Dal nuovo Accordo limiti più ambiziosi per gli inquinanti atmosferici
Con una Dichiarazione congiunta della Presidenza danese della UE e del Commissario UE all’Ambiente del 4 maggio 2012, è stato annunciato che nel corso della 30a sessione (Ginevra, 30 aprile – 4 maggio 2012) le Parti dell’UNECE (United Nations Economic Commission for Europe) hanno raggiunto un Accordo internazionale per definire obiettivi più ambiziosi della Convenzione sul Long-range Transboundary Air Pollution (LRTAP).
Si tratta del cosiddetto Protocollo di Göteborg, adottato per la prima volta nel 1999, per ridurre l’acidificazione, l’eutrofizzazione e l’ozono troposferico, fissando limiti massimali di emissione in atmosfera di 4 inquinanti: zolfo, ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili (COV) e ammoniaca.
Dopo anni di intensi negoziati iniziati nel 2007, oltre a fissare più ambiziosi impegni nazionali di riduzione delle emissioni, il nuovo testo del Protocollo comprende per la prima volta le polveri sottili (PM2,5), l’inquinante che provoca patologie cardio-respiratorie e per il quale in tutta Europa si superano gli standard di qualità dell’aria, e il black carbon, la fuliggine che sovrasta molte regioni del Pianeta provocata dalla combustione incompleta di carbone e prodotti petroliferi e che, seppur costituita da inquinanti di breve durata, ha un potente effetto sui cambiamenti climatici.
“Questo è un significativo passo in avanti nella tutela della salute dei cittadini e dell’ambiente – ha dichiarato il Commissario UE per l’Ambiente, Janez Potočnik – Per la prima volta, abbiamo un Accordo internazionale che riconosce il nesso tra inquinamento atmosferico e cambiamenti climatici. Accettando di regolare uno degli inquinanti che contribuiscono maggiormente ai cambiamenti climatici, il Black Carbon, vedremo effetti positivi sia a livello locale che internazionale”.
Soddisfazione per l’Accordo è stata espressa anche dal Ministro danese per l’Ambiente e rappresentante della Presidenza di turno dell’UE: “Questo è davvero un passo importante per ridurre l’inquinamento atmosferico in Europa – ha affermato Auken Ida – Siamo riusciti a far accettare di ridurre ulteriormente le emissioni nell’UE e in Nord America e abbiamo aperto la strada per la riduzione delle emissioni da parte dei nostri Paesi vicini dell’Est. Nuovi accordi multilaterali ambientali sono ormai abbastanza rari, quindi abbiamo buone ragioni per essere soddisfatti del risultato dei negoziati”.
L’Accordo, infatti, ha coinvolto oltre all’UE e ai i suoi Paesi membri, anche Norvegia, Svizzera, Bielorussia, Croazia, Stati Uniti, e altri Paesi dell’UNECE, in particolare Russia, Canada, Ucraina, Georgia, in vista del loro potenziale ingresso nei prossimi anni tra i Paesi firmatari del Protocollo.
Le limitazioni sono state negoziate sulla base di valutazioni scientifiche degli effetti dell’inquinamento, quali gli Studi e i Rapporti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e sulle opzioni di abbattimento, senza trascurare l’impatto economico delle nuove restrizioni.
Così, il Protocollo stabilisce anche i valori-limite per specifiche fonti di emissione, come gli impianti di combustione, la produzione di elettricità, le lavanderie a secco, le auto e i camion, richiedendo altresì che per limitare le emissioni siano attuate le migliori pratiche disponibili.
Le Parti, le cui emissioni abbiano un impatto più grave sull’ambiente o sulla salute e i costi per la loro riduzione siano poco costosi, dovranno fare i tagli maggiori. Pertanto, una volta che il Protocollo sia pienamente attuato, nell’UE a partire dal 2020 vi sarà una riduzione rispetto ai livelli del 1990 del:
– 59% per lo zolfo;
– 42% per i biossidi di azoto (NOx);
– 28% per i composti organici volatili (COV);
– 6% per l’ammoniaca;
– il 22% per il PM2,5.
Il risultato conseguito ha avuto effetti e ripercussioni anche al G8 di Camp David, nel corso del quale si è deciso che i Paesi che ne fanno parte aderiranno alla Climate and Clean Air Coalition to Reduce Short-Lived Climate Pollutants.
