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Gas flaring: pratica sprecona e disatrosa, secondo General Electric

Gas flaring pratica sprecona e disatrosa secondo General Electric

Studio di General Electric ne mette in evidenza gli sprechi economici e i danni ambientali.

Viene denominata “gas flaring” la pratica di bruciare a cielo aperto il gas naturale collegato all’estrazione del petrolio che, quando fuoriesce dal terreno, raramente si presenta da solo, bensì più di frequente è associato a del gas che sotto la superficie è dissolto nel petrolio che poi quando viene pompato fuori ritorna alla forma gassosa e che non è “conveniente” recuperare.

Tale “sconvenienza”, tuttavia si traduce in “Uno spreco multi-miliardario, una tragedia ambientale a livello locale e globale, un problema energetico che può essere risolto”, come si legge nello studio “Flare gas reduction: recent global trends and policy consideration”, presentato il 4 aprile 2011 dalla multinazionale General Electric e che segnala anche le possibili soluzioni.

I numeri sentenziano la gravità del problema:
– il 5% della produzione mondiale di gas naturale, pari a 150 miliardi di m3, viene sprecato ogni anno mediante tale pratica, quantitativo equivalente al 30% del consumo dell’Unione europea e al 23% di quello degli Stati Uniti;
– il 2% del totale annuale delle emissioni del settore energetico, pari a 400 milioni di tonnellate di CO2, tante quante sono all’incirca quelle provocate da 77 milioni di automobili, è dovuto a tale spreco;
– quasi 20 miliardi di dollari all’anno vengono così bruciati che, viceversa, si potrebbero risparmiare per generare elettricità e aumentare la produzione economica mondiale.

Lo studio rileva che le tecnologie necessarie per una soluzione esistono già ora. A seconda della regione, queste possono includere la cattura del gas per generare energia elettrica, la re-iniezione nel sottosuolo (per migliorare l’estrazione e il trattamento del petrolio); lo sviluppo di condotte e di soluzioni energetiche distribuite.
“Il problema non è dovuto a mancanza di soluzioni tecnologiche; il gas flaring può essere affrontato oggi attraverso una varietà di tecnologie esistenti a costi ragionevoli. Tuttavia, spesso le complessità politiche regionali e la mancanza di sistemi infrastrutturali induce alla decisione di bruciarlo – si legge nel Rapporto – È sempre più chiaro che la prossima fase per sradicare la pratica di bruciare il gas presupporrà un grande e coordinato sforzo da parte delle amministrazioni centrali e regionali, dei produttori di petrolio e gas, dei fornitori di tecnologia e della comunità internazionale. Il ruolo giocato da ognuna di queste parti differisce in base alle regioni”.

Lo studio fornisce un’analisi delle tendenze al gas flaring regione per regione.
Per esempio, all’interno della Federazione russa, il maggior Paese al mondo per emissioni da gas flaring, si sprecano ogni anno fino a 50 miliardi di m3 di gas naturale.
Se la metà di questo gas bruciato (25 miliardi di metri cubi all’anno) venisse catturato e venduto ai prezzi di mercato in Russia, si potrebbero recuperare oltre 2 miliardi dollari (65 miliardi di rubli). Una parte significativa di questo spreco potrebbe essere evitata con modesti sforzi politici e una maggiore propensione ad investimenti nella generazione di energia elettrica e in tecnologie per la lavorazione del gas.

In Nigeria, sebbene le emissioni di gas bruciato siano diminuite del 28% rispetto al 2000, l’industria petrolifera dissipa ancora 50 miliardi di m3 di gas naturale ogni anno. Mentre quasi la metà della popolazione non ha accesso all’elettricità, il Paese spende circa 13 miliardi dollari all’anno per produrla con motori diesel e, forse, 10 GW di potenziale energia elettrica è bruciata altrove. Il successo della cattura e dell’utilizzo di gas flaring potrebbe triplicare potenzialmente il consumo pro capite di energia elettrica per questa nazione che conta 155 milioni di individui.
In altri Paesi dell’Africa occidentale, in Angola, Guinea Equatoriale, Gabon, Congo e Camerun collettivamente si brucia 10 miliardi di m3 di gas ogni anno.
I bassi prezzi del gas naturale e gli alti costi connessi alla cattura di gas flaring nel Medio Oriente inopinatamente incoraggiano la combustione del gas inutilizzato.

