Acqua Risorse e consumi

Acqua: in Italia si perde il 42% di quella immessa nella rete

Il Censimento delle acque per uso civile (2018) dell’Istat, che restituisce un quadro dettagliato della gestione della filiera pubblica delle risorse idriche, conferma la notevole perdita dell’acqua immessa in rete per l’inefficienza delle infrastrutture idropotabili in gran parte dei distretti del Paese, che necessitano di investimenti adeguati per un uso razionale della risorsa sempre meno disponibile.

I prelievi di acqua per uso potabile sono in calo per la prima volta negli ultimi vent’anni (-2,7% rispetto al 2015).
Aumentano le perdite idriche in distribuzione (42% del volume di acqua immesso in rete, nel 2015 era del 41,4).

Sono alcuni dei dati che più risaltano del Censimento delle acque per uso civile (anno di riferimento dei dati 2018), che restituisce un quadro dettagliato della gestione della filiera pubblica delle risorse idriche (dal prelievo di acqua per uso potabile alla depurazione delle acque reflue urbane) dei servizi idrici attivi sul territorio comunale e delle infrastrutture idriche presenti in Italia.

Gestione
Sebbene il numero di gestori del servizio idrico si sia molto ridotto (2.582 rispetto ai 7.826 del 1999), persiste una spiccata parcellizzazione gestionale, localizzata in alcune aree del territorio dove la riforma non è ancora stata completamente attuata, come in Calabria, Campania, Molise, Sicilia, Valle d’Aosta e nelle province autonome di Bolzano e Trento.
 In particolare:
– l’approvvigionamento di acqua per uso potabile è gestito da 1.714 enti, l’80,2% dei quali opera in economia (1.374);
– le reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile sono gestite da 2.088 enti. Nell’85,1% dei casi si tratta di gestori in economia (1.777);
– la fognatura comunale, gestita da 2.263 enti, è il servizio idrico con il più alto numero di gestori e in cui si ha la maggiore quota in economia (2.065, pari al 91,3%);
– la depurazione delle acque reflue urbane è il servizio con il minor numero di enti gestori, 1.451 nel 2018, nell’83,0% dei casi sono gestori in economia.

Prelievo
Il volume di acqua per uso potabile prelevato, per gli usi domestici, pubblici, commerciali, artigianali, nonché industriali e agricoli che rientrano nella rete comunale, è pari a 9,2 miliardi di metri cubi.
Il distretto idrografico del fiume Po è quello dove si ha il maggiore prelievo di acqua per uso potabile, pari a 2,8 miliardi di metri cubi, poco più del 30% del totale prelevato.
È la Lombardia la regione che registra il maggior prelievo di acqua per uso potabile(15,4% del totale nazionale), seguita da Lazio (12,5%) e in Campania (10,1%).
Nel 2018, per la prima volta negli ultimi vent’anni, i prelievi per uso potabile diminuiscono (-2,7% rispetto al 2015) e la contrazione è generalizzata, con l’eccezione del Molise dove si registra un consistente aumento dei prelievi idropotabili (+27,4% rispetto al 2015) anche per far fronte alle esigenze delle regioni vicine a seguito della crisi idrica del 2017.

Per garantirne la qualità, l’acqua prelevata può essere sottoposta a trattamenti, che vanno dall’ordinaria disinfezione o clorazione (con ipoclorito, cloro gassoso, biossido di cloro…) alla potabilizzazione per la rimozione delle sostanze contaminanti (ad esempio, nel caso della filtrazione). Nel 2018, il 28,8% dei volumi prelevati è sottoposto alla potabilizzazione e il restante 71,2% alla disinfezione o non subisce alcun trattamento. I casi di totale assenza di trattamento sono sporadici, generalmente associati a sorgenti di alta quota o a pozzi utilizzati a pieno regime, dove la qualità dell’acqua è buona ed è immessa direttamente in distribuzione, senza serbatoi di accumulo. Il processo di potabilizzazione può comportare il consumo di una quota di acqua, variabile a seconda del trattamento, con la riduzione dei volumi disponibili per le fasi successive di adduzione e distribuzione.

Quasi la metà d’acqua viene prelevata da pozzi (48,9%) con lo sfruttamento peculiare distretto del fiume Po che concorre al 42,1% del volume totale prelevato da pozzi e dove si concentra la maggiore quota di volumi potabilizzati.
Da sorgenti vieneprelevato il 35,9%, di cui solo il 2,8% è sottoposto a potabilizzazione (data la migliore qualità delle acque sorgentizie), con prevalenza nel distretto idrografico dell’Appennino centrale (73% circa del volume complessivo prelevato), seguito da quello dell’Appennino meridionale (poco più del 46%).
Il prelievo da fonti d’acqua sotterranea (sorgenti e pozzi) costituisce la modalità di approvvigionamento prevalente in Italia e raggiunge quote superiori al 75% in tutti i distretti idrografici, ad eccezione della Sardegna (20%).
L’acqua prelevata da bacini artificiali è pari al 9,8% del totale, quasi tutto sottoposto a trattamento di potabilizzazione.
L’acqua prelevata da corsi d’acqua superficiali (4,8%) è prevalentemente sottoposta a trattamento di potabilizzazione (94,9%), il restante 5,1% a sola disinfezione.
L’acqua prelevata da laghi naturali è quantificabile allo 0,5% del prelievo totale ed è sottoposta per il 96,6% a trattamenti di potabilizzazione.
Ad integrazione delle fonti di acqua dolce, per sopperire alle carenze idriche e approvvigionare le isole minori, in Sicilia, Toscana e Lazio viene prelevata l’acqua di mare (0,1% del totale), trattata attraverso un processo di dissalazione.