“Noi, leader del G8 che ci siamo riuniti a Camp David il 18 e 19 maggio 2012 per affrontare le grandi sfide globali, economiche e politiche, riconoscendo l’impatto a breve termine degli short-lived climate pollutants sul cambiamento climatico, la produttività agricola e la salute umana, sosteniamo, come strumento per promuovere una maggiore ambizione e complementarietà agli altri sforzi per ridurre le emissioni di CO2 e di gas serra, le azioni globali per ridurre questi inquinanti che, secondo l’UNEP ed altri, rappresentano oltre il 30% del global warming a breve termine, così come i 2 milioni di morti premature all’anno. Quindi, siamo d’accordo di aderire alla Climate and clean air coalition per ridurre gli inquinanti climatici di breve durata”.
L’iniziativa, che finora aveva l’adesione di 13 Paesi e il coordinamento dell’Environmental Program delle Nazioni Unite (UNEP), è nata con l’obiettivo di produrre vantaggi concreti per il clima, la sicurezza alimentare, la sanità e la gestione dell’energia attraverso la riduzione di inquinanti climalteranti dalla breve permanenza in atmosfera. In particolare, la coalizione si concentra sulla riduzione di metano, idrofluorocarburi e black carbon.
Pur non negando la necessità di ridurre la CO2 che, rimanendo in atmosfera per secoli, è il principale problema da risolvere per una qualsiasi strategia di lunga durata contro il riscaldamento globale, la Coalizione si concentra nel breve periodo su quelli che possono apportare benefici in tempi rapidi.
I presupposti scientifici di questa strategia, oltre ad uno studio pubblicato dall’UNEP lo scorso anno (cfr: “ Black Carbon, Ozono e Metano incidono sul Global Warming”, in Regioni&Ambiente, n. 7-8, luglio-agosto 2011, pag. 14), si basano su uno Studio condotto dal NASA Goddard Institute (Drew Shindell et al. “Simultaneously Mitigating Near-Term Climate Change and Improving Human Health and Food Security”, Science, 13 january 2012, Vol. 335, n° 6065, pp. 183-189) dove si indicano 14 azioni mirate alla riduzione dell’ozono troposferico e del black carbon, attraverso cui si può ottenere un abbassamento di 0,5 °C rispetto ai livelli di riscaldamento globale previsti dalla scienza entro il 2050. In un lasso di tempo minore rispetto alla tempistica richiesta dalla strategia di riduzione della CO2, quindi, si potrebbe evitare di superare quel limite di 2 °C che metterebbe a rischio l’umanità.
Non mancano tuttavia dubbi e perplessità su questo approccio, soprattutto se dovesse costituire un’alternativa a breve termine, destinata comunque a non evitare il riscaldamento nel lungo periodo come avverrebbe con la riduzione della CO2. Per questo, alcuni scienziati e associazioni ambientaliste chiedono che l’una strategia sia integrativa dell’altra.
Proprio di recente, il climatologo Robert Allen, professore di Scienze della Terra presso l’Università di California-Riverside, pubblicando i risultati di uno Studio, ha messo in guardia circa gli effetti perversi sul clima dell’azione associata dei gas ad effetto serra di lunga durata con quelli a breve, che potrebbe provocare incidenza nefasta sulla produzione agricola mondiale e sulla sicurezza alimentare.
Sulla base della constatazione che tra il 1979 e il 2009 la fascia climatica tropicale si è estesa di 0,7° di Lat. N e S, i ricercatori dello studio progettato da Allen hanno verificato che questo fenomeno è dovuto inevitabilmente al ruolo dei gas serra. Quando hanno incluso nei modelli di simulazione ozono e black carbon, però, hanno constatato che il fenomeno si accentua di un terzo nell’emisfero boreale, con i due inquinanti di breve durata responsabili per il 70%. (Robert J. Allen, Steven C. Sherwood, Joel R. Norris & Charles S. Zender: “Recent Northern Hemisphere tropical expansion primarily driven by black carbon and tropospheric ozone” – Nature 485, 350-354, 16 may 2012).
“I gas serra contribuiscono al crescita della fascia climatica tropicale nell’emisfero settentrionale – ha dichiarato Allen, preannunciando che successivamente il team di ricercatori studierà gli effetti dell’espansione tropicale sulla disponibilità idrica – Ma questo lavoro dimostra in modo convincente che la quantità delle minuscole particelle di black carbon ed ozono troposferico ne sono i principali driver. Abbiamo necessità di attuare misure più severe per ridurre le loro emissioni, aiutando non solo a mitigare il riscaldamento globale e migliorare la salute umana, ma incidere sugli impatti regionali degli effetti della circolazione atmosferica”.