“Sfruttare meglio il gas estratto e combusto è una grande opportunità – ha dichiarato David Victor, Direttore del Laboratorio sulla Legislazione e Regolamentazione internazionale presso l’Università di San Diego/Ca) – Si contribuirà così a rallentare il riscaldamento globale e, al contempo, il risparmio di risorse naturali scarse. Anche se questo problema è stato in evidenza per qualche tempo, molti Paesi stanno ancora bruciando e disperdendo enormi quantità di gas”.

Lo studio mette in evidenza le seguenti raccomandazioni per ridurre il gas flaring:
– Rafforzare gli accordi internazionali. Come sopra accennato, la fase successiva per sradicare la pratica di bruciare il gas richiede uno sforzo coordinato da parte dei Governi centrali e regionali, dei produttori di petrolio e gas, dei fornitori di tecnologie e della comunità internazionale. Questi sforzi devono includere anche azioni punitive per le inadempienze e incentivi per incoraggiare gli investimenti.
– Far progredire soluzioni locali. Gli sforzi a livello locale sono fondamentali per ridurre il fenomeno del gas flaring. I Governi, i produttori e di fornitori di tecnologie di tutto il mondo devono partecipare per: comunicare il valore del gas, tra cui una maggiore efficienza; evidenziare i benefici finanziari connessi alla riduzione del gas flaring; garantire il sostegno del Governo locale al controllo e all’applicazione delle relative normative; implementare la capacità degli investitori e appaltatori locali a gestire e servire la produzione di energia distribuita.
– Ampliare l’accesso ai finanziamenti. Gli sforzi a livello locale richiedono il supporto di capitali, compresi gli investimenti in gasdotti, lavorazioni e riserve, che rendano economicamente vantaggioso lo stoccaggio e l’utilizzo del gas che, altresì, sarebbe destinato ad essere bruciato. per raccogliere e utilizzare gas bruciato in torcia. Il rafforzamento di varie forme del credito, incluse le garanzie di rischio parziale, sono uno dei modi per sostenere gli investimenti, mentre sono in corso le riforme politiche. Fondi per lo sviluppo delle tecnologie mirate e partnership per la riduzione della CO2 possono favorire dei progetti, relativi al finanziamento per la riduzione del carbonio e l’ammissibilità di includere la riduzione del gas flaring all’interno del Clean Development Mechanism (CDM) previsto dal Protocollo di Kyoto, che fornisce crediti ai progetti che riducono le emissioni climalteranti, a cui per ora non è possibile accedere per l’assenza del criterio dell’addizionalità, cioè della dimostrazione che quella riduzione non si sarebbe potuta ottenere, se non grazie al CDM.
“Con una maggiore attenzione globale e sforzi concertati, compresi i partenariati, le politiche programmate e le innovative tecnologie, la pratica del gas flaring su larga scala potrebbe essere in gran parte eliminato in soli cinque anni – ha dichiarato Michael Farina, Responsabile del programma di GE Energy di GE – Si tratta di un esito win-win”.

Che sia una soluzione in cui tutti ne traggono giovamento non c’è alcun dubbio, ma la prospettiva di estendere il gas flaring all’interno del CDM non convince gli ambientalisti, in particolare Nnimmo Bassey, Presidente di Friends of the Earth International e nominato dal Time “Hero of the Environment 2009” per il suo ruolo attivo nel denunciare le violazioni dei diritti umani e ambientali da parte delle compagnie petrolifere nel delta del Niger, intervenuto a Roma nel luglio scorso alla Conferenza Stampa di “Amici della Terra – Italia”, per denunciare il fenomeno degli sversamenti di petrolio e del gas flaring che si protrae in Nigeria da anni, contribuendo ad un disastro ambientale e sociale di enormi proporzioni, nonostante quel Paese avesse dichiarato ufficialmente illegale tale pratica sin dal 1979, concedendo un periodo di cinque anni alle imprese per mettersi in regola. Secondo Bassey, sarebbe come se un ladro venisse pagato per smettere di rubare: “Se io fossi un rapinatore di banche ed un giorno decidessi di rapinarne una soltanto anziché dieci, dovrei ricevere un premio? Ciò è quel che accadrebbe se alle compagnie petrolifere venisse estesa l’opportunità di accedere al Meccanismo di Sviluppo Pulito”.

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