Cambiamenti climatici Clima

Trump contraddetto dagli scienziati delle Agenzie federali

Trump contraddetto dalle agenzie federali

Trump: l’Amministrazione statunitense è costretta “obtorto collo” a dare il via libera alla diffusione del Rapporto delle 13 Agenzie incaricate di redigere il 4° Rapporto di Valutazione sul Clima degli USA da trasmettere al Congresso americano, in cui si afferma che non sussistono spiegazioni scientifiche alternative per non incolpare le attività umane per il riscaldamento globale.

Nell’Agosto 2017 avevamo dato notizia che il New York Times aveva pubblicato la bozza del 4° Rapporto di Valutazione del Clima Nazionale, redatto da 13 Agenzie federali statunitensi, tra le quali la National Oceanic and Atmospheric Administration( NOAA), il Department of Energy (DOE), la National Aeronautics and Space Administration (NASA), il Department of Defense (DOD), che, come prevede la legge, deve essere compilato e inviato al Congresso ogni 4 anni, e che l’Accademia Nazionale delle Scienze (NAS) che deve controfirmarlo non aveva reso pubblico, in attesa dell’autorizzazione dell’Amministrazione Trump.

La “fuga di notizie” sul suo contenuto era intervenuta con ogni probabilità ad opera di qualche scienziato o Agenzia che, dopo l’annuncio ufficiale alle Nazioni Unite ad opera del Dipartimento di Stato che gli Stati Uniti non avrebbero più partecipato alle iniziative per mantenere il riscaldamento globale entro i + 2 °C, secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi, anche se continueranno ad essere presenti alle discussioni e ai negoziati sui cambiamenti climatici, dal momento che la decisione del Presidente Donald Trump di uscirne non avrà valore prima del novembre 2020, temeva che, di fronte ad un documento che di fatto sconfessava quanto la stessa Amministrazione andava affermando sull’insussistenza di prove che i cambiamenti climatici in atto fossero dovuti alle attività antropiche, Trump e i suoi collaboratori (potessero intervenire per cercare di manipolarlo.

In particolare, nel mirino degli scienziati c’era il Procuratore generale dell’Oklahoma Scott Pruitt, attuale Direttore dell’Environmental Protection Agency (EPA) che deve approvarlo, distintosi per essersi messo alla testa della battaglia intrapresa da alcuni Stati governati dal Partito Repubblicano per bloccare il Piano per l’energia pulita (Clean Power Plan) intrapreso dall’Amministrazione Obama, e che si era segnalato per aver affermato in più circostanze di non essere d’accordo con il consenso scientifico su quello che sta succedendo con il clima e di non credere che la CO2 contribuisca al riscaldamento globale, ma soprattutto era stato accusato in quelle settimane dai dipendenti dell’EPA di condurre in segretezza le operazioni di controllo e valutazione dell’Agenzia, contravvenendo alla decennale trasparenza che finora ne aveva caratterizzato le attività.

Pertanto, alla vigilia della Conferenza ONU sul clima di Bonn (COP23, 6-17 novembre 2017), pur manifestando un palese imbarazzo perché il Rapporto scientifico, dedicato all’evoluzione climatica negli Stati Uniti, contraddice le reiterate affermazioni del Presidente americano e dei Membri del suo governo, il “Fourth National Climate Assessment (NCA4)” ha ricevuto il 3 novembre 2017 il semaforo verde per la sua “ufficiale” diffusione.

Sono molte le prove che è estremamente probabile che l’influenza umana sia stata la causa determinante del riscaldamento globale a partire dalla metà del secolo scorso – si legge nel Rapporto – Non ci sono convincenti spiegazioni alternative per attribuirne la colpa a qualcosa dall’altro”.

In particolare, il Rapporto quantifica la quantità di riscaldamento causato dall’uomo nel periodo 1951-2010 negli USA tra 0,6-0,8  °C.

Mentre l’influenza sui tornado non sono ancora chiare, le ondate di calore e gli eventi meteorologici estremi che si sono verificati negli ultimi 4 anni negli USA sono in forte crescita, soprattutto sulla costa occidentale, dove peraltro la quantità di neve caduta è in diminuzione, con ripercussioni in termini di rifornimenti idrici.
Sul tema degli incendi boschivi, si osserva un’accentuata incidenza di gravi fenomeni che colpiscono la West Coast e l’Alaska fin dall’inizio degli anni ’80 , con previsioni di ulteriore crescita con l’aumento previsto della temperatura.

Inconfutabili sono le proiezioni per un aumento del livello del mare, innalzamenti compresi tra 0,30m e 1,30m, anche se non si esclude che sia “fisicamente possibile” che alla fine del secolo il livello del mare arrivi a salire persino di 2,4 metri, anche se non è ora possibile capire quanto questo sia probabile.

Quel che risulta essere decisamente cambiato rispetto al precedente Rapporto di Valutazione del 2014, anche per effetto del miglioramento dei modelli climatici ad alta risoluzione, è l’incidenza degli uragani e la perdita di spessore dei ghiaccio in Groenlandia e nell’Artico, fenomeno quest’ultimo destinato a spingere verso l’alto le proiezioni di innalzamento del livello del mare.

Il Rapporto non prende in esame le politiche climatiche, limitandosi a ribadire, come sottolineato anche nel recente “Emissions Gap Report” dell’UNEP, che gli attuali impegni in materia di emissioni non sono coerenti con l’obiettivo di limitare ben al di sotto dei +2 °C  il global warming alla fine del secolo.

L’attuale tasso di emissioni di quasi 10 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno implica che non esiste negli ultimi 50 milioni di anni un clima che possa essere paragonato a quello che potrebbe verificarsi alla fine di questo secolo”.
Anche in questo caso, c’è concordia con le valutazioni fatte dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale che nel suo ultimo Bollettino sulle emissioni di gas serra in atmosfera ha osservato che tali concentrazioni sono state sperimentate dalla Terra nelle ere geologiche passate, quando la temperatura era di 2-3 °C superiore all’attuale e il livello dei mari era più alto di 10-20m.

Insomma, il clima sta cambiando, e di quanto “cambierà dipende dalle emissioni nel futuro”, conclude il Rapporto.

Sulla base dei dati pubblici resi disponibili dalla NASA, Antti Lipponen ricercatore presso l’Istituto meteorologico finlandese, ha creato un video che visualizza in 35 secondi 117 anni di cambiamento della temperatura in 191 Paesi. Il colore e la lunghezza della barra rappresentano l’anomalia media della temperatura di ciascun Paese ogni anno, rendendo facile osservare come questa sia diversa da quella di base.

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