Alla vigilia della COP21 di Parigi, l’Agenzia Ambientale dei Paesi Bassi e il Centro Comune di Ricerca della Commissione UE hanno rilasciato il Rapporto 2015 sulle tendenze delle emissioni, da cui emerge che dopo un decennio di continua crescita, per la prima volta nel 2014 sono rimaste pressoché invariate, nonostante l’economia mondiale sia cresciuta del 3%. I ricercatori sottolineano, tuttavia, che il risultato è essenzialmente dovuto al rallentamento dell’economia e ai cambiamenti economici strutturali della Cina, e che è ancora presto per trarne conclusioni che il rallentamento sia indicativo di una ristrutturazione economica globale, come dimostra il caso in controtendenza dell’India.
L’Istituto per l’Ambiente e la Sostenibilità (IES) del Joint Research Center (JRC) della Commissione UE, e il PBL Netherlands Environmental Assessment Agency, l’Istituto di ricerca olandese che supporta il Governo sulle politiche ambientali, hanno pubblicato il 25 novembre 2015 il Rapporto 2015 “Global Emissions Trends” da cui emerge che le emissioni di CO2 dopo un decennio di continua crescita a livello globale nel 2014 hanno registrato un stagnazione (+0,5%), nonostante l’economia mondiale sia cresciuta del 3%, per un totale di emissioni da combustibili fossili di 35,7 miliardi di tonnellate di CO2 nel 2014, rispetto ai 35,3 miliardi di tonnellate del 2013.
Il dato costituisce un segnale incoraggiante sul disaccoppiamento (decoupling) delle emissioni dalla crescita economica, anche se è ancora presto per avere la conferma di una tendenza globale in atto, come denuncia l’esempio dell’India che ha aumentato considerevolmente le proprie emissioni del 7,8% in un anno.
Il Rapporto, basato sui dati di EDGAR 4.3 (Emissions Database for Global Atmospheric Research) e gestito congiuntamente da JRC e PBL che fornisce i dati passati e presenti delle emissioni antropiche di gas a effetto serra e degli inquinanti atmosferici per ogni Paese, indica che l’Unione europea continua ad avere la leadership per la riduzione delle emissioni di CO2, avendole tagliate del 5,4% rispetto al 2013, nonostante l’incremento complessivo del PIL, pari all’1,4%. Questa notevole diminuzione fa seguito a quelle che si sono registrate nei due anni precedenti, ma a tassi assai più contenuti (-0,4% nel 2012 e -1,4% nel 2013), con una riduzione totale del 23% rispetto al 1990.
Per spiegare questo calo, lo studio indica 3 principali ragioni:
1) una riduzione delle emissioni del 4,5% dagli impianti industriali e dalle centrali elettriche che fanno parte del sistema di scambio delle emissioni (ETS);
2) un inverno mite che ha provocato una richiesta di calore inferiore del 10%;
3) una riduzione dello 0,5% del consumo di petrolio per i trasporti.
Nell’ambito dell’Unione, si sono registrate riduzioni nazionali significative delle emissioni di CO2 in Slovacchia (-10,6%), nel Regno Unito (-9,0%), Danimarca (-8,8%), Francia (-8,4%), Italia (-7,7%), Finlandia (-6,9%), Grecia (-6,3%), Austria (-6,0%), Germania (-5,6%), Paesi Bassi (-5,3%), Portogallo (-3,6%) e Polonia (-3,4%).
Dei 28 Stati membri dell’UE, soltanto la Bulgaria e Cipro hanno aumentato le loro emissioni, del 6,9% e dello 0,5%, rispettivamente.
È la prima volta che l’UE, il 3° più grande emettitore di CO2, è scesa sotto il 10% (9,6%).
Oltre all’UE, anche altri Paesi hanno tagliato le emissioni come il Giappone (-2,6%) la Russia (-1,5%) e l’Australia (- 2,1%).
Anche se rimane il più grande emettitore a livello mondiale, la Cina è riuscita a rallentare la crescita delle emissioni, che negli ultimi 10 anni aveva registrato aumenti considerevoli, aumentandole nel 2014 di “solo” lo 0,9%, lo stesso tasso degli Stati Uniti.
Di recente uno Studio pubblicato su Nature aveva messo in discussione i dati delle emissioni cinesi del passato che sarebbero state sovrastimate, tra cui i dati contenuti in EDGAR.
Ma Jos Oliver, Senior Scientist della Divisione Clima, Qualità dell’Aria ed Energia presso il PBL e principale autore dello Studio, ha dichiarato di aver rivisitato i dati e ha concluso che non c’è motivo di fare correzioni e che le differenze registrate nell’ultimo anno dipendono essenzialmente da un rallentamento dell’economia, ma anche a cambiamenti economici strutturali della Cina, quali lo spostamento dalle fonti energetiche fossili a quelle più pulite (il consumo di carbone per la prima volta non è rimasto pressoché invariato), e minor produzioni ad alta intensità energetica, un alto valore aggiunto all’industria manifatturiera e investimenti in altre opzioni tecnologiche a basse emissioni.
