Il Report sugli indici demografici dell’Istat del 2020 segnala, oltre al calo dei residenti, che la speranza di vita scende in tutte le Regioni, si è raggiunto il minimo delle nascite e il picco dei decessi, si sono dimezzati i flussi migratori con l’estero, e la speranza di alla nascita, senza distinzione di genere, scende a 82 anni, 1,2 anni sotto il livello del 2019.
L’Istat ha diffuso il 3 maggio 2021 gli “Indicatori demografici 2020” da cui emerge che nel 2020 gli effetti della pandemia di Covid-19 ha prodotto effetti su tutte le componenti del ricambio demografico:
– al 1° gennaio 2021 i residenti ammontano a 59 milioni 259mila, 384mila in meno su base annua;
– per ogni mille abitanti 7 neonati (il livello più basso mai registrato) e 13 morti (il picco);
– flussi migratori con l’estero in forte frenata (saldo è di +79 mila, pari a 1,3 per mille abitanti la metà del 2019);
– età media in ulteriore rialzo: 46 anni al 1° gennaio 2021.
“Per effetto del forte aumento del rischio di mortalità, specie in alcune aree e per alcune fasce d’età – vi si legge – la sopravvivenza media nel corso del 2020 appare in decisa contrazione”.
Gli uomini sono più penalizzati: la loro speranza di vita alla nascita scende a 79,7 anni, ossia 1,4 anni in meno dell’anno precedente, mentre per le donne si attesta a 84,4 anni, un anno di sopravvivenza in meno. A 65 anni la speranza di vita scende a 19,9 anni (18,2 per gli uomini, 21,6 per le donne).
Tutte le regioni hanno un abbassamento dei livelli di sopravvivenza. Tra gli uomini la riduzione della speranza di vita alla nascita varia da un minimo di 0,5 anni (vale a dire 6 mesi di vita media in meno) riscontrato in Calabria, a un massimo di ben 2,6 anni in Lombardia.
“Con l’eccezione del Trentino-Alto Adige, dove si registra una variazione annuale della popolazione pari a +0,4 per mille, tutte le regioni sono interessate da un decremento demografico – segnala l’Istat – Il fenomeno colpisce maggiormente il Mezzogiorno (-7 per mille) rispetto al Centro (-6,4) e al Nord (-6,1). Molise (-13,2) e Basilicata (-10,3) sono le regioni più colpite; tra quelle del Nord spiccano Piemonte (-8,8), Valle d’Aosta (-9,1) e soprattutto Liguria (-9,9)”.
Le regioni del Centro-sud registrano perdite inferiori, poiché meno colpite dagli effetti della pandemia ma comunque importanti. In Abruzzo, Puglia e Campania, la riduzione di sopravvivenza per gli uomini è di oltre un anno rispetto al 2019. Ma è soprattutto il Nord a pagare il prezzo più alto: oltre che nella già citata Lombardia, gli uomini registrano riduzioni rilevanti anche in Piemonte (-1,7 anni), Valle d’Aosta (-1,7), Liguria (-1,6), Trentino-Alto Adige (-1,6) ed Emilia-Romagna (-1,5).
Lo schema si ripete tra le donne, anche se a un livello differente. Nelle regioni del Centro-sud si riscontrano variazioni più contenute, minime in Calabria e Basilicata (-0,3 anni) così come nel Lazio e in Campania (-0,4). Si tratta comunque di perdite importanti, dell’ordine dei 3-5 mesi di speranza di vita in meno, ma di certo non paragonabili ai 2 anni pieni persi dalle donne in Lombardia o ai 2,3 anni persi in Valle d’Aosta, dove si riscontra la condizione più critica.

Oltre all’aumento dei decessi, calano anche le nascite. Negli ultimi 12 anni si è passati da un picco di 577 mila nati agli attuali 404 mila, il 30% in meno. Il tasso di fecondità è sceso a 1,24 figlio per donna, da 1,27 del 2019 (era 1,40 nel 2008).
“Su queste dinamiche, che da anni vanno ripetendosi costituendo la questione di punta della demografia nazionale, gli effetti della pandemia hanno potuto manifestarsi, nel caso, soltanto con riferimento al mese di dicembre 2020 – osserva l’istat – Infatti, occorre considerare che l’impatto psicologico di Covid-19, così come le restrizioni adottate, hanno avuto un impatto sulle scelte riproduttive soltanto a partire da marzo. Ciò è quanto lascia supporre anche l’andamento delle nascite per singolo mese del 2020, messo a confronto con il 2019. In particolare, a eccezione di febbraio, i nati mensili nel 2020 sono sempre sotto quelli del 2019, a conferma del prosieguo della tendenziale riduzione avviata negli ultimi anni”.
La riduzione della natalità interessa tutte le aree del Paese, da Nord a Sud, salvo rare e non significative eccezioni. Sul piano regionale le nascite, che su scala nazionale risultano inferiori del 3,8% sul 2019, si riducono dell’11,2% in Molise, del 7,8% in Valle d’Aosta, del 6,9% in Sardegna.
E la spinta negativa sulle nascite indotta dalla pandemia verrà esercitata anche nel 2021 “e forse anche in seguito”.

Nel 2020, le migrazioni, la componente demografica più dinamica negli ultimi venti anni, sono state limitate. Quasi in ogni Paese, a causa della pandemia, sono state imposte barriere all’ingresso dei confini nazionali e limitazioni al movimento interno. Per milioni di persone è stato sostanzialmente impraticabile spostarsi, indipendentemente dal fatto che si possedessero o meno validi motivi di lavoro, studio o familiari. In Italia le iscrizioni in anagrafe dall’estero per trasferimento di residenza si sono pertanto ridotte del 34% rispetto al 2019 (da 333mila a 221mila), le cancellazioni del 21% (da 180mila a 142mila). Anche per quanto riguarda la mobilità interna la riduzione è significativa, avendo avuto luogo il 12% in meno di trasferimenti di residenza tra Comuni.
In base alle stime, al 1° gennaio 2021 gli stranieri residenti nel Paese ammontano a 5 milioni 36mila, in calo di 4mila unità (-0,8 per mille) rispetto a un anno prima. L’Istat sottolinea che, al di là della pandemia, e, “l’elemento di novità degli ultimi anni è la tendenza alla stabilizzazione della popolazione straniera residente”.
La maggiore riduzione della popolazione straniera si riscontra nel Centro (-8,6 per mille) soprattutto nel Lazio (-11,3 per mille), mentre nel Nord la popolazione straniera cresce del 2,4 per mille e nel Mezzogiorno si registra una modesta flessione pari allo 0,3 per mille.
Un ricambio demografico che resta negli anni debole determina effetti soprattutto sulla popolazione di cittadinanza italiana, il cui ammontare continua a decrescere di anno in anno. Dal massimo storico di circa 55,9 milioni di residenti raggiunto nel 2009, ha successivamente avuto luogo un progressivo declino che ha portato alla perdita di 1,6 milioni di individui. Al 1° gennaio 2021 gli italiani residenti sono 54 milioni 222mila, con una riduzione di circa 380mila unità (-7,0 per mille) sull’anno precedente.
Infine, l’Istat rassicura sugli effetti che la pandemia potrebbe causare sull’invecchiamento della popolazione.
“L’eccesso di mortalità rispetto al livello atteso non è di per sé in grado di rallentare la crescita dell’invecchiamento, che infatti prosegue portando l’età media della popolazione da 45,7 anni a 46 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2021”.