degli sciatori e snowborders.

La copertina del numero 5 del 31 gennaio 2025 della prestigiosa rivista internazionale Science Advances mostra un orso polare che si rotola nella neve. Gli orsi polari sono gli unici mammiferi terrestri dell’Artico che si immergono in acqua per cacciare, ma la loro pelliccia è solitamente priva di ghiaccio nonostante le temperature proibitive.

L’immagine riporta all’articolo all’interno, considerato quindi il più importante del numero, “Anti-icing properties of polar bear fur”, studio condotto da un gruppo internazionale di ricercatori affiliati di varie istituzioni accademiche e istituti di ricerca, tra cui il Trinity College di Dublino, la Royal Society-Science Foundation Ireland University, il Centre for Advanced Materials and BioEngineering Research (AMBER) di Irlanda, l’University College London, l’Università di Bergen (Norvegia), che ha analizzato le proprietà antigelo della pelliccia dell’orso polare, scoprendo che il basso accumulo di ghiaccio è una conseguenza del sebo della pelliccia, o grasso dei peli.

Tutto è partito da un’osservazione di Bodil Holst, professoressa di fisica all’Università di Bergen che aveva osservato come gli orsi polari siano invisibili alle telecamere a infrarossi, lasciando intravedere che la loro pelliccia sia estremamente fredda. Ma se fosse così, si è chiesta, perché l’acqua sui loro corpi non si trasforma in ghiaccio? 

Ha contattato quindi i colleghi del Norwegian Polar Institute di Tromsø   che l’hanno messa in contatto con il dottorando di ricerca sulla caratterizzazione dei materiali avanzati presso la Facoltà di Chimica al Trinity College di Dublino, Julian Carolan che viene incaricato di indagare su questo enigma, coinvolgendo altri scienziati e ricercatori.

(A) Orso polare che scivola lungo un pendio di neve a Sallyhamna, isola di Spitsbergen, Svalbard, Norvegia.
(B) Immagine a infrarossi che mostra la temperatura della pelliccia dell’orso polare e della neve circostante, scattata con una FLIR E75 24o (FLIR Systems OÜ, Estonia), Arcipelago delle Svalbard, Norvegia.
(C) La femmina adulta dell’orso polare scuote l’acqua dalla pelliccia dopo essere uscita dall’acqua sul ghiaccio marino. Olgastretet, Mare di Barents, Arcipelago delle Svalbard, Norvegia.
(D) Un orso polare maschio adulto si pulisce la pelliccia rotolandosi e sfregando contro il ghiaccio marino coperto di neve. Oceano Artico, vicino a 81° N, a nord dell’arcipelago delle Svalbard, Norvegia.
Crediti delle immagini: (A) P. Souders, Getty Images; (B) J. Aars, Norsk Polarinstitutt; e (C) e (D) J. E. Ross, LifeOnThinIce.org. (Fonte Science Advances)

Dopo aver condotto ricerche nella regione artica, raccogliendo e esaminando peli raccolti da sei orsi polari in natura, gli scienziati si sono concentrati sul “sebo” (o grasso) dei peli, quale fattore protettivo più importante. Questo sebo, secreto dalle ghiandole sottocutanee (e presente anche negli esseri umani e in altri mammiferi), è ricco di sostanze chimiche come colesterolo, diacilgliceroli e acidi grassi, tutti idrorepellenti, rende molto difficile al ghiaccio di attaccarsi alla loro pelliccia.

Abbiamo misurato la forza di adesione del ghiaccio, una misura utile per capire come il ghiaccio si attacchi alla pelliccia; l’idrofobicità, che determina se l’acqua può essere eliminata prima che si congeli; e il tempo di ritardo del congelamento, che mostra semplicemente quanto tempo impiega una goccia d’acqua a congelare a determinate temperature su una determinata superficie – ha affermato Carolan – Abbiamo quindi confrontato le prestazioni del pelo dell’orso polare con quelle dei capelli umani e di due tipi di “pelli da sci” speciali realizzate dall’uomo. Il sebo è saltato subito all’occhio come componente chiave che conferisce questo effetto antighiaccio, poiché abbiamo scoperto che la forza di adesione era notevolmente influenzata quando i capelli venivano lavati. I capelli non lavati e grassi rendevano molto più difficile l’adesione del ghiaccio. Al contrario, quando i peli dell’orso polare venivano lavati e il grasso veniva in gran parte rimosso, si comportavano in modo simile ai capelli umani, ai quali il ghiaccio si attacca facilmente, che siano lavati o unti“.

