Demografia Società

Indicatori demografici: in Italia i figli nascono dove c’è sviluppo

I dati degli Indicatori demografici 2019 forniti dall’Istat indicano un calo delle natalità in Italia che ci riporta al tempo della I Guerra Mondiale e al contempo che sussiste una certa correlazione tra le intenzioni riproduttive e potenzialità garantite da un maggior sviluppo economico e sociale regionale.

L’Istat ha pubblicato l’11 febbraio 2020 “Indicatori demografici 2019”, da cui si evidenzia che la popolazione residente in Italia al 1° gennaio 2020 è pari 60 milioni 317mila, 116mila in meno su base annua: 54 milioni 935mila italiani e 5 milioni 382mila stranieri (numero in crescita rispetto allo scorso anno, a cui si sono aggiunti i 220 mila acquisiti grazie alle migrazioni, con 63 mila nuovi nati contro appena 8 mila decessi, mentre vanno sottratte le unità cancellate per la revisione anagrafica e 109 mila stranieri divenuti cittadini italiani). La Regione dove è più alta l’incidenza degli stranieri è l’Emilia Romagna, con un tasso del 12,6%, seguita dalla Lombardia (1,2%) e dal Lazio (11,7%).

Al contempo, 120 mila italiani (3 mila in più rispetto all’anno precedente), sono emigrati all’estero.

Il 2019 è, infatti, un anno nel quale le tendenze demografiche risultano da un punto di vista congiunturale in linea con quelle mediamente espresse negli anni più recenti – osserva l’Istat – Le evidenze documentano ancora una volta bassi livelli fecondità, un regolare quanto atteso aumento della speranza di vita, cui si accompagna, come ormai di consueto, una vivace dinamica delle migrazioni internazionali”.

 Aumenta il divario tra nascite e decessi: per 100 persone decedute arrivano soltanto 67 bambini (dieci anni fa erano 96): il tasso di natalità dell’1,29% riporta il Paese al 1918, quando gli uomini erano al fronte durante la I Guerra Mondiale.
Il calo delle natalità sarebbe ancora più marcato se non ci fosse il contributo alle nascite da parte delle donne immigrate. Circa un quinto di bimbi nati nel 2019, infatti, ha madre straniera. Tra queste nascite, pari a un totale di 85 mila, 63 mila sono quelle prodotte con partner straniero (che quindi incrementano il numero di nati in Italia con cittadinanza estera), 22mila quelle con partner italiano.

L’età media al parto ha toccato i 32,1 anni, anche perché nel frattempo la fecondità espressa dalle donne 35-39enni ha superato quella delle 25-29enni. Fanno più figli le donne ultraquarantenni di quanti ne facciano le giovani sotto i 20 anni di età, mentre il divario con le 20-24enni è stato quasi del tutto assorbito.

Il calo della popolazione si concentra prevalentemente nel Mezzogiorno (-6,3 per mille) e in misura inferiore nel Centro (-2,2 per mille). Nel 2019 la fecondità più elevata si manifesta nel Nord del Paese (1,36 figli per donna), ben davanti a quella del Mezzogiorno (1,26) e del Centro (1,25). Il primato della zona più prolifica spetta alla Provincia di Bolzano con 1,69 figli per donna, che precede Trento con 1,43. A parte queste due specifiche realtà del Nord-est, la zona dove la propensione ad avere figli risulta più alta è in Lombardia (1,36), Emilia-Romagna (1,35) e Veneto (1,32), “evocando una discreta correlazione tra intenzioni riproduttive e potenzialità garantite da un maggior sviluppo economico e sociale di tali regioni”.

La speranza di vita alla nascita per le donne è di 85,3 anni, mentre è di 81 anni per gli uomini. Sale l’età media: 45,7 anni al primo gennaio 2020. Positivi, ma in rallentamento i flussi migratori netti con l’estero: il saldo è di +143mila, 32mila in meno rispetto al 2018, frutto di 307mila iscrizioni e 164mila cancellazioni.

