Uno studio condotto da ricercatori del CNR-ISTC e dell’Università statunitense di Salisbury avverte che i cambiamenti di uso del suolo in Brasile per far posto all’agricoltura rischiano di far scomparire la cultura dei cebi di usare strumenti per procurarsi il cibo.
Andrà in onda domani (29 luglio 2020) nel programma “Superquark” di Rai1 il servizio, realizzato con la collaborazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di scienze e tecnologie della cognizione (CNR-ISTC), “Salvate la cultura dei cebi”, scimmie sudamericane la cui tradizione di utilizzare utensili rischia di scomparire a causa della conversione agricola delle aree forestali.
A lanciare l’allarme è stato lo Studio “Rare bearded capuchin (Sapajus libidinosus) – Tool-use culture is threatened by land use changes in northeastern Brazil”, pubblicato il 1° luglio 2020 su International Journal of Primatology e condotto da un gruppo di ricercatori dell’ISTC e Università di Salisbury (Maryland-USA), che propone un nuovo criterio di tutela e conservazione delle specie in pericolo.
L’intelligenza dei cebi è, per molti aspetti, pari a quella degli scimpanzé, il primate evolutivamente più vicino alla specie umana. Nella Fazenda Boa Vista nel sud del Piauí (Stato del nordest del Brasile, i cebi barbuti (Sapajus libidinosus) utilizzano pesanti percussori e incudini di pietra per rompere il guscio durissimo delle noci di palma. Mentre i cebi che vivono nelle mangrovie del Morro do Boi (Stato del Maranhão) circa 1.200 km più a nord, usano strumenti di legno per aprire molluschi e granchi.
Un altro Studio pubblicato l’anno scorso su Nature Ecology & Evolution, ha stimato, sulla base di reperti ritrovati nel Parco Archeologico di Serra da Capivara (Piauí) che gli strumenti in pietra utilizzati dai cebi barbuti risalirebbero tra i 2400 e 3000 anni fa.
Ma le tradizioni degli animali sono sempre più minacciate dall’impatto umano sugli habitat naturali, ponendo una sfida alle politiche di conservazione.
“Queste scimmie imparano ad usare strategicamente strumenti in pietra o legno prendendo parte alla vita del gruppo, da una generazione all’altra – ha spiegato Elisabetta Visalberghi, primatologa dell’ISTC e co-autrice dello Studio – I loro comportamenti sono socialmente trasmessi, vengono acquisiti dai giovani che quotidianamente partecipano alle attività dei membri più esperti del gruppo, ma ci mettono anni e anni per imparare”.
I cambiamenti nella copertura del suolo minacciano questa specie, come hanno evidenziato i ricercatori che per valutare i cambiamenti negli ultimi 30 anni, hanno analizzato una serie temporale di immagini rilevate a distanza e le tendenze in atto in entrambi i siti di studio, sviluppando un modello predittivo per prevedere i futuri cambiamenti nella copertura del suolo entro il 2034.
“Purtroppo, Piauí e Maranhão si trovano in un’area interessata da un piano di espansione agricola iniziato trent’anni fa, che ne sta velocemente riducendo la biodiversità, mettendo a rischio la sopravvivenza di molte specie animali – ha affermato Andréa Presotto, biogeografa dell’Università di Salisbury e principale autrice dello Studio – Abbiamo analizzato immagini satellitari di Fazenda Boa Vista: nel 1987 non c’erano terreni agricoli, mentre abbiamo verificato un drastico cambiamento tra il 2000 e il 2017, con un aumento delle aree coltivabili di oltre il 350%. Proiezioni al 2034 prevedono un’ulteriore diminuzione delle aree umide e rocciose a causa dell’erosione del suolo. A Morro do Boi la situazione non è migliore. Già nel 1987 il 2% dell’area era stata convertita all’agricoltura, ma fra 2000 e 2017 l’agricoltura intensiva è aumentata del 323% e la simulazione indica che nel 2034 metà della foresta di mangrovie sarà convertita e/o degradata”.
“La degradazione dell’habitat minaccia la sopravvivenza di queste popolazioni di cebi e le loro tradizioni culturali, che sono uniche – ha ribadito a sua volta Noemi Spagnoletti dell’ISTC – L’uso di strumenti dipende non solo dalle condizioni ambientali, come la disponibilità di frutti di palma e la presenza di rocce da usare come incudini, ma anche dalle tradizioni messe a punto solo da alcune popolazioni. I criteri finora utilizzati per pianificare gli interventi delle politiche di conservazione delle specie riguardano diversità genetica e consistenza numerica. Oggi diventa fondamentale considerare se una certa popolazione possiede tradizioni culturali non presenti altrove: la stessa logica che si applica alla tutela delle popolazioni umane che rischiano di scomparire. I Sapajus libidinosus che vivono a Fazenda Boa Vista possiedono numerose tradizioni assenti altrove che non possiamo permetterci di perdere”.
“Tutelare le popolazioni animali che possiedono conoscenze culturali uniche è importante come proteggere l’habitat in cui la specie vive – ha aggiunto la Visalberghi – Due articoli pubblicati su Science, nel 2019, da Philippa Brakes dell’Università di Exeter e Hjalmar Kühl del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, con i loro collaboratori, illustrano questo concetto con vari esempi. Nei gruppi matriarcali degli elefanti, le femmine adulte con più esperienza sono il punto di riferimento del gruppo: un piano per tutelare questa specie dovrebbe quindi concentrarsi sulle femmine adulte piuttosto che sui giovani. E per quanto riguarda gli scimpanzé, l’uomo distrugge, con le risorse naturali dove vivono, anche i processi di apprendimento sociale dei loro comportamenti culturali”.
In copertina: Una femmina di cebo (Sapajus libidinosus) sta rompendo con una pietra una noce di palma (foto: Noemi Spagnoletti)
E.