Cambiamenti climatici Clima

I PVS sono i più vulnerabili seppure i meno responsabili

I PVS sono i più vulnerabili seppure i meno responsabili

Pubblicata l’edizione 2012 dell’Atlante dei Rischi climatici.

Il 26 ottobre 2011 la Società specializzata in analisi dei rischi Maplecroft ha pubblicato il suo quarto “Climate Change and Envirionmental Risk Atlas” che include un nuovo Climate Change Vulnerability Index (CCVI), in cui si analizza e mappa la vulnerabilità ai cambiamenti climatici di 193 Paesi con una definizione di aree fino a 25 km². 

Dai dati si evidenzia che alcune delle popolazioni in più rapida crescita al mondo sono sempre più a rischio a causa degli impatti dei cambiamenti climatici e dei rischi naturali connessi, compreso l’aumento del livello del mare. Molti dei Paesi con la crescita più rapida della popolazione sono classificati nel CCVI come a ‘”rischio estremo”, tra cui alcune economie emergenti di importanza “strategica”, quali Bangladesh (retrocesso quest’anno al 2°posto, essendo occupato il 1° da Haiti), Filippine (10), Vietnam (23), Indonesia (27) e India (28).

Per meglio comprendere il giudizio della Maplecroft bisogna ricordare che lo scopo della ricerca è di “permettere alle imprese di mettere al riparo dai cambiamenti climatici i propri investimenti”, valutando le conseguenze economiche che potrebbero derivare da disastri ambientali in Paesi che stanno attirando sempre più massicci investimenti stranieri per la loro rapida crescita economica da tassi annuali del 5-6%.
Il Climate Change Vulnerability Index si basa su diversi fattori, oltre all’aumento delle temperature, alla siccità, alla desertificazione, alle alluvioni e ad altri fenomeni estremi, vengono analizzati anche la densità della popolazione, lo sviluppo, le risorse naturali, la dipendenza dall’agricoltura, la capacità finanziaria per le azioni di adattamento, gli eventuali rischi di conflitti, le migrazioni climatiche, l’arrivo di specie aliene, ecc.

Il valore della ricerca Maplecroft può essere meglio apprezzato a livello subnazionale, dove vengono analizzati i rischi legati ai cambiamenti climatici sulle megalopoli asiatiche, alcune delle quali “si sono rapidamente sviluppate in aree esposte, come le pianure alluvionali, e in Paesi in via di sviluppo senza capacità di adattamento, con masse di cittadini poveri, le più esposte agli effetti dei cambiamenti climatici – ha osservato Charlie Golden, il principale analista ambientale di Maplecroft – Città come Manila, Giacarta e Calcutta sono centri vitali di crescita economica nei principali Paesi emergenti, ma ondate di calore, inondazioni, scarsità d’acqua e tempeste sempre più gravi e frequenti possono anche far aumentare i cambiamenti climatici da cui sarebbero colpite. Un tale impatto potrebbe avere conseguenze di vasta portata, non solo per le popolazioni locali, ma per il lavoro, le economie nazionali e i bilanci degli investitori di tutto il mondo, in particolare, poiché l’importanza economica di queste nazioni è destinata ad aumentare in modo drammatico”.

Delle 20 città in più rapida crescita da qui al 2020, che sono state prese in considerazione, 6 sono state classificate a “rischio estremo” (Dacca e Chittagong nel Bangladesh; Addis Abeba in Etiopia; Manila nelle Filippine; Calcutta in India; Giacarta in Indonesia), ma altre 10 sono ad “alto rischio” (Chennai, Mumbai e Delhi in India; Karachi e Lahore in Pakistan; Kabul in Afghanistan; Guandong in Cina; Lagos in Nigeria; Luanda in Angola; Kingshasa nella Repubblica Democratica del Congo).
Secondo Maplecroft, la crescita della popolazione in queste città si combina con la scarsa efficacia di governo, la corruzione, la povertà e altri fattori socio-economici che fanno aumentare i rischi per i residenti e per le imprese. Stante le infrastrutture ai livelli di quelle del 2011 la lotta per adattarsi di gran parte della popolazione aumenterà in futuro, rendendo meno efficaci le risposte ai disastri che, al contempo, possono diventare più frequenti, con implicazioni per gli edifici, le vie di trasporto, l’approvvigionamento idrico ed energetico e la salute dei residenti.

