Circular economy Risorse e rifiuti Sostenibilità

L’impronta ecologica e la crescita di preoccupazione dell’opinione pubblica

impronta ecologica

Se l’umanità per secoli ha usufruito delle risorse della Terra, mantenendo il prelievo all’interno del bilancio e dei confini planetari, secondo calcoli fatti dal Global Footprint Network, dagli anni ’70 la comunità globale ha iniziato a consumare più di quanto gli ecosistemi terrestri siano in grado di produrre risorse ed assorbire rifiuti (overshooting). Quindi, l’Earth Overshoot Day, seppure pensato come una stima piuttosto che una data esatta, segnala il momento in cui l’umanità contrae un debito ecologico. Quest’anno è caduto il 2 agosto, mentre l’anno scorso è arrivato l’8 agosto. Quando nel 1993 venne sviluppata l’idea dell’Earth Overshoot Day quale data di un determinato anno in cui il nostro consumo di risorse naturali supera la capacità rigenerativa del Pianeta, era stato il 21 ottobre. Anno dopo anno cominciamo ad “indebitarci” sempre prima, scaricando sulle future generazioni gli interessi passivi.

Peraltro, il “quando” è meno importante del “quanto”, perché indipendentemente da quale approccio scientifico sia usato e quali miglioramenti metodologici siano adottati per cercare di tenere conto del fabbisogno umano e della produzione naturale, l’andamento rimane sempre lo stesso. Il nostro debito sta aumentando e matura interessi crescenti che stiamo pagando e che si traducono in: carenza di cibo; popolazioni di animali selvaggi in caduta libera; scomparsa delle foreste; degrado della produttività delle terre; crescente CO2.
Se guardiamo l’impronta ecologica di ogni nazione, ci si rende conto che sono pochi Stati che con lo stile di vita dei propri abitanti che consumano più servizi e risorse, e tra questi c’è l‘Italia che avrebbe consumato il suo budget già il 19 maggio, e se ogni individuo consumasse quanto un italiano sarebbero necessari 2,6 Pianeti.

Nonostante l’adozione nel 2015 dei Sustainable Development Goals (SDGs), nulla è cambiato, anzi si può ben dire che le promesse e le belle parole dei leader politici vengono contraddette dai fatti. Così, mentre l’Agenda ONU al 2030 presuppone che ad ogni anno che passa si posticipi l’Overshoot Day così da recuperare gradualmente la sostenibilità nello sfruttamento delle risorse, si continua a perpetrare il loro consumo in tempi sempre più ristretti.
Il nostro pianeta è finito, ma le possibilità umane non lo sono – ha affermato Mathis Wackernagel, co-fondatore e Ceo di Global Footprint Network Global Footprint Network, l’organizzazione di ricerca internazionale che ha dato avvio al metodo di misura dell’Impronta Ecologica – Vivere all’interno delle capacità di un solo pianeta è tecnologicamente possibile, finanziariamente vantaggioso ed è la nostra unica possibilità per un futuro prospero. In definitiva, posticipare nel calendario la data del Giorno del Superamento della Terra è quello che davvero conta“.

Se ogni anno facessimo arretrare di 4,5 giorni il giorno del sovrasfruttamento, torneremmo a vivere entro i limiti di un solo pianeta entro il 2050; attualmente stiamo consumando 1,7 pianeti Terra. Ridurre del 50% la componente dell’Impronta Ecologica globale dovuta all’assorbimento di anidride carbonica, sposterebbe la data dell’Overshoot Day verso la fine dell’anno di 89 giorni.

La sola componente di anidride carbonica dell’impronta ambientale è più che raddoppiata dagli inizi degli anni ’70 e rimane la componente che cresce più rapidamente, contribuendo così al divario tra l’Impronta Ecologica e la biocapacità del pianeta – ha osservato Wackernagel – Per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima, l’umanità dovrebbe uscire dall’economia dei combustibili fossili prima del 2050, contribuendo già di gran lunga a risolvere il problema dell’umanità relativo al superamento delle risorse“.

