Cambiamenti climatici Clima

Conclusi i negoziati sul clima di Bonn (8-18 maggio 2017)

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Si sono conclusi con scarso interesse mediatico (a parte quello sulla posizione che avrebbe assunto l’Amministrazione Trump) i negoziati per sviluppare le Linee guida necessarie per attuare l’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici (Bonn, 8-18 maggio 2017), in vista della Conferenza delle Parti (COP23-UNFCCC) che avrà luogo sempre a Bonn (6-17 novembre 2017), sotto la Presidenza delle isole Fiji.

Tra i punti più controversi in discussione c’era il Green Climate Fund (GCF), il Fondo di natura pubblica e privata da 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, previsto già alla COP16 di Cancún (2010) ed ufficialmente istituito alla COP17 di Durban, che i Paesi industrializzati si erano impegnati a versare per le azioni a lungo termine di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Il Fondo Verde per il Clima doveva costituire un punto di svolta nei finanziamenti per contrastare il global warming, ma nelle casse ci sono solo 10 miliardi di dollari (tra effettivamente versati e promessi). Evidentemente non c’è solo il nuovo Presidente USA Donald Trump a non essere disponibile a tener fede agli impegni sottoscritti (solo poco prima di lasciare la Casa Bianca, Obama ha versato 500 milioni di dollari, portando il contributo statunitense a 1 miliardo dei 3 previsti), perché anche altri Paesi sviluppati sono restii ad allentare i cordoni della borsa, compresi i Paesi membri dell’UE che si erano impegnati a fornire quasi la metà delle risorse del Fondo (4,7 miliardi di dollari) e che dovrebbero essere più solleciti a provvedervi, visto che tali finanziamenti possono contribuire allo sviluppo economico dei Paesi africani da cui provengono le migliaia di migranti che sbarcano sulle coste europee del Mediterraneo.

Un altro punto su cui i progressi sono stati lenti è stato il tema dell’introduzione di un mercato globale del carbonio, previsto dall’Art. 6 dell’Accordo di Parigi.

Migliori sviluppi si sono registrati sugli altri aspetti dell’Agenda dei lavori come evidenziato nel Comunicato finale del Gruppo sull’Accordo di Parigi (APA) che deve portare a termine i lavori prima della COP 24.
In particolare, si doveva definire le modalità con cui i Paesi comunicano i propri sforzi per le misure di mitigazione e adattamentocome attuare il trasferimento delle tecnologie, le modalità con cui saranno monitorati gli impegni sottoscritti (INDC) e come rivedere nel tempo gli sforzi per mantenere la giusta traiettoria di centrare l’obiettivo di tenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei +2 °C il riscaldamento globale entro la fine del secolo.
Nelle Conclusioni, si legge che “sono stati compiuti progressi sostanziali“, anche se una nota indica che “il tentativo di cogliere in modo informale le opinioni espresse finora da alcune parti, non riflettono necessariamente la visione di tutte… le opinioni rappresentate non significano un consenso tra le Parti e non costituiscono la base per qualsiasi negoziato futuro“.
Le Parti, comunque, dovranno presentare le loro posizioni sugli argomenti in esame entro il 15 settembre 2017.

Chiaramente su Colloqui ha pesato l’incertezza degli USA che non hanno ancora sciolto la posizione che intendono ufficialmente assumere, al di là delle dichiarazioni espresse da Trump di voler uscire dall’Accordo sottoscritto dalla precedente Amministrazione. L’annunciata riunione per decidere in merito è stata aggiornata sia per divergenze con il suo Segretario di Stato, sia per gli inviti rivoltigli dal Presidente Cinese Xi Jinping e dal neo- Presidente francese Emmanuel Macron di non abbandonare l’Accordo, come pure per le garanzie richieste dagli investitori.