In più c’è il rischio “che si interrompa la catena di rifornimento per le imprese che ormai lavorano in un mondo globalizzato – ha fatto notare Helen Hodge, a capo delle attività di mappatura ed indici di Maplecroft – Le recenti inondazioni a Bangkok, capitale del Paese maggior produttore mondiale di harddisk per computer, mostrano che molte grandi multinazionali potrebbero avere la loro catena di approvvigionamento messa a rischio per lungo tempo”. Tali alluvioni che si stanno protraendo dal mese di luglio e che hanno fatto, finora, 427 morti, costerebbero alla Thailandia più di 6,5 miliardi di dollari, tanto che il Governo centrale ha dovuto tagliare le previsioni di crescita economica. Gli investitori e le imprese, afferma Maplecroft, farebbero bene a imparare da questa esperienza tailandese.

Se è vero che prima di trovare un Paese sviluppato nella graduatoria dei rischi si deve arrivare alla Grecia che per effetto del rischio siccità occupa la 103a posizione, a conferma che i Paesi meno responsabili dei cambiamenti climatici sono quelli che ne subiscono gli effetti più devastanti, c’è da osservare che l’Italia si trova al 124° posto e a guardar bene la mappa presenta alcune aree scure (quelle più esposte agli impatti del global warming), in particolare in Sicilia, buona parte della Sardegna, la regione Padano-Veneta, compreso quel territorio tra Liguria e Toscana, che proprio nei giorni di presentazione dell’Atlante dei rischi climatici subiva una tragica alluvione per effetto di quei fenomeni estremi di precipitazioni intense che si concentrano in poche ore (secondo i dati forniti dal Centro Meteo di ARPA Liguria, in 30 ore sono caduti 524mm di pioggia), che, come hanno spiegato i climatologi italiani, saranno sempre più frequenti.

”Ogni anno si verificano fenomeni estremi, come a Salerno l’anno scorso o a Messina due anni fa – ha osservato il climatologo dell’ENEA Vincenzo Ferrara – I 400-500mm di pioggia in un giorno di La Spezia sono ai livelli di monsone indiano. A Roma, la settimana scorsa, in sole due ore è caduta tanta acqua come in due mesi di pioggia Dobbiamo aspettarci un’intensificazione delle piogge autunnali, sbalzi tra alluvioni e siccità soprattutto al Meridione, e una riduzione anche al Nord della disponibilità d’acqua. Questo significa che il Mediterraneo è sempre più caldo, ma anche che mancano buon senso e coscienza per tutelare il territorio”.

I Paesi che nel Rapporto occupano le posizioni più basse ovvero quelle che presentano i minori rischi di vulnerabilità ai cambiamenti climatici, si concentrano prevalentemente nel Nord Europa, con Islanda, Norvegia, Finlandia, Svezia e Irlanda tra gli ultimi 10. Gli USA occupano il 160° posto e, quindi, a “basso rischio”, anche se alcuni Stati lungo la fascia atlantica sono considerati” ad “alto rischio” (Florida, Louisiana, Georgia, Nord e Sud Carolina). “Eventi come l’uragano Katrina – si legge nel Rapporto – indicano come anche Paesi economicamente forti e dalla grande capacità di approntare azioni di adattamento possono trovarsi estremamente vulnerabili agli eventi climatici”.

Una settimana dopo un altro fenomeno meteorologico estremo ha colpito la Liguria, in particolare la città di Genova, provocando lo straripamento dei torrenti che attraversano la città (Bisagno, Ferreggiano, Sturla), dove le piogge cumulate entro le 4 ore sono state superiori a quelle registrate alle Cinque Terre e in Val di Vara. Nell’occasione la stazione ARPA Liguria di Vicomorasso, frazione di Sant’Olcese, comune alle spalle di Genova da cui dista 18Km, ha registrato il nuovo record italiano di pioggia in un’ora, con ben 181mm; mentre alla stazione della rete LIMET (Liguria Meteorologia) di Quezzi (quartiere di Genova) nell’arco di 4 ore si sono avuti 403mm di precipitazioni, con un totale evento di 542mm (la media storica in città è di 1072mm annui).

