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Nevica plastica sulle alte montagne della Valle d’Aosta

“Nevica plastica” è il titolo del Dossier con i risultati della campagna di campionamenti sulle nevi residue dell’inverno e primavera precedente, effettuati nel corso della gara di trail Tor des Géants® 2019, da cui emerge che sulle montagne più alte d’Italia cadrebbero 80 milioni di microplastiche (il 45% delle particelle rinvenute): In pratica, “nevicano” ogni anno 25 chili di plastica, confermando come, sospese nell’aria, possano raggiungere i luoghi più reconditi della Terra.

Ogni anno 200 milioni di frammenti all’anno cadono con la neve sulle montagne della Valle d’Aosta, ovvero 25 chili di plastica.

di E. B.

È quel che emerge dai risultati di una ricerca effettuata sulle nevi residue delle nevicate dell’anno, grazie ai campionamenti effettuati in occasione del “Tor des Géants® 2019” (Giro dei giganti in patois valdostano), una gara di trail, considerata la più dura del mondo, che si svolge nel mese di settembre con partenza e arrivo a Courmayer e che quest’anno è stata annullata per effetto delle misure di distanziamento sociale e divieto di assembramenti, correlate al contenimento di Covid-19.

Nel corso della passata edizione, la Società Cooperativa ERICA, in collaborazione con l’European Research Institute e VdATrailers, la società che organizza la gara, e l’Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale (AICA), ha condotto una campagna di campionamenti sulle nevi residue dell’inverno e primavera precedente, i cui risultati sono stati ora pubblicati in un primo dossier dal titolo “Nevica Plastica”. 

Mentre si stanno intensificando le ricerche sulla diffusione delle microplastiche che hanno ormai contaminato gli angoli più reconditi del Pianeta, come ha recentemente rilevato uno Studio del CNR, che le ha ritrovate nel corpo di un minuscolo crostaceo delle isole Svalbard, o quello condotto dall’Alfred Wegener Institute (AWI) – Helmholtz Center for Polar and Marine Research sulle nevi dell’Artico e delle Alpi svizzere, allo scrittore e saggista Roberto Cavallo, eco-runner e Amministratore delegato di ERICA, è venuta l’idea di analizzare le nevi che restano alla fine dell’estate sulle montagne più alte d’Europa.

I campioni di neve sono stati prelevati in 4 siti toccati dalla corsa, compresi tra i 2.500 e i 3.000 metri di altitudine e successivamente dall’ARPA Valle d’Aosta in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano, sotto la direzione dei professori Marco Parolini Roberto Ambrosini del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano.

Su 8 litri analizzati sono state trovate, a seguito di una rigorosa procedura analitica, 40 particelle di cui ben il 45% erano microplastiche, il 43% fibre di cellulosa, il 2% lana, mentre per il 10% non è stato possibile arrivare ad un’identificazione univoca.

Le microplastiche sono state quindi analizzate al microscopio e in spettroscopia IR così da verificarne la forma, le dimensioni e la composizione polimerica. Il 39% delle microplastiche è rappresentato da fibre o fili, mentre il restante 61% sono frammenti di diversa forma. La dimensione delle microplastiche varia da 50 micron a poco meno di 2 millimetri, con un valore medio di circa 300 micron.

Il colore più rappresentato è il bianco (50%), seguito dal blu (28%) e dall’azzurro (11%), mentre le microplastiche di colore rosa o viola contribuiscono per una esigua percentuale (5,5% in entrambi i casi).

Il polimero più rappresentato è risultato essere il polietilene (39%), seguito dal PET (17%), da HDPE (17%) e dal poliestere (11%), mentre un contributo inferiore è dato dal LDPE (6%), dal polipropilene (5%) e dal poliuretano (5%), individuato per la prima volta dai ricercatori dell’ateneo milanese.

Proiettando i numeri di questa prima ricerca sulle precipitazioni nevose che nel 2019 hanno interessato la porzione di arco alpino della Valle d’Aosta i ricercatori hanno stimato che ogni anno sulla regione cadrebbero 200 milioni di particelle di cui 80 milioni di microplastiche, in pratica “nevicano” ogni anno 25 chili di plastica sulle montagne più alte d’Italia. Valore molto probabilmente sottostimato dal momento che le nevi, terminato l’inverno, con l’aumento delle temperature, fondono e riversano il loro contenuto nei ruscelli e nei torrenti che scendono a valle.

Vivo in me una doppia emozione, di soddisfazione, da ricercatore, per aver dimostrato che ci sia ancora molta strada da fare, andando ad indagare ambienti e matrici ancora mai studiate, ma anche di enorme preoccupazione, da divulgatore, perché ogni studio evidenzia come il problema dei rifiuti dispersi nell’ambiente, sia molto più grande di come possiamo immaginarcelo. Per questo continuo a correre testimoniando l’importanza di non buttare nulla a terra, ma al contrario se si vede qualcosa chinare la schiena e raccoglierlo”, ha  commentato Cavallo che è già pronto per la nuova edizione di“Keep Clean and Run” (Pulisci e Corri), la versione italiana della Campagna “Let’s Clean-Up Europe” di sensibilizzazione e mobilitazione contro il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti in natura, di cui è l’ideatore e che quest’anno, sempre a causa del Covid-19 è stata spostata dalla primavera a settembre, con partenza il 4 da Cortina e arrivo il 10 a Trieste, correndo sui luoghi della prima guerra mondiale.

Ma se le microplastiche possono rimanere sospese nell’aria per ridiscendere sulla superficie della Terra con le precipitazioni, potrebbero avere un ruolo anche nella diffusione dei virus come il SARS-CoV-2?

Tale ipotesi di esposizione indiretta al contagio è stata avanzata da un recente studio pre-print, che necessita tuttavia di verifiche e ulteriori approfondimenti.

Resta il fatto che un precedente studio aveva correlato la maggior diffusione del nuovo coronavirus con l’inquinamento atmosferico, in particolare con le elevate concentrazioni di particolato atmosferico (PM) che rimane in atmosfera per giorni ed essere trasportato anche per lunghe distanze, funzionando da vettore di trasporto per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus, che vi si attaccano.

Tenendo presente che il nuovo coronavirus può sopravvivere sulla plastica per due o tre giorni, non è peregrina l’ipotesi che la diffusione delle microplastiche nell’aria possa costituire un ulteriore potenziale rischio per la salute umana, oltre quello di entrare nella catena alimentare.

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