Mentre le trasformazioni sulla superficie terrestre subiranno l’azione dei fattori esogeni, le modificazioni indotte dalle attività umane nella litosfera dureranno per miliardi di anni. Il nuovo Studio del Dipartimento di Geologia dell’Università di Leicester e British Geological Survey è destinato ad apportare nuovi contributi al concetto di Antropocene, utilizzato per definire l’attuale era geologica caratterizzata dal massiccio impatto dell’uomo sul Pianeta.
Che le attività umane siano diventate i fattori più incisivi della dinamica esogena del Pianeta, è considerazione che si trova in qualsivoglia manuale di Geografia ad uso di studenti secondari.
Che tali forze, oltre ad aver mutato la superficie della Terra, abbiano assunto un rilievo anche nel modificare l’aspetto della litosfera non aveva avuto finora adeguato rilievo.
Ora uno Studio, condotto da ricercatori del Dipartimento di Geologia dell’Università di Leicester e del British Geological Survey e pubblicato sulla Rivista “Anthropocene”, ha messo in evidenza che l’impatto umano sulla geologia del Pianeta è tale da non aver eguali nella storia di 4,6 miliardi di anni della Terra.
“Il mondo sotterraneo non è un ambiente del quale la maggior parte di noi abbia un’esperienza diretta. In effetti, lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Ma stiamo lasciando un segno sulla geologia che durerà per milioni di anni, probabilmente ancora di più – ha dichiarato Jan Zalasiewicz, principale autore dello Studio – Qualunque cosa facciamo, in futuro, il nostro impatto non potrà che crescere: abbiamo messo in moto una nuova fase nella storia del pianeta”.
Lo Studio “Human bioturbation, and the subterranean landscape of the Anthropocene” è destinato ad accentuare il dibattito in corso sul concetto di “Antropocène” utilizzato dagli studiosi, anche se non tutti sono d’accordo, per definire l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita, è fortemente condizionato a scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana.
Il termine fu adottato più di dieci anni fa dal premio Nobel per la chimica dell’atmosfera Paul Crutzen nel titolo del suo libro più famoso “Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era”, per indicare il periodo dell’attuale era geologica (Olocene) che coincide con l’intervallo di tempo che arriva al presente a partire dalla rivoluzione industriale del 18° secolo, ossia da quando è iniziato l’ultimo consistente aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 in atmosfera ed è cresciuta rapidamente la fame di minerali e di fonti energetiche fossili. Le miniere sono diventate sempre più profonde, diffuse ed estese. Poi a Londra, nel 1863, è stata costruita la prima rete di trasporto della metropolitana.
“Queste attività hanno alterato lo strato delle rocce e, in alcuni casi, hanno introdotto materiali artificiali mai visti prima nei registri geologici della Terra – ha proseguito Zalasiewicz – Le perforazioni umane nella crosta terrestre per estrarre minerali o conservare i rifiuti possono essere considerate come ‘antroturbation’, paragonabili alle tane scavate da vermi e altri animali, ma su una scala enormemente maggiore, creando strutture sotterranee che sono uniche nel mondo animale. Nessun altro organismo ha creato rocce ignee e metamorfiche. Mentre gli uomini con i test nucleari sotterranei hanno fratturato e fuso le rocce attorno alle esplosioni”.
I ricercatori rammentano che la lunghezza totale dei pozzi che sfruttano i giacimenti di petrolio è stimata in 50 milioni di chilometri, pari alla distanza tra la Terra e Marte, oppure alla lunghezza totale della rete stradale mondiale. Il pozzo più profondo del mondo, il Kola Superdeep in Russia, penetra per 12 km nella crosta terrestre.
“Molte di queste trasformazioni sotterranee, non essendo sottoposte all’attività di erosione superficiale, si conserveranno per milioni e persino miliardi di anni nel futuro, costituendo la nostra più duratura, e più sconcertante eredità che lasceremo alle future generazioni – ha osservato infine Zalasiewicz – Se i geologi di civiltà future saranno molto fortunati, troveranno un determinato strato superficiale con numerose funzioni trasversali che si estendono in profondità per un certo numero di chilometri. Non sarà facile ricomporre i pezzi del puzzle”.