Diritto e normativa Società

Commissione UE: Italia deferita alla Corte di giustizia per smog e fogne

Nel pacchetto di infrazioni di marzo la Commissione UE ha pure adottato nei confronti del nostro Paese  2 pareri motivati (qualifiche professionale e lotta al riciclaggio) e 3 lettere di costituzione in mora (sicurezza stradale, energia idroelettrica e prodotti).

Con il Pacchetto di infrazioni adottato il 7 marzo 2019, la Commissione UE ha deferito l’Italia alla Corte di giustizia europea per due distinti casi di inottemperanza del nostro Paese alla legislazione ambientale: inquinamento atmosferico e inquinamento delle acque.

Il primo caso riguarda l’incapacità di proteggere i cittadini dagli effetti del biossido di azoto (NO2).
La Direttiva 2008/50/CE sulla Qualità dell’aria ambiente impone ai Paesi membri di valutare la qualità in tutto il loro territorio e di adottare misure per limitare l’esposizione dei cittadini agli inquinanti.

In particolare, per il biossido di azoto (NO2) la cui principale fonte antropogenica è data dagli impianti termici e dal traffico di autoveicoli, il valore limite di 40 microgrammi per m3 che doveva essere soddisfatto entro il 2010 è stato  abbondantemente sforato in dieci agglomerati che coprono circa 7 milioni di persone, che comprendono oltre alle grandi città come Milano, Torino e Roma, ma anche centri più piccoli come per esempio Catania, Campobasso.

L’inquinamento atmosferico, ricorda la Commissione UE, causa direttamente malattie sia croniche che gravi come l’asma, problemi cardiovascolari e cancro ai polmoni. La cattiva salute causata dall’inquinamento atmosferico costa all’economia miliardi di euro in giorni di lavoro persi.

Questo rinvio fa seguito a un’azione analoga contro Francia, Germania e Regno Unito nel maggio 2018, per analoghi fallimenti nel rispettare i valori limite per l’NO2 e per non aver adottato le misure appropriate per mantenere i periodi di eccedenza il più breve possibile, a cui l’Italia era scampata, ma nell’occasione era stata deferita per sforamento dei limiti di Pm10.

Il secondo caso di deferimento alla Corte di giustizia europea riguarda l’inquinamento delle acque. La Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane impone agli Stati membri dii garantire che gli agglomerati urbani o gli insediamenti urbani raccolgano e trattino adeguatamente le loro acque reflue urbane. Le acque reflue non trattate possono essere contaminate da batteri e virus dannosi, presentando un rischio per la salute umana. Contiene anche nutrienti come azoto e fosforo che possono danneggiare le acque dolci e l’ambiente marino, promuovendo l’eccessiva crescita di alghe che soffoca altri organismi viventi, un processo noto come eutrofizzazione.

L’Italia non ha provveduto affinché tutti gli agglomerati con più di 2.000 abitanti siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane e non garantisce che le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, a un trattamento adeguato come richiesto dalla direttiva.

Secondo la Commissione, vi sarebbero 620 agglomerati in 16 regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e Veneto) che violino le norme dell’UE in materia di raccolta o di trattamento delle acque reflue urbane, da oltre 13 anni.

Il carattere generale e persistente della violazione da parte dell’Italia degli obblighi di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane – sottolinea la Commissione UE – è confermato da altri due casi, in cui la Corte si è già pronunciata contro l’Italia per quanto riguarda gli agglomerati di maggiori dimensioni e ha comminato ammende in uno di questi casi”. Il riferimento è alla sentenza in appello dello scorso maggio con cui la Corte di giustizia ha condannato il nostro Paese ad una somma forfettaria di 25 milioni di euro e ad una penalità di 30 milioni di euro per ogni 6 mesi di ritardo nella realizzazione delle reti fognarie e degli impianti di depurazione di 74 agglomerati urbani sopra i 15.000 abitanti.

Nel V Rapporto sulla stato di implementazione dei piani di gestione dei bacini idrografici europei, previsti dalla Direttiva acque, adottato qualche giorno fa, la Commissione UE raccomanda il nostro Paese, tra le altre numerose osservazioni, di “affrontare la questione dello scarico delle acque reflue urbane e assicurarsi che le misure previste siano sufficienti per raggiungere gli obiettivi della direttiva quadro sulle acque (nonché della direttiva sulle acque reflue urbane) in tutti i bacini idrografici”.

