La produzione di vino nel 2018 in Italia sarà, secondo il rapporto di Assoenologi, superiore del 24% rispetto al 2017, ma da Merano Wine Festival arriva l’allarme sul futuro del vino italiano con gli attuali scenari di riscaldamento globale.
Assoenologi (Associazione Enologi Enotecnici Italiani) ha presentato il 9 novembre 2018 il Rapporto con i dati definitivi della Vendemmia 2018.
“Quest’anno siamo stati particolarmente attenti e cauti nelle stime – ha affermato Riccardo Cotarella, Presidente di Assoenologi – in considerazione del fatto che ormai i cambiamenti climatici possono creare, anche in territori limitrofi, delle transazioni da clima continentale a clima tropicale che possono determinare importanti differenze sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo“.
I dati indicano una produzione di vino e mosto superiore di circa il 24% rispetto al 2017. Tutte le regioni italiane evidenziano consistenti incrementi produttivi. Parlando di valori assoluti, il totale della produzione cambia a seconda se si considerano i dati ufficiali Istat o quelli del MIPAAFT del 2017 (tra i due dati si rileva addirittura una differenza di 3,6 milioni di ettolitri). Assoenologi ha deciso di fare riferimento ai dati ufficiali del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e, pertanto, l’Italia nel 2018 fa segnare una produzione complessiva di 52.600.000 ettolitri.
L’annata 2018 presenta, pertanto, valori medi di un’annata di piena produzione, che vanno a compensare il forte calo registrato nella passata campagna che è stata tra le più scarse degli ultimi cinquant’anni, dove gli eventi climatici si sono accaniti con un’inusuale ed eccezionale portata.
In tutta la penisola si è riscontrato un ritardo dell’inizio delle operazioni vendemmiali che varia dai 7 ai 10 giorni rispetto allo scorso anno, ma in linea rispetto ad un’annata normale. Il pieno della raccolta, in tutt’Italia è avvenuto tra la seconda decade di settembre e la prima di ottobre, e si è praticamente conclusa tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre con i conferimenti degli ultimi grappoli di Nebbiolo in Valtellina, di Cabernet in Alto Adige, di Aglianico del Taurasi in Campania e dei vitigni autoctoni sulle pendici dell’Etna, mentre in Sardegna, per le uve di uve da dessert (Malvasia e Nasco) gli ultimi grappoli saranno staccati verso la fine di novembre.
Qualità eterogenea in tutt’Italia soprattutto al centro-sud per effetto dell’andamento climatico. Al nord la qualità risulta più che buona, con diverse punte di ottimo e alcune di eccellente. I primi dati analitici indicano acidità inferiore alla norma, tipiche di condizioni climatiche variabili. Per quanto concerne i vini bianchi ottenuti dalle prime uve vendemmiate, si riscontra un buon quadro aromatico e un’interessante intensità.
Se l’andamento meteorologico ha inciso positivamente quest’anno per il vino italiano (non per l’olio del quale si prevede una produzione dimezzata), l’impatto dei cambiamenti climatici sulla viticoltura e sulle caratteristiche organolettiche dei vini, potrebbero costringere a sperimentare proattivamente nuove varietà di vitigni.
A Merano Wine Festival (9-13 novembre 2018) si è svolta una tavola rotonda tra esperti ed autorità del mondo del vino dal titolo “Il futuro del vino tra cambiamenti climatici, nuove opportunità nella produzione e aspettative dei consumatori” nel corso della quale si è dibattuto sulle conseguenze dei cambiamenti climatici che negli ultimi anni hanno apportato problematiche, ma anche nuove opportunità, nella produzione del vino con logici mutamenti anche nei gusti del consumatore.
Il climatologo meranese Georg Kaser , Professore di Clima e Ricerca Criosferica presso l’Università di Innsbruck e membro dell’Accademia delle Scienze austriaca, ha introdotto l’argomento facendo riferimento ai modelli previsionali dei possibili impatti dei cambiamenti climatici sulla vinificazione, elaborati da un gruppo internazionale di ricercatori, coordinato da Lee Hannah,c limatologo di Conservation International di Arlington in Virginia.
Stando a tali studi pubblicati sulla prestigiosa rivista PNAS e dei quali abbiamo dato ampio risalto in un articolo di qualche anno fa, le regioni vinicole più importanti del mondo, dal Cile alla Toscana, dalla Borgogna all’Australia vedranno diminuire le loro aree coltivabili dal 25% al 73% entro il 2050, costringendo i viticoltori a piantare nuovi vigneti in ecosistemi precedentemente indisturbati, a latitudini più alte o altitudini più elevate, eliminando le specie vegetali e animali locali.
Attualmente, ha sottolineato Kaser, citando il recente Rapporto speciale dell’IPCC del quale è stato in passato autore , il mondo si sta indirizzando sul peggiore delle due proiezioni con impatti devastanti per la nostra vita e in particolare per la viticoltura. Anche un aumento di temperatura di 1,5 °C avrebbe delle conseguenze gravi sulla coltivazione della vite e sulla qualità del vino. Secondo il professore, la società deve cambiare immediatamente le abitudini, altrimenti sarà il clima a cambiare la società in modo drastico.
Ne sa qualcosa Napa Valley con i suoi famosi vigneti devastati dagli incendi che stanno interessando da diversi giorni lo Stato della California.
In copertina: Immagine tratta da grist.org