Sono 340 gestori specializzati di fonti di approvvigionamento per uso potabile che prelevano il 90,2% del volume complessivo. I 1.374 gestori in economia operativi provvedono al prelievo del restante 9,8% del volume complessivo, per la quasi totalità costituito da fonti sotterranee. Sebbene il numero degli enti che si occupano di prelievo di acqua sia ancora piuttosto alto, la metà del volume è prelevata da 23 gestori. La gestione in economia delle fonti di approvvigionamento è presente soprattutto soprattutto in Valle d’Aosta (81,0% dei volumi prelevati), ma sono rilevanti anche nelle province autonome di Bolzano e Trento (rispettivamente 64,2% e 56,9%), in Sicilia (29,0%), Campania (28,5%) e Calabria (23,2%).

Distribuzione
Quasi tutti i comuni hanno un servizio di distribuzione dell’acqua potabile che garantisce la risorsa per gli usi idrici quotidiani di popolazione, piccole imprese, alberghi, uffici, attività commerciali, produttive, agricole e industriali collegate direttamente alla rete urbana, e soddisfa le richieste pubbliche (lavaggio delle strade, acqua di scuole e ospedali, innaffiamento del verde, fontanili e antincendio). I 17 comuni totalmente sprovvisti della rete di distribuzione dell’acqua potabile si trovano in Lombardia (8), Veneto (5) e Friuli-Venezia Giulia (4) con una popolazione residente complessiva di circa 79mila persone che ricorrono a forme di autoapprovvigionamento attraverso pozzi privati.
In circa quattro comuni su cinque (il 78,0%), in cui è attivo il servizio, operano gestori specializzati (in Umbria il totale dei comuni).
Nel 2018, sono immessi nelle reti comunali di distribuzione 8,2 miliardi di m3 di acqua per uso potabile (371 litri per abitante al giorno), in lieve calo sul 2015, ma con persistenti differenze a livello regionale: dai 277 litri in Puglia ai 573 della Valle d’Aosta. In Basilicata e Molise solo una quota dell’acqua prelevata è usata internamente alla regione, mentre il quantitativo in eccedenza, al netto delle dispersioni in adduzione, confluisce nelle regioni confinanti.
Il volume di acqua prelevato dalle fonti di approvvigionamento per uso potabile, al netto dei volumi addotti all’ingrosso per usi non civili (all’agricoltura e all’industria; l’1% del volume prelevato), si riduce del 10,4% all’ingresso del sistema di distribuzione per le dispersioni nella rete di adduzione.

Il volume di acqua erogato per usi autorizzati è di 4,7 miliardi di m3 (215 litri per abitante al giorno), pari al 51,4% del volume prelevato, in calo dell’1,7% rispetto al 2015. A partire dal 2008, i consumi idrici nei comuni italiani registrano una diminuzione costante riconducibile a molteplici fattori: comportamenti di consumo più sostenibili; cambiamenti nei criteri utilizzati per quantificare le componenti del bilancio idrico (in particolare nel metodo di calcolo dei volumi non misurati); applicazione meno frequente del minimo impegnato; contrazione delle utenze non domestiche, soprattutto attività commerciali e servizi presenti su scala urbana, a causa della crisi economica che il Paese sta vivendo ormai da diversi anni.
L’erogazione è mediamente più elevata nei comuni del Nord rispetto al Mezzogiorno. La ripartizione Nord-ovest registra il volume maggiore (254 litri per abitante al giorno). Ai residenti nelle regioni insulari è erogato in media il minore volume di acqua (189 litri per abitante al giorno), anche se i valori regionali più bassi dell’indicatore si osservano in Umbria (164) e Puglia (152).