Al di là dell’eccezionalità dell’evento, resta il fatto che in Liguria alluvioni e frane sono frequenti, come evidenziato dalla nota storica sugli eventi calamitosi (alluvioni-frane), occorsi in Liguria negli ultimi cinquant’anni, diffusa il 5 novembre 2011 dal CNR-IRPI (Istituto di Ricerca e Protezione Idrogeologica del Consiglio nazionale delle Ricerche).
Nel periodo tra 1960 e il 2010 sono stati 27 gli anni in cui si è registrato almeno un evento di frana o di inondazione in Liguria che ha causato vittime (morti, feriti, dispersi). In alcuni casi, si sono verificati più eventi a distanza di pochi mesi. Nello stesso periodo, ci sono stati almeno 65 eventi che hanno causato sfollati e/o senzatetto.

I comuni interessati da eventi di frana e/o inondazione con danni alla popolazione sono 39 (pari al 6% dei comuni liguri), alcuni dei quali colpiti più di una volta. La maggior parte degli eventi ha coinvolto comuni classificati dall’ISAT come “Comuni di montagna e di collina litoranea”.
Anche le infrastrutture, durante le alluvioni di novembre, hanno subìto danni, compromettendo le comunicazioni tra i vari centri e mettendo in difficoltà le operazioni di soccorso alle popolazioni colpite Il comune di Genova è quello che storicamente ha subito il maggior numero di eventi (5 eventi di frane e 6 inondazioni) e di vittime (78, di cui 31 causate da movimenti franosi e 47 da eventi di inondazione).

Fra il 2000 e il 2010, la Liguria è stata interessata da almeno sette eventi di frana o di inondazione gravi, che si sono verificati nel 2000, 2002, 2008, 2009 e 2010. L’evento del 2000 è stato forse il più grave, causando sia numerosi movimenti franosi sia inondazioni nelle province di Imperia e Savona e provocando in totale 7 vittime. L’evento dell’ottobre 1970. Nei giorni 7-8 ottobre si registrarono piogge localizzate ma molto intense, con più di 900 mm di pioggia in 24 ore, pari al 90% della media annua, che causarono inondazioni e numerose frane.
Genova fu sconvolta dall’esondazione di più corsi d’acqua e i torrenti Polcevera, Lerio e Bisagno superarono gli argini in vari punti. La città registrò i danni maggiori, ma furono colpiti altri 20 comuni nelle province di Genova e Alessandria. Complessivamente, l’evento provocò 44 vittime e almeno 2000 sfollati/evacuati.

Più in generale, si deve osservare che sussiste la consapevolezza dei rischi che il nostro Paese sta correndo, a seguito di fenomeni idrogeologici e idraulici determinati da eventi meteorologici, tant’è che il Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva diramato il 14 ottobre 2011 indicazioni operative al riguardo, tenendo conto che “Gli eventi occorsi negli ultimi anni hanno purtroppo confermato come lo stato di rischio idrogeologico e idraulico del territorio italiano appaia accresciuto in maniera consistente, sia in relazione alla pericolosità determinata dalla maggiore frequenza ed intensità degli eventi estremi, sia in conseguenza della inadeguatezza delle risorse economiche destinate alla realizzazione di interventi strutturali di prevenzione e mitigazione del rischio, oltre che alla mai invertita tendenza all’incremento delle aree urbanizzate.

È infatti ormai acquisito che l’elevata vulnerabilità dei territori fortemente antropizzati, anche a seguito di eventi meteorici non particolarmente intensi, è da imputare in primo luogo a contesti urbanistici di particolare criticità, oltre che alla mancata manutenzione del reticolo idrografico urbano e secondario”. La saggezza popolare ci ricorda che “Il fiume affitta, ma non vende”, come dire che: lo spazio lungo gli alvei non è concesso per sempre, perché il fiume quando vuole può riprenderselo. Bisognerebbe dar retta a queste espressioni che ci vengono da lontano e che sono il frutto di dure e secolari esperienze.

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