Il Global Gender Gap 2025 del World Economic Forum (WEF) che analizza annualmente lo stato del divario di genere attraverso 4 dimensioni chiave (partecipazione economica e opportunità; livello di istruzione; salute e sopravvivenza; emancipazione politica) conferma che sono ben 8 i Paesi europei che si inseriscono nella top ten, ovvero quelli che hanno colmato almeno l’80% del loro divario di genere, ma l’Italia si trova al 35° posto in Europa, preceduta dal Montenegro e all’85° posto a livello globale, su 148 Paesi monitorati.
Il divario di genere a livello globale si è ridotto al 68,8%, grazie ai progressi economici e politici. Tuttavia, i progressi sono ancora al di sotto dei livelli pre-pandemici e si stima che la piena parità sarà raggiunta tra 123 anni. Le donne superano gli uomini nell’istruzione superiore, ma solo il 28,8% raggiunge posizioni di alta dirigenza, un’occasione persa per una maggiore resilienza economica e una maggiore crescita in un contesto di incertezza globale. L’emancipazione politica registra i progressi più significativi, ma con solo il 22,9% del divario globale finora colmato, resta il più grande ostacolo al progresso verso la parità a livello mondiale.
È quanto emerge dal Rapporto “Global Gender Gap 2025”, giunto alla sua 19ma edizione, che il World Economic Forum (WEF) ha pubblicato l’11giugno 2025, che analizza i divari di genere in termini di partecipazione economica, livello di istruzione, salute e sopravvivenza, ed emancipazione politica in 148 economie che rappresentano oltre due terzi della popolazione mondiale.
Pur constatando uno slancio incoraggiante in questo ultimo anno, il Rapporto sottolinea le persistenti barriere strutturali che le donne in tutto il mondo si trovano ad affrontare nell’emancipazione politica e nella partecipazione economica, tanto che di questo passo la parità di genere verrà raggiunta tra 123 anni.
I progressi evidenziati in questa edizione sono stati trainati principalmente da progressi significativi nell’emancipazione politica e nella partecipazione economica, mentre livello di istruzione e salute e sopravvivenza hanno mantenuto livelli quasi pari, superiori al 95%. Tuttavia, le donne rappresentano solo il 41,2% della forza lavoro globale, e nella leadership ricoprono solo il 28,8% delle posizioni di vertice.
“In un periodo di forte incertezza economica globale e di basse prospettive di crescita, combinato con cambiamenti tecnologici e demografici, il progresso della parità di genere rappresenta una forza chiave per il rinnovamento economico – ha affermato Saadia Zahidi, Direttrice Generale del WEF – I dati sono chiari. Le economie che hanno compiuto progressi decisivi verso la parità si stanno preparando per un progresso economico più forte, più innovativo e più resiliente“.

L’Islanda mantiene la sua posizione di economia con la maggiore parità di genere al mondo per il 16° anno consecutivo, con un divario di genere colmato del 92,6% – unica economia a superare la parità del 90%. Finlandia (87,9%), Norvegia (86,3%), Regno Unito (83,8%) e Nuova Zelanda (82,7%) completano le prime 5 posizioni. Tutte le prime 10 economie hanno colmato almeno l’80% del loro divario di genere, le uniche economie a raggiungere questo traguardo.
L’America del Nord è al 1° posto a livello mondiale con un punteggio di parità di genere del 75,8%, con risultati particolarmente positivi in termini di partecipazione economica e opportunità (76,1%), dove si colloca al primo posto tra tutte le regioni. Dal 2006, la regione ha compiuto progressi significativi nell’emancipazione politica, riducendo il divario di parità politica di 19,3 punti percentuali.
L’Europa si colloca al 2° posto con un punteggio di parità di genere del 75,1%, avendo colmato 6,3 punti percentuali del suo divario complessivo dal 2006. La regione vanta risultati particolarmente positivi nell’emancipazione politica (35,4%), dove si colloca al primo posto a livello mondiale. Le nazioni europee dominano la classifica delle prime 10 con 8 posizioni: Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia mantengono la top 10 dal 2006.