Nel 2018, il volume delle perdite idriche totali nella fase di distribuzione dell’acqua, calcolato come è pari a 3,4 miliardi di m3 (il 42,0% dell’acqua immessa in rete). Nello specifico, le perdite totali si compongono delle seguenti tipologie:
una parte fisiologica, che incide inevitabilmente su tutte le infrastrutture idriche, che varia generalmente tra il 5% e il 10%;
una parte fisica associata al volume di acqua che fuoriesce dal sistema di distribuzione a causa di vetustà degli impianti, corrosione, deterioramento o rottura delle tubazioni o giunti difettosi, componente prevalente soprattutto in alcune aree del territorio;
una parte amministrativa, che determina anche una perdita economica per l’ente, legata a errori di misura dei contatori (volumi consegnati ma non misurati, a causa di contatori imprecisi o difettosi) e ad allacci abusivi (volumi utilizzati senza autorizzazione), stimata intorno al 3-5%.
La presenza di perdite è anche direttamente proporzionale al numero di allacci e all’estensione della rete. In riferimento all’acqua prelevata dalle fonti di approvvigionamento, le perdite idriche totali in distribuzione ne rappresentano una quota pari al 37,2%
Rispetto al 2015 si registra un leggero incremento delle perdite totali percentuali di rete, pari a circa mezzo punto (erano il 41,4%), a conferma della grave inefficienza dell’infrastruttura idropotabile, con i valori più alti di inefficienza nei distretti idrografici della fascia appenninica e insulare e quelli più bassi nel distretto del Po.
In 13 regioni su 21 e in 6 distretti idrografici su 7 aumentano le perdite idriche totali in distribuzione. Si va da incrementi minimi, come nel Lazio ed Emilia-Romagna, a incrementi piuttosto rilevanti in Liguria, Umbria e Abruzzo. Tra le regioni in cui l’indicatore diminuisce, le uniche a presentare una variazione significativa sono Friuli-Venezia Giulia, Basilicata e Sardegna, pur avendo livelli di perdite ancora molto alti e superiori al valore nazionale

Servizio di fognatura
Nel 2018 il servizio pubblico di fognatura comunale è attivo nel 99,5% dei comuni. Il 74,3% dei comuni in cui il servizio è presente ha una gestione specializzata Soltanto in Umbria il servizio pubblico di fognatura comunale è totalmente a carico di gestori specializzati.
Più diffusa l’assenza del servizio di depurazione (339 comuni e 1,6 milioni di residenti). Sono comuni con ampiezza demografica medio/piccola e localizzati per il 72,3% in zone rurali o scarsamente popolate. Il 66,4% è localizzato nel Mezzogiorno.

Depurazione acque reflue
Gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio sul territorio nazionale sono 18.140, in lieve incremento sul 2015. Il 95,7% dei comuni è depurato da questi impianti, in maniera completa o parziale. In Piemonte si concentra il numero maggiore di impianti (il 22,1% del totale); seguono Emilia-Romagna (11,2%), Abruzzo (8,5%) e Lombardia (8,4%). Data la complessità del trattamento delle acque reflue urbane, l’86,9% del parco depuratori nazionale è gestito da 247 enti specializzati.
Gli impianti di depurazione, necessari per ridurre l’inquinamento dei corpi idrici e salvaguardare la salute della popolazione, si differenziano per tipo di trattamento e capacità di abbattimento dei carichi inquinanti. Il 42,9% degli impianti impiega trattamenti secondari o avanzati, che trattano più del 60% dei carichi confluiti ai depuratori delle acque reflue urbane, mentre il restante 57,1% è costituito da vasche Imhoff e impianti di tipo primario.
Per valutare la dotazione degli impianti sul territorio, l’indicatore di densità fornisce informazioni sulla distribuzione delle infrastrutture sul territorio e sulla frammentazione del servizio in riferimento alla superficie di ciascuna regione: forte è, infatti, ancora la presenza di tanti piccoli impianti che non sempre riescono a trattare i carichi inquinanti di origine civile prodotti

Ricordiamo che per la mancanza di impianti di depurazione delle acque reflue in alcune aree del Paese, l’Italia ha accumulato una serie di procedure di infrazione da parte della Commissione UE, culminate con condanne da parte della Corte di giustizia europea, l’ultima delle quali ha prevista il pagamento di una somma forfettaria di 25 milioni di euro e ad una penalità di 30 milioni di euro per ogni 6 mesi di ritardo nella realizzazione delle reti fognarie e degli impianti di depurazione di 74 agglomerati urbani sopra i 15.000 abitanti.
Ciononostante l’Italia non riesce ancora a rispettare gli obblighi che derivano dalla Direttiva 91/271/CEE relativa al trattamento delle acque reflue ed è stata deferita ancora lo scorso anno per non aver provveduto affinché tutti gli agglomerati con più di 2.000 abitanti siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane e non garantisce che le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, a un trattamento adeguato come richiesto dalla Direttiva.

Peraltro, il recente Regolamento sul riutilizzo delle acque trattate a fini irrigui in agricoltura, adottato dalla Commissione UE nell’ambito del Green Deal europeo e il correlato nuovo Piano d’azione per l’economia circolare che prevede “Oltre alle misure per un uso razionale delle risorse idriche, il riutilizzo delle acque reflue trattate in condizioni sicure ed efficienti rispetto ai costi è un mezzo valido ma sottoutilizzato per aumentare l’approvvigionamento idrico e alleviare la pressione su risorse troppo sfruttate”, non potrà essere implementato se non si agisce a monte della filiera ovvero nella costruzione degli impianti di depurazione, oltre che degli impianti di trattamento dei fanghi che residuano dai processi di depurazione.

I fondi messi a disposizione dal Programma Next Generation EU potrebbero costituire un’occasione irripetibile per sostenere i costi per la realizzazione delle infrastrutture efficienti una volta per tutte.

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