Ma le procedure di infrazioni per il mese di marzo avviate nei confronti dell’Italia, non si limitano a questi due casi, seppure più gravi. Ci sono infatti anche due Pareri motivati e tre Lettere di costituzione in mora

Il primo parere motivato riguarda la non conformità della legislazione italiana e della prassi giuridica alle norme dell’UE sul riconoscimento delle Qualifiche professionali.
La Direttiva 2005/36/CE, modificata dalla Direttiva 2013/55/UE, promuove il riconoscimento automatico delle qualifiche professionali nei Paesi dell’UE di modo che sia più facile per i professionisti prestare i propri servizi in tutta Europa, garantendo al contempo un migliore livello di protezione per i consumatori e i cittadini.
Si applica in generale alle professioni regolamentate, quali infermiere, medico, farmacista o architetto. Fanno eccezione le professioni disciplinate da Direttive specifiche dell’UE, quali revisore dei conti, intermediario assicurativo, controllore del traffico aereo, avvocato e agente commerciale. La direttiva stabilisce inoltre norme per la mobilità temporanea, lo stabilimento in un altro Paese dell’UE, diversi sistemi di riconoscimento delle qualifiche e controlli relativi alla conoscenza delle lingue e ai titoli di studio professionali.
Tali norme sono integrate dalla tessera professionale europea, un certificato elettronico disponibile da gennaio 2016 per cinque professioni (infermiere responsabile dell’assistenza generale, fisioterapista, farmacista, agente immobiliare e guida di montagna). Per garantire l’adeguata tutela di pazienti e consumatori nell’UE, la Commissione ha istituito inoltre un meccanismo di allerta. Lo Stato membro che riceve professionisti di altri Paesi dell’UE è responsabile di controllarne le qualifiche o l’idoneità alla pratica e, in caso di dubbio fondato, di contattare lo Stato membro che ha rilasciato il diploma.
In particolare il parere motivato nei confronti dell’Italia attiene a:
tessera professionale europea;
– istituzione di centri di assistenza;
– trasparenza e proporzionalità degli ostacoli normativi.
Ora l’Italia dispone di due mesi per replicare alle argomentazioni addotte dalla Commissione. In assenza di risposte soddisfacenti, la Commissione potrà decidere il nostro Paese alla Corte di giustizia dell’UE.

L’altro parere motivato si riferisce alla lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.
Secondo la Commissione, l’Italia non ha recepito pienamente nell’ordinamento nazionale le norme della Direttiva 2015/849/UE sulla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo.
Anche in questo caso l’Italia dovrà rispondere entro due mesi.

Le lettere di costituzione in mora riguardano: sicurezza stradale; fornitura di energia idroelettrica; dispositivi di protezione individuale.

Nel primo caso,l’Italia non avrebbe realizzato appieno l’infrastruttura dei centri di raccolta delle chiamate di emergenza necessaria per ricevere e gestire le chiamate eCall al 112, come previsto dalla Direttiva ITS (2010/40/UE) sul quadro generale per la diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti nel settore del trasporto stradale e nelle interfacce con altri modi di trasporto.
Il sistema eCall compone automaticamente il numero unico europeo d’emergenza 112 in caso di incidente stradale grave e comunica l’ubicazione del veicolo ai servizi di soccorso grazie al sistema europeo di navigazione via satellite Galileo. Si stima che eCall ridurrà il tempo di risposta fino al 40-50%, salvando così centinaia di vite ogni anno.
L’Italia dispone di due mesi per replicare ai rilievi mossi, in caso contrario la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato.

Nel secondo caso, la Commissione ha deciso di inviare una seconda lettera di costituzione in mora al nostro Paese riguardo le autorizzazioni per la fornitura di energia idroelettrica, che non sarebbero state aggiudicate e rinnovate in conformità del diritto dell’UE.
La fornitura di energia idroelettrica è generalmente organizzata in due quadri:
– le autorizzazioni che rientrano nella Direttiva 2006/123/CE sui servizi;
– le concessioni coperte dalla Direttiva 2014/23/UE sugli appalti pubblici.
Nel caso delle autorizzazioni, le autorità pubbliche stabiliscono le condizioni per l’attività e l’autorizzazione viene quindi generalmente concessa su richiesta dell’operatore economico e non su iniziativa dell’amministrazione aggiudicatrice. Inoltre, l’operatore economico rimane libero di ritirarsi dalla fornitura di lavori o servizi. In particolare, la direttiva sui servizi copre situazioni in cui il numero di autorizzazioni disponibili per una data attività è limitato a causa della scarsità di risorse naturali o capacità tecniche (ad esempio scarsità di risorse idriche, spiagge). In tali casi, le autorizzazioni devono essere sottoposte a una procedura di selezione trasparente e imparziale che fornisca tutte le garanzie di trasparenza e imparzialità.La Commissione UE ritiene che l’Italia non abbia organizzato procedure di selezione trasparenti e imparziali per la nuova attribuzione delle autorizzazioni nel settore dell’energia idroelettrica che erano scadute.
Il nostro Paese ha due mesi per rispondere alle argomentazioni addotte dalla Commissione; in caso contrario, la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato.

Infine, c’è il mancato rispetto delle norme armonizzate dell’UE sui prodotti
L’Art. 45 del Regolamento (UE) 2016/425 sui dispositivi di protezione individuale impone, tra l’altro, agli Stati membri di comunicare alla Commissione UE entro il 21 marzo 2018 le sanzioni imposte agli operatori economici, anche di tipo penale nei casi più gravi, che non rispettino le disposizioni di tale Regolamento.
L’Italia dovrà replicare alle argomentazioni addotte entro due mesi; in caso contrario la Commissione potrà decidere di inviare un parere motivato.

 

 

 

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