Se la Cina è il primo emettitore, gli Stati Uniti hanno il primato delle emissioni pro capite, pari al doppio di quelle cinesi e dell’UE e rappresentano il 15% delle emissioni globali. L’aumento dello 0,9% rispetto all’anno precedente viene attribuito dallo Studio al maggior utilizzo di gas naturale aumentato del 2,9% rispetto all’anno precedente, sia nel settore residenziale e commerciale per effetto di un inverno più freddo, sia per il suo maggior uso per la produzione di energia elettrica, stante il prezzo basso raggiunto nel 2014. Di contro, le emissioni dalla combustione del carbone si sono ridotte dello 0,3%, nonostante tale fonte fossile costituisca il combustibile (95%) per la produzione di elettricità e che la produzione di elettricità da impianti a carbone sia aumentata. Tale apparente dato contrastante, viene spiegato con la chiusura degli impianti obsoleti e la maggior efficienza dei nuovi.
Sono aumentate dello 0,5% le emissioni da combustioni di prodotti petroliferi.
Come sopra accennato, le emissioni di CO2 dell’India hanno continuato a crescere nel 2014 del 7,8%, pari a 170 milioni di tonnellate, per un totale di 2,3 Gt, annullando di fatto la riduzione intervenuta nell’UE e nonostante il suo PIL sia aumentato di poco (dal 6,9% del 2013 al 7,2 del 2014).
Secondo il Rapporto, l’incremento delle emissioni è stato determinato soprattutto dal consumo di carbone, aumentato dell’11,1%, che rappresenta il 61,4% dei combustibili fossili utilizzati nel Paese e il 56,5% del consumo di energia primaria, simile a quello della Polonia e del Kazakistan che hanno giacimenti carboniferi di gran lunga più grandi. Le previsioni indicano che anche nell’anno in corso ci sarà un aumento del 6,4%, tuttavia il contributo nazionale di riduzione delle emissioni (INDC) dichiarato dall’India all’UNFCCC prevede che al 2030 il 40% della sua produzione energetica deriverà da fonti non fossili (attualmente è al 19%, con una quota di nucleare del 3%).
Al recente G20 di Antalya, l’India è stata accusata di aver impedito, assieme all’Arabia Saudita, l’inserimento nella dichiarazione finale di riferimenti espliciti all’obiettivo di mantenere entro i 2 °C l’aumento della temperatura globale al 2100, di impegni vincolanti e di controlli periodici.
Da parte sua, l’India ha ribattuto alle accuse affermando di aver difeso i Paesi che non fanno parte del G20 e sui quali si riverberano le decisioni assunte senza che abbiano potuto prendere parte al processo decisionale.
Cina, USA, UE e India hanno prodotto nel 2014 il 61% delle emissioni globali di CO2, ma significativo è stato il contributo di altri grandi emettitori.
Tra questi, la Russia che nel 2014 ha diminuito le sue emissioni dell’1,5%, attestandosi a circa 1,8 miliardi di tonnellate, pari al 5% delle emissioni globali, sulla scia della riduzione già intervenuta nel 2013 (1,9%).
Il calo sarebbe dovuto al minor consumo di carbone e gas naturale, rispettivamente del 5,8% e dell’1,0%. Per il consumo di gas, la Russia è al primo posto, rappresentando tuttora il 54% del consumo di energia primaria. Tale decremento, tuttavia, è stato in parte controbilanciato da un aumento dei consumi di petrolio del 0,9% a causa della crescente domanda di benzina e olio combustibile.
La difficile situazione economica si è riflessa nel PIL che è aumentato solo dello 0,9% nel 2014, un quarto del tasso di crescita media storica.
Infine, tra i grandi emettitori, il Giappone ha proseguito la sua lunga, ma continua decrescita delle emissioni di CO2, portandosi dal 5,2 di media nel periodo 1990-2000, al 4,5% nel decennio successivo, al 3,5% nel 2014. La riduzione è stata pari l’anno scorso al 2,6% rispetto al 2013, con una crescita economica sostanzialmente zero (-0.06% di PIL).
Il calo delle emissioni deve essere attribuito prevalentemente alla diminuzione del 5,2% del consumo di petrolio, mentre quelli di carbone e gas sono scesi nel 2014, solo dell’1,6% e dello 0,9%, rispettivamente.
I prodotti petroliferi sono rimasti i principali combustibili del Giappone, (il 42% del suo consumo totale di combustibili fossili). Prima dell’incidente di Fukushima e la chiusura del parco nucleare del Paese, circa il 60% del mix di produzione di energia elettrica del Giappone era composto da combustibili fossili. Nel 2013, quando gli impianti nucleari sono stati chiusi, i combustibili fossili hanno contribuito con oltre l’86% alla produzione di energia. Nel 2014, la produzione di energia nucleare del Giappone era pari a zero, mentre l’energia prodotta da solare ed eolico è aumentata del 22% e quella idroelettrica del 4%. Attualmente, il Giappone ha riavviato alcune centrali nucleari che hanno aderito alle norme di sicurezza più rigorose per affrontare i problemi derivanti da tsunami e eventi sismici.
Su scala globale, conclude il Rapporto, il rallentamento della crescita delle emissioni negli ultimi tre anni, in gran parte può essere spiegato dai cambiamenti nella economia cinese e dal relativo consumo di energia, ma non è certo che tale rallentamento rifletta più ampiamente anche i cambiamenti strutturali dell’economia globale, il ruolo dell’efficienza energetica globale e il mix energetico di altri importanti attori mondiali.
Sul sito del PBL è possibile prendere visione di una infografica interattiva che riassume il contenuto del Rapporto ed è possibile verificare le tendenze delle emissioni di CO2 a livello globale.