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Rifiuti sulle spiagge australiane: rischio fauna marina

rifiuti sulle spiagge australiane: rischio fauna marina

I rifiuti lungo le coste dell’Australia stanno uccidendo la fauna marina: ben tre quarti sono materie plastiche provenienti dalla terraferma. A dare l’allarme è una ricerca di tre anni condotta dal gruppo ambientalista EarthWatch, in partnership con l’Ente australiano di ricerca Csiro.

In Australia ultimamente la situazione delle spiagge è drammatica. Capita sempre più spesso, infatti, mentre si passeggia lungo la riva, in un paesaggio idilliaco con il sole al tramonto e le onde dell’oceano che accarezzano la battigia, di impigliarsi in sacchetti di plastica abbandonati ovunque o calpestare lattine nascoste sotto la sabbia.

L’Australia, lungo le sue coste, vede giorno dopo giorno aumentare la quantità di rifiuti che si accumulano. Ma il problema non riguarda solo il degrado ambientale di luoghi che ogni anno attraggono milioni di turisti. La gravità della questione tocca soprattutto la fauna marina che a causa del forte inquinamento rischia di scomparire.

Scambiando gli oggetti di plastica per del cibo, infatti, gli animali marittimi li inghiottono o vi si impigliano con conseguenze mortali. L’allarme è stato lanciato da una ricerca di tre anni effettuata dal gruppo ambientalista EarthWatch, in partnership con l’Ente australiano di ricerca Csiro.

Dopo aver esaminato oltre 170 località, i ricercatori hanno rilevato che i rifiuti sono tutti concentrati vicino alle maggiori città e per la maggior parte sono oggetti di plastica che provengono dalla terraferma e non da navi o barche nell’oceano. Altri rifiuti in mare includono lattine, bottiglie, sacchetti, palloncini, gomma, metallo, fibra di vetro, sigarette che possono soffocare i banchi corallini, uccidere la fauna marina e anche mettere a rischio la salute umana.

Sempre secondo la ricerca australiana, la densità della plastica va da poche migliaia a oltre 40 mila pezzi per kmq. Denise Hardesty, scienziata del Csiro, ha dichiarato alla radio nazionale Abc “Vi è stata una moltiplicazione della plastica in rapporto diretto con l’aumento della popolazione. Circa un terzo delle tartarughe di mare attorno al mondo ha probabilmente ingerito plastica, in misura crescente da quando è cominciata la produzione negli anni ‘50. Nel Golfo di Carpentaria, al largo della costa nord dell’Australia, sono rimaste uccise fino a 15 mila tartarughe marine, dopo essere rimaste impigliate in reti da pesca abbandonate”.

Accanto alle tartarughe, l’altra specie animale che ne sta facendo maggiormente le spese è quella degli uccelli marini: globalmente quasi metà della specie ha ingerito molta plastica o è particolarmente a rischio.

Una situazione drammatica insomma a cui, giorno dopo giorno, l’uomo contribuisce senza nemmeno rendersene conto gettando un chewingum a terra o un mozzicone di sigaretta a bordo strada. Ma qualcosa si può e si deve fare. “Ricostruendo le fonti dei maggiori accumuli di immondizia in mare – ha concluso Hardesty – si potranno identificare soluzioni, come una migliore gestione dei rifiuti, rimborsi su bottiglie e contenitori vuoti, programmi mirati di educazione e progressi della tecnologia”.

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