L’America Latina e i Caraibi si distinguono come la regione con il tasso di progresso più rapido, classificandosi al 3° posto con un punteggio del 74,5% e avanzando di 8,6 punti percentuali dal 2006, registrando il maggiore progresso complessivo tra tutte le regioni. Questo successo regionale dimostra che è possibile ottenere rapidi progressi con interventi politici mirati, offrendo un modello per l’accelerazione economica attraverso la parità di genere.
L’Asia centrale si colloca al 4° posto con un punteggio del 69,8%. Armenia (73,1%) e Georgia (72,9%) sono i paesi con le performance migliori della regione, entrambe hanno colmato oltre il 70% del divario di genere e sono in testa ai progressi regionali in termini di partecipazione economica e livello di istruzione.
L’Asia orientale e il Pacifico si classificano al 5° posto con un punteggio del 69,4%, ottenendo il secondo punteggio regionale più alto per partecipazione economica e opportunità al 71,6%. Nuova Zelanda (82,7%), Australia (79,2%) e Filippine (78,1%) sono i paesi con le migliori performance nella regione, con la Nuova Zelanda come unica economia della regione nella top 10 mondiale.
L’Africa subsahariana si colloca al 6° posto con un punteggio del 68,0%. La regione presenta ampie variazioni tra i paesi, ma i suoi successi dimostrano che il progresso è possibile in tutti i contesti economici. La regione ha compiuto progressi significativi nell’emancipazione politica, con le donne che ora ricoprono il 40,2% dei ruoli ministeriali e il 37,7% dei seggi parlamentari.
L’Asia meridionale si colloca al 7° posto con un punteggio del 64,6%. Il Bangladesh (77,5%) è il paese con le migliori performance della regione e l’unica economia dell’Asia meridionale tra le prime 50 a livello mondiale. I significativi miglioramenti nel livello di istruzione dal 2006 stanno creando le basi per futuri progressi economici.
Il Medio Oriente e il Nord Africa si classificano all’8°o posto con un punteggio del 61,7%. Tuttavia, la regione ha mostrato un notevole miglioramento nell’emancipazione politica dal 2006, con la media regionale più che triplicata e un guadagno di 8,3 punti percentuali in questa dimensione.
L’Italia si trova al 35° posto in Europa, preceduta dal Montenegro e seguita dalla Macedonia del Nord e all’85° posto a livello globale.

L’indice considera solo i divari di genere nei risultati e non i livelli complessivi di risorse e opportunità in un paese. Rileva una leggera correlazione tra gli attuali livelli di reddito dei Paesi considerati e i rispettivi divari di genere, con le economie più ricche che presentano una maggiore parità di genere. A livello aggregato, le economie ad alto reddito hanno colmato il 74,3% del loro divario di genere, una percentuale leggermente superiore alle medie osservate nei gruppi a basso reddito: 69,6% tra le economie a reddito medio-alto, 66,0% tra quelle a reddito medio-basso e 66,4% tra quelle a basso reddito.
Tuttavia, la correlazione è bassa e non indica un nesso di causalità. I paesi con le migliori performance tra i tre gruppi a basso reddito hanno colmato una quota maggiore di divari di genere rispetto a oltre la metà delle economie del gruppo ad alto reddito. Sebbene le risorse siano importanti, non sono solo i Paesi più ricchi a potersi permettere di investire nella parità di genere e le economie possono integrare la parità nelle loro strategie di crescita a tutti i livelli di sviluppo. Storicamente, i Paesi che hanno ottenuto buoni risultati nello sviluppo e nell’integrazione del loro intero capitale umano tendono ad avere economie più sostenibili e prospere. Sfruttare l’intera base di talenti e idee diverse in un’economia può sbloccare la creatività e stimolare innovazione, crescita e produttività.