Per supportare questa trasformazione, il Global Footprint Network, insieme a quasi 30 partner in tutto il mondo, sta incoraggiando le singole persone a contribuire al progetto #movethedate proponendo semplici azioni concrete. Questo processo prevede una maggiore conoscenza dei fattori chiave in grado di influire sulla sostenibilità e la sperimentazione di nuovi stili di vita per abbassare la propria Impronta Ecologica. Il Global Footprint Network propone queste sfide sia su un piano educativo che giocoso, in modo che i partecipanti possano imparare divertendosi, partecipando ad esempio ad un concorso fotografico.

Quando scatta l’overshoot day i mass media dedicano all’evento una certa attenzione, ma poi l’argomento viene tralasciato e l’opinione pubblica viene “sommersa” dagli avvertimenti di Donald Trump sulle conseguenze per le minacce nucleari della Corea del Nord, il cui leader Kim Jong-un è alla ricerca di un nemico esterno che ne legittimi l’usurpazione del potere, mentre cerca di riconquistare la popolarità ben presto perduta il Presidente statunitense che ha annunciato l’uscita degli USA dall’Accordo sul clima di Parigi perché i “cambiamenti climatici” non sono colpa dell’uomo, nonostante 13 Agenzie federali abbiano fatto trapelare nei giorni scorsi un rapporto in cui si afferma il contrario.

Confortano quest’anno i risultati dello “Spring 2017 Global Attitudes Survey“, pubblicato dall’influente Pew Research Center proprio alla vigilia dell’overshoot day 2017 e condotto tra il 18 aprile e l’8 maggio su un campione di 42.000 persone di 38 Paesi, da cui emerge che i cambiamenti climatici costituiscono la principale preoccupazione pubblica in molti Paesi, e a livello globale è al 2° posto (61%) subito dopo la “minaccia” dell’ISIS (62%), in continua ascesa rispetto ai precedenti sondaggi.

Nel complesso i cambiamenti climatici sono considerati la minaccia più grave per quasi tutti i Paesi dell’America Latina inclusi nel sondaggio, compreso il Messico, ma anche in Canada e in 3 su 7 Paesi del Continente africano. In Europa solo Spagna e Svezia li mettono al 1° posto, tuttavia in Grecia (79%), Francia (72%), Paesi Bassi (64%) e Germania (63%) si supera la percentuale globale di tale minaccia per la sicurezza. Gli Italiani hanno denunciato una elevata percezione dei rischi connessi al riscaldamento globale (65%), anche se distanziato notevolmente dalle minacce dell’ISIS (85%).

L’indagine ha confermato, peraltro, che la percezione della minaccia dei cambiamenti climatici si differenzia notevolmente in base al divario ideologico, con la maggiore difformità proprio tra gli statunitensi (86% dei liberali, contro il 31% dei conservatori), ma tale situazione viene evidenziato anche in altri Paesi, come Regno Unito, Canada e Germania.

Le implicazioni politiche di tali indagini permettono comunque di cogliere che in molti Paesi vi è un chiaro sostegno per le azioni politiche volte a frenare le minacce correlate ai cambiamenti climatici, così come per le imprese vi sono le indicazioni che numerosi consumatori sono propensi all’acquisto di prodotti e servizi che mitighino tali eventi, offrendo enormi così vantaggi reputativi a quelle aziende che si siano poste come leader nel contrastare tali minacce. Pur nella consapevolezza che l’opinione pubblica è instabile e muta velocemente le sue preoccupazioni sotto l’incalzare di campagne fuorvianti che cercano di sminuire la portate delle minacce conseguenti i cambiamenti climatici, quelli evidenziati dal sondaggio del Pew Research Center sono segnali che dovrebbero indurre decisori politici ed imprese a tener conto delle preoccupazioni dei cittadini.

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