Secondo l’analisi condotta dal think tank InfluenceMap, la stragrande maggioranza dei maggiori gruppi finanziari cercherebbe di annacquare o di opporsi a misure più rigorose sulla finanza sostenibile che la Commissione UE si appresta ad adottare entro la fine dell’anno con il nuovo Piano d’azione per incoraggiare gli investimenti privati in progetti sostenibili dal punto di vista ambientale.
Secondo il report “An Analysis of Lobbying on EU Sustainable Finance Policy” di InfluenceMap, think tank indipendente britannico che fornisce dati e analisi su come le imprese e la finanza influenzano la crisi climatica, gli sforzi dell’UE per definire un’ambiziosa politica di finanza sostenibile sono minacciati dalle attività di lobbying delle organizzazioni industriali e finanziarie che si sarebbero sottoposte alle nuove normative.
La Commissione UE, secondo quanto previsto dalla roadmap del Green Deal europeo, dovrà adottare nei prossimi mesi un rinnovato Piano d’azione per una finanza sostenibile, con l’obiettivo di incrementare gli investimenti in progetti sostenibili e di promuovere l’integrazione dei criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) nella gestione dei rischi e nell’orizzonte temporale degli operatori finanziari, per il quale aveva avviato una Consultazione che si è conclusa il 15 luglio 2020.
Il nuovo Piano si baserà, oltre che sulla Strategia per la Finanza sostenibile (2018), sulla tassonomia, raccomandata nel Rapporto del gruppo di 35 esperti tecnici (TEG), ovvero su un sistema unificato di classificazione delle attività economiche e dei criteri di rendimento coerenti con l’impegno dell’Europa di ridurre le emissioni nette di carbonio entro il 2050 e di costruire la resilienza ai cambiamenti climatici.
La ricerca condotta dagli analisti finanziari di InfluenceMap copre 75 società finanziarie appartenenti a 63 delle più grandi istituzioni finanziarie in Europa, 12 associazioni del settore finanziario e 8 associazioni del settore aziendale e utilizza la metodologia consolidata della Ong per valutare l’influenza delle aziende sulle politiche chiave, con un punteggio da A a F basato su 2.000 elementi di prova, comprese le richieste dettagliate di consultazione normativa, per ricavare indicazioni sul loro impegno politico verso la l finanza sostenibile. InfluenceMap, sottolinea di essersi “consultata ampiamente” con questi gruppi industriali e singoli istituti finanziari sulla metodologia e sui punteggi assegnati prima del rilascio del report.
Dallo studio emerge che dei grandi gruppi finanziari internazionali presi in esame solo il 5% (BNP Paribas, BPCE Group e Assicurazioni Aviva) aderisce realmente alle misure che mirano ad allineare il settore finanziario all’Accordo di Parigi per limitare il riscaldamento globale. La maggior parte delle altre istituzioni fa promesse, ma è lenta a tradurle in azioni quando si tratta di influenzare la regolamentazione.
“La stragrande maggioranza del settore finanziario sta consentendo che le politiche di finanza sostenibile siano annacquate dagli interessi in capo alla catena del valore dei combustibili fossili, essendo scettica nei confronti di una solida regolamentazione – ha affermato Rebecca Vaughan, analista di InfluenceMap – Queste politiche sono fondamentali per allineare il settore finanziario agli obiettivi dell’Accordo di Parigi, che tutti a parole supportano. Affinché l’ambizione del Piano d’azione si concretizzi, il settore finanziario deve schierare i suoi lobbisti sulle posizioni del vertice“.
Oltre ai tre apripista, InfluenceMap ha sottolineato che Legal & General, Nordea, Rabobank, Unipol e Aegon hanno assunto una posizione di
supporto, ma non sembrano essere strategicamente impegnati. Esiste
anche un piccolo gruppo di singole istituzioni finanziarie, tra cui BlackRock, BNY Mellon, Invesco e UBS, che sembrano resistere a una
regolamentazione rigorosa.
“Questi gruppi hanno avuto la
tendenza a sostenere una politica incentrata sulla trasparenza piuttosto che
sui mandati regolamentari per il settore finanziario – si legge – All’interno di questo gruppo, BlackRock
sembra essere il più strategicamente coinvolto”.
European Fund and Asset Management Association (Efama), Association for Financial Markets in Europe (AFME), European Banking Federation (EBF) e PensionsEurope sarebbero intervenuti per indebolire e ritardare la legislazione proposta dall’UE.
Inoltre, lo studio sostiene che 19 gruppi di lobby industriali su 20 si oppongono attivamente a un risultato ambizioso, con tutti gli intervistati tranne uno a fare pressioni sulla Commissione UE per diluire e ritardare i regolamenti chiave progettati per allineare il sistema finanziario europeo all’Accordo di Parigi.
Gruppi come BusinessEurope ed EuropeanIssuers si sarebbero fortemente impegnati sulla tassonomia e sulla nuova Direttiva sulla Rendicontazione Non Finanziaria (NFRD), prevista anche questa entro la fine dell’anno, per resistere ai requisiti sulle società partecipate.
Gruppi settoriali, tra cui l’International Association of Oil and Gas Producers (IOGP) e FuelsEurope, avrebbero fatto pressioni per indebolire specifiche soglie “verdi” in modo da far rientrare alcune attività del settore.