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Studio del CNR: Mediterraneo, una storia di tsunami

Studio del CNR Mediterraneo una storia di tsunami

Studio di ricercatori italiani del CNR  sui fondali del Mar Jonio dimostra su basi scientifiche le antiche testimonianze storiche di catastrofici maremoti.

“Poco dopo l’alba, un terremoto scosse la stabilità della terra, preceduto da incessanti e violenti fulmini. Il mare se ne andò lontano e si ritirò volgendo indietro le onde […] molta gente si aggirava tra quel che rimaneva d’acqua per prendere pesci e specie simili, allorché i flutti tumultuosi come se fossero sdegnati per essere stati rimandati indietro, si sollevarono e si abbatterono violentemente su isole e coste della terraferma, spianando numerose città e case ovunque le rinvenissero […] Infatti, rifluita la massa d’acqua quando meno te lo saresti aspettato, vi furono migliaia di morti annegati ed alcune navi, in seguito ai vortici delle acque che tornavano indietro, quando la loro collera si esaurì, risultarono affondate e i corpi dei naufraghi giacevano sulla schiena o proni. Altre grandi navi, allontanate in mare aperto dalla violenza dei venti, finirono in cima ai tetti (come avvenne ad Alessandria) ed altre furono portate all’interno fino a due miglia […]”. (Ammianus Marcellinus, Res Gestae, Liber XXVI, 10, 16-17-18-19).

Nel riportare il comunicato stampa con cui il CNR dà notizia della pubblicazione su un’autorevole rivista di uno studio condotto da scienziati italiani sulla geologia dei fondali marini, che dimostra la relativa frequenza di eventi catastrofici nel Mar Mediterraneo, abbiamo premesso la nostra traduzione della testimonianza dello storico romano citata.

I passi del testo in latino era stato inserito in un articolo che abbiamo dedicato ai rischi di catastrofi naturali, tra cui la possibilità che un evento simile a quello verificatosi il 21 luglio del 365 d. C. non sia da escludere, seppure i tempi di ricorrenza sono assai lunghi (cfr: “Evento di Tunguska: ‘Cigno nero’ del XX secolo”, in Regioni&Ambiente, n. 9, settembre 2008, pag. 35).

C’è da tener conto, però, che nel corso degli ultimi due secoli la pressione antropica sulle coste del Mediterraneo si è notevolmente accentuata, con insediamenti ininterrotti lungo la fascia costiera della nostra penisola, che, se non messi a rischio da remoti tsunami, potrebbero rivelarsi precari già alla fine del secolo, allorché il global warming, se non tenuto a bada entro i + 2 °C, potrebbe far innalzare il livello dei mari fino a 80 cm., come ammoniscono gli scienziati e come attestano gli effetti disastrosi dell’uragano Sandy sulle coste statunitensi del nord-Atlantico.

(CNR, Ufficio stampa, venerdì 15 marzo 2013). Un gruppo di scienziati italiani, coordinato da Alina Polonia dell’Istituto di scienze marine del  Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr), ha identificato, al largo delle coste siciliane, le tracce di un terribile tsunami, che circa 1600 anni fa colpì il Mediterraneo. La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports del gruppo Nature, riguarda un’area abissale di sedimenti marini che raggiunge i 25 metri di spessore, alla cui base si trovano depositi grossolani, trascinati a quelle profondità dalla forza catastrofica delle correnti di densità.

Il deposito è noto con il nome di ‘Omogenite o megatorbidite Augias’ e occupa larga parte del Mediterraneo orientale – spiega Alina Polonia – Per comprendere la sua origine erano state fatte varie ipotesi; tra queste, la più accreditata era l’esplosione del vulcano Thera (Santorini), avvenuta nel 1627-1600 a.C., che distrusse la civiltà minoica. Secondo gli studi del nostro team la causa di quest’enorme deposito sedimentario fu invece uno tsunami generato dal terribile terremoto che colpì Creta nel 365 d.C., con una magnitudo valutata tra 8 e 8.5 gradi della scala Richter”.

I ricercatori sono giunti alle loro conclusioni analizzando una grande mole di dati geofisici e geologici, “che includono immagini acustiche ad altissima risoluzione del deposito sedimentario e carote di sedimento estratte dal fondale marino a quasi 4.000 m di profondità”, spiega la ricercatrice. A consentire questa scoperta è stata proprio la grande accuratezza con cui si è determinata l’età dei depositi e la loro provenienza da diverse zone del Mediterraneo. “L’effetto di un terremoto e dell’onda di tsunami può essere infatti la mobilizzazione di una quantità enorme di sedimenti, che da tutte le zone costiere vanno a depositarsi nella parte più profonda del bacino”.

A confortare le conclusioni scientifiche anche la testimonianza dello storico latino Ammiano Marcellino (330-397 d.C.) secondo cui ad Alessandria d’Egitto, a oltre 700 km di distanza dall’epicentro, in occasione del terremoto onde altissime penetrano nell’entroterra, provocando una grande devastazione e migliaia di vittime. Un aspetto interessante è la scoperta da parte dei ricercatori di altri eventi di proporzioni simili, a profondità ed età maggiori. Questo suggerisce che l’evento del 365 d.C. non sia stato unico nella storia del nostro mare.

“Il tempo di ricorrenza dedotto dalle analisi radiometriche è comunque molto alto, dell’ordine di 15.000 anni”, rassicura Alina Polonia.

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