Nel Nord-est si riscontrano condizioni di sopravvivenza assai favorevoli. Gli uomini residenti possono infatti contare su una speranza di vita alla nascita pari a 81,6 anni, le donne pari a 85,9. Il Mezzogiorno, invece, gode di condizioni di sopravvivenza meno favorevoli, in virtù di una speranza di vita alla nascita di 80,2 anni tra gli uomini e di 84,5 tra le donne. Intermedi e ravvicinati sono invece i livelli di sopravvivenza nel Nord-ovest e nel Centro, dove risulta identica la speranza di vita alla nascita per le donne (85,5) mentre leggermente favoriti risultano i residenti nel Centro per quanto concerne gli uomini (81,3 contro 81,1).

Il primato regionale tra gli uomini compete alla Provincia di Trento (82,2 anni), seguono Umbria (81,9), Marche (81,8) e Provincia di Bolzano (81,8). Trento rappresenta l’area più favorevole per la sopravvivenza anche per le donne, grazie a una vita media di 86,6 anni, dato che costituisce, peraltro, il più alto livello di speranza di vita alla nascita mai toccato nella storia del Paese per una singola regione, facendo suonare un campanello di allarme per la tenuta sia del sistema pensionistico che di quello sanitario del nostro Paese.

Prosegue il processo di crescita della popolazione nel Nord (+1,4 per mille). Lo sviluppo demografico più importante si è registrato nelle Province autonome di Bolzano e Trento, rispettivamente con tassi di variazione pari a +5 e +3,6 per mille. Rilevante anche l’incremento di popolazione osservato in Lombardia (+3,4 per mille) ed Emilia-Romagna (+2,8). La Toscana, pur con un tasso di variazione negativo (-0,5 per mille), è la regione del Centro che contiene maggiormente la flessione demografica e comunque l’ultima a porsi sopra il livello di variazione medio nazionale (-1,9).

Diverse le condizioni di sviluppo demografico nelle quali versano le singole regioni del Mezzogiorno, la migliore delle quali (Sardegna) viaggia nel 2019 a ritmi di variazione della popolazione pari al – 0,53%, mentre è particolarmente critica la dinamica demografica di Molise e Basilicata che nel volgere di un solo anno perdono circa l’1% delle rispettive popolazioni.

Nel Mezzogiorno il bilancio demografico complessivo presenta per l’ennesima volta (dal 2014) segno negativo (-129mila residenti, pari al -6,3 per mille abitanti), per effetto, soprattutto, delle migrazioni interne (-3,8 per mille). Nel corso del 2019 circa 418mila persone hanno lasciato il Mezzogiorno per trasferirsi in un altro Comune italiano (eventualmente anche dello stesso Mezzogiorno, ma in ogni caso diverso da quello di origine), mentre circa 341mila sono gli individui che hanno eletto un Comune del Mezzogiorno quale luogo di dimora abituale (eventualmente anche provenienti da altro Comune dello stesso Mezzogiorno).

Tale dinamica sfavorevole ha generato, quindi, un saldo negativo pari a -77mila unità per il complesso della ripartizione, risultando peraltro accresciuto rispetto al -73mila occorso nel 2018. La questione accomuna tutte le regioni del Mezzogiorno pur se all’interno di un contesto eterogeneo nel quale i margini di grandezza variano dal -1 per mille della Sardegna al -5,8 per mille della Calabria. Le regioni del Nord, dove globalmente si riscontra un tasso del +2,5 per mille, sono quelle a maggiore capacità attrattiva, rispetto a quelle di un Centro che nel complesso registra un +0,6 per mille.

Emergono flussi migratori netti molto positivi tanto nella zona nord-occidentale (Lombardia, +3 per mille), quanto soprattutto in quella nord-orientale e segnatamente nelle Province di Trento (+3,9) e Bolzano (+3,4) e in Emilia-Romagna (+3,7).

Il calo delle nascite è un problema per l’esistenza del Paese – ha ammonito il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ricevendo al Quirinale una delegazione del Forum delle Associazioni Familiari – Il dato dell’Istat indica che il numero delle famiglie in Italia è diminuito considerevolmente. Come conseguenza dell’abbassamento di natalità vi è un abbassamento del numero delle famiglie. Questo significa che il tessuto del nostro Paese si indebolisce e va assunta ogni iniziativa per contrastare questo fenomeno”.

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