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Il Bangladesh ha perso un terzo della sua rete fluviale

Bangladesh ha perso un terzo della sua rete fluviale

La situazione, determinata dalla costruzione di dighe e dai cambiamenti climatici, sta divenendo drammatica, sia sotto il profilo economico-sociale che quello ambientale. Postato da ONG un breve video per sensibilizzare l’opinione pubblica.

Al momento della sua nascita nel 1971 il Bangladesh aveva circa 24.000 chilometri di fiumi e affluenti. Dopo 4 decenni più di un terzo dei 300 grandi fiumi del Paese sta morendo sia per effetto dei cambiamenti climatici sia come conseguenza delle dighe costruite a monte, soprattutto dall’India lungo il confine, per scopi di produzione energetica e per deviare il corso delle acque e proteggere le persone dalle alluvioni, diventate più frequenti a seguito degli eventi meteorologici sempre più irregolari. Inoltre, la scarsità di precipitazioni ha progressivamente ridotto la portata delle acque. 

La perdita dei fiumi ha colpito i mezzi di sussistenza delle popolazioni locali, molte delle quali in precedenza si guadagnavano da vivere con la pesca fluviale (1,3 milioni erano i pescatori nel Paese), costringendole a rivolgersi verso l’agricoltura perché il loro precedente lavoro non era più redditizio.  C’era una volta un detto “Mchhe Bhate Bangali” (Bangali si nutrono di pesce e riso), che è ormai in disuso.

Anche le comunicazioni fluviali che avevano un ruolo fondamentale nei trasporti di merci e persone si sono interrotte. Per alleviare i problemi, il Governo e le ONG stanno definendo programmi volti a promuovere la creazione di mercati temporanei dove le persone possano mettere in vendita prodotti come juta, melassa e lenticchie, mentre si compiono sforzi per migliorare i trasporti in modo che le popolazioni locali possano trasferirsi nelle città fino a che la loro situazione economica non migliori. Il Governo prevede, inoltre, di assegnare i diritti di proprietà sulle terre che sono state abbandonate dalle acque agli individui di quelle famiglie che hanno vissuto per secoli lungo le sponde dei fiumi ormai scomparsi.

Con la perdita dei flussi fluviali, però, si stanno esaurendo anche le acque sotterranee che vengono utilizzate all’80% per irrigare le coltivazioni che coprono il 55% della produzione alimentare del Paese durante la stagione secca, sempre più lunga.

Con la riduzione del regime idraulico aumenta anche la concentrazione di arsenico depositato nel corso di migliaia di anni sulle sabbie e ghiaie del letto dei fiumi. Della questione se ne sta occupando da anni l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) per la quale i livelli di arsenico in Bangladesh costituisce “il più grande avvelenamento di massa di una popolazione nella storia“.
Secondo l’OMS, bere acqua ricca di arsenico per lunghi periodi provoca gravi effetti sulla salute tra cui problemi della pelle (quali cambiamenti di colore, piaghe sulle palme delle mani e piante dei piedi), il cancro della pelle, tumori della vescica, dei reni e polmoni, malattie dei vasi sanguigni delle gambe e dei piedi, e probabilmente anche diabete, pressione alta e disturbi riproduttivi. 

Le acque sotterranee vedono aumentare la salinità per effetto dell’ingressione marina per la riduzione del flusso di acqua dolce, mettendo a repentaglio la biodiversità dell’ampia regione deltizia, ricca di foreste di mangrovie dove vivono le tigri del Bengala (Panthera tigris tigris) ormai inserite nella Red List della IUNC.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica al riguardo, SciDev.Net  una ONG che mette in rete notizie affidabili e autorevoli, opinioni e analisi su informazioni di scienza e tecnologia per lo sviluppo globale, la cui mission è di colmare il divario significativo di conoscenze scientifiche tra i Paesi ricchi e quelli poveri, con la consapevolezza che “coloro che potrebbero trarre i maggiori benefici dalla scienza moderna e dalla tecnologia sono anche quelli con il minor accesso alle informazioni in merito”, ha postato un video della durata di 4 min. su youtube.

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