Uno degli eventi più attesi durante i negoziati di Bonn, era la presentazione del Rapporto sulle legislazioni climatiche introdotte prima e dopo l’Accordo di Parigi, condotto dal Grantham Research Institute on Climate Change and the Environment che fa parte della London School of Economics (LSE) di Londra, che costituisce una valutazione delle azioni intraprese dai Governi per raggiungere gli obiettivi climatici sottoscritti.

Global trends in climate change legislation and litigation” è stato presentato a Bonn da Alina Averchenkova, a Capo delle Politiche climatiche del Grantham Institute, co-autrice anche di un precedente Rapporto che si era concentrato sulla credibilità degli impegni di riduzione delle proprie emissioni messi sul tavolo dell’Accordo di Parigi da alcuni Paesi del G20 (vedi: “Quanto sono credibili gli impegni di riduzione delle emissioni dei Paesi del G20?“).

L’analisi mostra che:
– ad oggi ci sono in tutto il mondo oltre 1.200 leggi climatiche o attinenti al clima, quando nel 1997 erano solo 60;
– il numero è diminuito da oltre 100 leggi nel 2009 a circa 40 nel 2016, per effetto della copertura ampia introdotta;
– la sfida futura consiste nel rafforzare le leggi esistenti e nel colmare le lacune, piuttosto che elaborare nuovi quadri, dal momento che la maggior parte dei Paesi (non tutti) possiede la base giuridica su cui possono essere costruite ulteriori azioni;
– i Paesi a basso reddito si stanno progressivamente attivando sulla legislazione dei cambiamenti climatici, concentrando la loro attenzione sulle misure di resilienza climatica, anziché sulla riduzione delle emissioni, in considerazione delle proprie condizioni economiche;
– i cambiamenti climatici devono essere integrati meglio nelle strategie di sviluppo, poiché solo 4 Paesi su 10 li considerano esplicitamente nei loro piani;
– i tribunali completano le azioni dei legislatori, decidendo sull’attuazione delle leggi climatiche esistenti o fornendo una base giuridica per la regolamentazione delle emissioni di gas a effetto serra;
– due terzi delle controversie giudiziarie hanno rafforzato o mantenuto la legislazione sui cambiamenti climatici, solo in un caso su tre le politiche sono state indebolite, anche se si deve osservare che tale casistica è meno completa rispetto a quella sulla legislazione climatica.

L’analisi rileva, inoltre, che dopo l’Accordo di Parigi sono state introdotte a livello globale 14 nuove leggi e 33 nuove misure politiche, 18 delle quali attengono principalmente ai cambiamenti climatici e 4 si concentrano in modo specifico sugli impegni presi (INDC).
I dati derivano da un nuovo database, gestito congiuntamente dal Grantham Research Institute e dal Centro Sabin presso la Columbia Law School, che copre le leggi e le misure politiche sui cambiamenti climatici, relative ai settori dell’energia, dei trasporti, di uso dei suoli e di resilienza climatica, emanate a livello nazionale da 164 Paesi, includendo i 50 più grandi emettitori mondiali di gas a effetto serra e 93 dei primi 100 emettitori, che assieme rappresentano circa il 95% delle emissioni globali.
La maggior parte dei Paesi ha una base giuridica su cui si possono costruire future azioni – ha osservato Patricia Espinosa, Segretaria esecutiva dell’UNFCCC, nel corso della presentazione avvenuta il 9 maggio 2017 – Di certo c’è ancora molto da fare, ma le leggi emanate costituiscono, assieme agli investimenti nelle energie rinnovabili, il supporto ad un percorso di implementazione dell’Accordo di Parigi“.

In copertina: Il logo della prossima COP23 a Presidenza delle Isole Fiji, che simboleggia un’isola su cui si abbatte un’enorme ondata, costituita dall’occhio di un ciclone. Il riferimento esplicito è alla vulnerabilità ai cambiamenti climatici dei piccoli Stati insulari in via di sviluppo, come attesta la devastazione intervenuta a Fiji lo scorso anno ad opera del ciclone Winston.

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