In base alla velocità collettiva del progresso di 100 economie analizzate ininterrottamente dal 2006, ci vorranno 123 anni per raggiungere la piena parità a livello globale: un miglioramento di 11 anni rispetto alla stima dell’edizione precedente, ma comunque oltre un secolo al di sotto degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
Inoltre, le economie in più rapida crescita dimostrano che una rapida accelerazione è possibile quando la parità di genere diventa una priorità nazionale. Le economie che hanno dimostrato di avere maggiore successo nel colmare il divario di genere in ciascuna fascia di reddito sono rispettivamente Arabia Saudita, Messico ed Ecuador, Bangladesh ed Etiopia.
L’emancipazione politica ha registrato il miglioramento complessivo maggiore, con un divario che si è ridotto di 9,0 punti percentuali dal 2006; tuttavia, al ritmo attuale, ci vorranno ancora 162 anni per colmarlo completamente. La partecipazione e le opportunità economiche sono aumentate di 5,6 punti percentuali nel tempo, con una parità economica prevista in 135 anni ai ritmi attuali.
Sia la trasformazione tecnologica sia la frammentazione geoeconomica creano nuovi rischi che potrebbero vanificare i progressi economici realizzati dalle donne negli ultimi decenni.
Negli ultimi anni, in particolare, le donne nelle economie a basso e medio reddito hanno trovato impiego in settori dell’export, con retribuzioni formali e migliori. Questi ruoli potrebbero essere a rischio a fronte di potenziali contrazioni commerciali. Come dimostra l’emergenza COVID-19, sebbene sia uomini che donne soffrano di shock commerciali, gli effetti per le donne tendono a durare più a lungo e sono più difficili da invertire, esacerbando le disparità preesistenti in termini di guadagni, beni e ricchezza. Sarà quindi importante tenere in primo piano gli impatti di genere della frammentazione commerciale su lavoro e salari e i suoi effetti sulla crescita e sulla prosperità, nell’evoluzione della politica commerciale nel 2025.
Il livello di istruzione è in aumento, ma il suo ritorno economico rimane disomogeneo. Le donne superano gli uomini nell’istruzione superiore, ma la loro presenza nella dirigenza senior ristagna con l’aumento dei livelli di istruzione: persino le donne più istruite rappresentano meno di un terzo dei top manager. Questo sottoutilizzo del capitale umano rappresenta sia un’inefficienza sistemica che un’opportunità economica mancata.
“Il progresso delle donne nella leadership continua a diminuire – ha affermato Sue Duke, responsabile globale delle politiche pubbliche di LinkedIn, nel corso di un The Briefing Room, andato in onda il 12 giugno 2025 per commentare i risultati del Rapporto – Mentre l’economia globale si trasforma, l’intelligenza artificiale accelera e i paesi cercano di contrastare la crescita stagnante, questo divario nella leadership dovrebbe far suonare un campanello d’allarme. L’esperienza diversificata e le competenze umane uniche che le donne portano al tavolo della leadership sono essenziali per sbloccare appieno le promesse di un’economia basata sull’intelligenza artificiale, eppure vengono trascurate proprio nel momento in cui sarebbero più necessarie“.
Il percorso verso la leadership è sempre meno lineare per i lavoratori in generale, ma soprattutto per le donne. I dati di LinkedIn rivelano che ormai è più del doppio la frequenza dei leader che hanno lavorato in almeno due settori, funzioni o aziende diverse, il che suggerisce sia una maggiore adattabilità sia potenziali barriere all’avanzamento lineare all’interno dei singoli settori.
Le pause di carriera sono al centro di questa dinamica, con le donne che hanno il 55,2% di probabilità in più di usufruirne rispetto agli uomini. Le donne trascorrono inoltre in media sei mesi in più lontano dal lavoro rispetto agli uomini, con responsabilità di cura che determinano la maggior parte di queste interruzioni. Questo passaggio da rigidi percorsi di carriera riflette la realtà dei moderni modelli di lavoro, dove i trasferimenti laterali, le transizioni di settore e il rientro dopo le pause stanno diventando la norma piuttosto che l’eccezione.