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Investimenti: nelle energie rinnovabili rendono molto più che nelle fossili

Una ricerca dell’Imperial College e dell’Agenzia Internazionale dell’Energia sugli investimenti nelle società quotate negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Germania e Francia, ha rilevato che quelli nelle fonti pulite hanno avuto migliori performance che quelli nelle fonti fossili, anche se il loro peso è ancora limitato e, soprattutto, non allineato alle necessità dell’obiettivo dell’Accordo di Parigi.

Gli investimenti nelle energie rinnovabili stanno producendo rendimenti notevolmente migliori rispetto ai combustibili fossili negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Europa, ma il loro volume totale non è ancora vicino a quello necessario per mitigare i cambiamenti climatici.  

È quanto rileva lo Studio Energy Investing: Exploring Risk and Return in the Capital Markets”,condotto congiuntamente dall’Imperial College di Londra e dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA)che ha esaminato le prestazioni delle società quotate negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Germania e Francia, coinvolte nella fornitura di combustibili fossili e le ha confrontate con le aziende attive nelle energie rinnovabili nell’ultimo decennio.

Lo Studio, il primo di una serie di approfondimenti condotti da Imperial che esamina l’attrattiva finanziaria del settore delle energie rinnovabili, riporta che negli Stati Uniti, le energie rinnovabili hanno prodotto rendimenti del 200,3% rispetto al 97,2% dei combustibili fossili. Nel Regno Unito, gli investimenti nell’energia verde (i dati riguardano l’ultimo quinquennio a causa della mancanza di società quotate nel periodo tra il 2010 e il 2015) hanno generato rendimenti del 75,4% rispetto all’8,8% dei combustibili fossili. In Germania e Francia, analizzate insieme, hanno dato rendimenti del 178,2%, rispetto al -20,7% degli investimenti in combustibili fossili. 

Inoltre, le quotazioni delle società di energia pulita sono risultate meno volatili durante le turbolenze causate dalla pandemia di Covid-19, offrendo agli investitori rendimenti totali “significativamente più alti” rispetto alle quotazioni dei combustibili fossili che sono crollate nel periodo. Negli Stati Uniti i rendimenti dell’energia verde sono aumentati del 2,2% negli ultimi quattro mesi, quando quelli dei combustibili fossili sono precipitati di oltre il 40%.

Tuttavia, gli autori dello Studio evidenziano che negli Stati Uniti, che hanno fornito il set di dati più ampio, la capitalizzazione media di mercato nel portafoglio dell’energia verde è stata solo un quarto del portafoglio dei combustibili fossili: 9,89 miliardi di dollari per gli idrocarburi contro 2,42 miliardi di dollari per le energie rinnovabili.

“È un momento di indubbia crescita degli investimenti nell’energia rinnovabile, basato sui suoi vantaggi economici – ha affermato Charles Donovan, Direttore esecutivo del Center for Climate Finance and Investment presso l’Imperial College Business School di Londra – I nostri risultati mostrano che l’energia rinnovabile sta avendo rendimenti elevati, ma non ha ancora attratto un sostegno considerevole da parte degli investitori azionari quotati“.

L’allocazione di capitali sulle fonti rinnovabili attraverso i mercati azionari è ben al di sotto degli obiettivi globali di decarbonizzazione delle forniture di energia, in gran parte a causa di una serie di ostacoli che gli investitori devono affrontare.

Il Rapporto dell’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) dell’inizio d’anno ha indicato che per essere in linea con la traiettoria di decarbonizzazione per il conseguimento dell’obiettivo dell’Accordo di Parigi, gli investimenti annuali nelle energie rinnovabili dovrebbero raddoppiare, passando dai circa 330 miliardi di dollari di oggi, ai 750 miliardi di dollari nel 2030.

Le attuali normative nel settore degli investimenti – ha aggiunto Donovan – dovranno cambiare per offrire ai risparmiatori e ai pensionati modi migliori per partecipare agli aspetti positivi di una transizione verso l’energia pulita”.

Secondo il Rapporto, il motivo per cui gli investimenti nelle energie rinnovabili rimangono relativamente bassi nonostante rendimenti invitanti, è da ricercare nella richiesta da parte dei grandi gestori patrimoniali e degli investitori istituzionali, come i fondi pensione, di una maggiore capitalizzazione rispetto alla quota di mercato attualmente detenuto dalle energie rinnovabili.
Sarebbe più facile assegnare una percentuale significativa del loro patrimonio gestito alle energie rinnovabili, qualora il mercato fosse di maggiore spessore e liquidità -afferma il Rapporto – Attualmente, non è così“.

Inoltre, gli autori attribuiscono gran parte dell’incertezza sul fatto che le energie rinnovabili siano relativamente giovani sul mercato: “Non sorprende che molti investitori considerino ancora il settore dell’energia rinnovabile come un’area nascente. Sono ancora troppo poche le società di settore specializzate, e sono ancora poche le informazioni su tali società e le storie commerciali sono relativamente brevi. Mentre esiste un corpus di pubblicazioni che si stanno sviluppando sugli specifici fattori di rischio di investimento associati alle energie rinnovabili, quello relativo alle prove pratiche rimane limitato”.

Nei giorni scorsi un ampio gruppo di investitori privati che gestiscono un patrimonio di 30.000 miliardi di dollari, amministratori delegati di grandi imprese, scienziati e istituti di ricerca hanno inviato a Fatih Birol, Direttore esecutivo dell’IEA, una Lettera aperta, diffusa da Mission2020.

Di fatto, l’Agenzia viene accusata che nel suo annuale World Energy Outlook (WEO), dove si fanno previsioni sull’evoluzione del sistema energetico globale negli anni a venire e che per la sua autorevolezza divenuto il punto di riferimento delle informazioni chiave per gli investitori globali, gli scenari allineati agli obiettivi dell’Accordo di Parigi hanno un ruolo marginale.

Alla luce del notevole impatto dell’Agenzia sul processo decisionale globale in materia di energia – affermano gli autori della Lettera – gli strumenti forniti forniranno innumerevoli investimenti e decisioni che potrebbero bloccare un futuro ad alto contenuto di carbonio in modo devastante effetto o, viceversa, accelerare la transizione verso un’economia di energia pulita”.

Per cui si chiede che nel Rapporto speciale sulle opzioni per i recuperi economici verdi dopo la pandemia, previsto per l’estate, l’IEA ponga al centro lo scenario che indica quanto velocemente devono cadere le emissioni di gas serra per conseguire l’obiettivo di limitare l’aumento del riscaldamento globale a 1.5 °C.

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