Oltre a identificare i componenti chiave del sebo degli orsi polari, i ricercatori sono rimasti sorpresi nello scoprire che lo “squalene” era assente. Questo metabolita grasso è presente nei capelli umani e nei capelli di altri animali acquatici, come le lontre marine, il che suggerisce che la sua assenza nei peli dell’orso polare è molto importante dal punto di vista antighiaccio.

Questo lavoro non solo rappresenta il primo studio sulla composizione del sebo della pelliccia dell’orso polare, ma risolve anche la questione del perché gli orsi polari non soffrano di accumulo di ghiaccio – ha dichiarato Richard Hobbs, Professore associato alla Royal Society-Science Foundation e alla School of Chemistry and Advanced Materials and Bioengineering Research Centre (AMBER) – Nonostante abbiano spessi strati di grasso e pelliccia isolanti e trascorrano lunghi periodi in acqua a temperature sotto lo zero, sembra che il grasso della pelliccia fornisca una via naturale agli orsi polari per liberarsi facilmente del ghiaccio quando si forma, a causa della bassa aderenza del ghiaccio sulla loro pelliccia. Ci aspettiamo che questi rivestimenti lipidici naturali prodotti dall’orso ci aiutino a sviluppare nuovi rivestimenti antighiaccio più sostenibili che potrebbero sostituire i problematici PFAS che vengono utilizzati come rivestimenti antighiaccio“.

Oltre a queste proprietà chimico-fisiche, secondo gli autori, queste interessanti scoperte ci aiutano anche a comprendere meglio i comportamenti di caccia, sia degli orsi polari che delle popolazioni autoctone Inuit.

Una delle principali strategie di caccia degli orsi polari è la ‘caccia immobile’, allorché rimangono immobili accanto a un foro in attesa che le foche emergano dal ghiaccio marino per respirare – ha osservato la Prof,ssa Holst, autrice senior dello studio – La caccia immobile si trasforma spesso in una ‘caccia acquatica’ in cui l’orso polare usa le zampe posteriori per scivolare nell’acqua e inseguire la preda, e minore è l’aderenza del ghiaccio, minore è il rumore generato e più veloce e silenziosa è la scivolata”.

Orso polare a caccia di foche sul ghiaccio marino. Isola di Spitsbergen (Svalbard). Foto di  Audun Rikardsen  fotografo naturalista e professore di biologia marina presso The Arctic University of Norway.

Durante una visita al National Museum di Danimarca la Holst aveva osservato come gli Inuit abbiano utilizzato la pelliccia di orso polare per secoli. In particolare, il metodo di preparazione tradizionale Inuit protegge di sebo la pelliccia, assicurandosi che il lato della pelle ricoperto di peli non venga lavato. Questo è diverso, ad esempio, dalla pelle di volpe, che tradizionalmente viene pulita strofinando il lato ricoperto di peli con pietra ollare o argilla secca.

I risultati dello studio ci aiutano anche a comprendere l’arguzia delle azioni adottate dagli Inuit per ottimizzare le strategie di caccia, imitando il metodo “immobile” dell’orso polare – ha aggiunto Holst – Gli sgabelli da caccia degli Inuit sono talvolta rivestiti di pelliccia di orso polare per evitare che facciano rumore quando si muovono sul ghiaccio, mentre le persone a volte indossano anche ‘pantofole di orso polare’, assicurandosi che l’intera area di contatto con il ghiaccio sia coperta da pelliccia di orso polare a bassa aderenza al ghiaccio per una riduzione ottimale del rumore“.

La ricerca ha portato anche ad una domanda di brevetto per sviluppare una cera da sci ecologica basata sui composti del sebo dell’orso bianco, prodotta sinteticamente, con l’obiettivo di avere un giorno una nuova sciolina per chi pratica lo sci di fondo, lo sci alpino e lo snowboard, senza composti chimici, tra cui le PFAS. 

Sempre più spesso, per trovare risposte a problematiche umane e sviluppare nuovi prodotti e tecnologie gli scienziati si rivolgono ad animali che hanno già sviluppato le proprie soluzioni. Perdere la biodiversità, significherebbe sbarrare la strada a innumerevoli promettenti terapie del futuro. Per effetto dei cambiamenti climatici indotti dalle attività antropogeniche, l’orso polare, simbolo iconico dell’Artico, è una delle specie maggiormente minacciate ed è classificato come vulnerabile nella Red List della IUNC.

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