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Le ricadute economiche delle energie rinnovabili in Italia

“Le ricadute economiche delle energie rinnovabili in Italia

Nello Studio realizzato da Althesys su commissione di Greenpeace si evidenzia che le fonti pulite di energia danno un gran contributo all’economia del nostro Paese, pari nel 2013 a 6 miliardi di euro e 1,2 miliardi di introiti fiscali, senza conteggiare il valore dei benefici ambientali, i danni evitati, il sollievo prodotto sulla bilancia dei pagamenti dalla riduzione dell’acquisto di combustibili fossili.
Ma il Governo insegue l’Eldorado petrolifero e gasiero dei nostri mari.

I giorni scorsi sono stati presentati i risultati dello Studio “Le ricadute economiche delle energie rinnovabili in Italia” realizzato dall’Istituto indipendente Althesys che stima le ricadute economiche e occupazionali per l’Italia dello sviluppo delle fonti rinnovabili.
In particolare, si è analizzato il valore aggiunto, diretto ed indiretto, generato lungo la filiera dagli investimenti in energie rinnovabili in Italia nell’anno 2013 e al 2030, secondo i due scenari di crescita, denominati “reference” e “[r]evolution”, contenuti nel Rapporto 2013 “Energy [R]evolution Italia” di Greenpeace, che sono rispettivamente quello previsto dalla Strategia Energetica Nazionale e quello di Greenpeace che indica al 2030 la capacità delle rinnovabili di soddisfare il 43% del fabbisogno energetico primario dell’Italia.

Questo studio ha preso in considerazione solo la ricchezza mossa dalle rinnovabili e rimasta in Italia – ha spiegato Alessandro Marangoni, Amministratore delegato di Althesys – Per il 2013 parliamo di 6 miliardi di euro e 1,2 miliardi di introiti fiscali. La proiezione al 2030 vede la cifra del valore aggiunto salire a 135 miliardi nell’ipotesi più conservativa e 174 miliardi nell’ipotesi più spinta, con un gettito erariale rispettivamente di 28 e 36 miliardi“.

Sempre nel 2013 gli occupati totali nel settore per l’anno 2013 ammontavano a oltre 63.000 (di cui circa 50.000 legati all’occupazione diretta), ma da qui al 2030, con una transizione energetica più spinta, si arriverebbe a 102.000 occupati.
In questa analisi – ha aggiunto Marangoni – non abbiamo valutato il valore dei benefici ambientali, i danni evitati, il sollievo prodotto sulla bilancia dei pagamenti dalla riduzione dell’acquisto di combustibili fossili: ci siamo limitati a un puro conteggio del fatturato e dell’occupazione escludendo dal calcolo i proventi finiti fuori dal perimetro dell’Italia“.

Analizzando le varie tecnologie si nota che quelle che creano maggior valore aggiunto sono: fotovoltaico, eolico on-shore e biomasse (che registrano rispettivamente 39, 34 e 28 miliardi di euro di valore aggiunto nello scenario spinto).

Tali settori sono anche quelli che mostrano una differenza maggiore tra i due scenari, nella fattispecie, l’eolico on shore aumenta il proprio valore aggiunto di oltre 10 miliardi di euro rispetto allo scenario di riferimento, mentre le biomasse e fotovoltaico registrano entrambi un incremento di oltre 5,5 miliardi. Nello scenario “[r]evolution” hanno grande sviluppo anche l’eolico off-shore e il teleriscaldamento, con una differenza di quasi 5 miliardi per entrambe le tecnologie comparando i due differenti scenari.

Le biomasse sono la tecnologia a più alta intensità di lavoro, con oltre 37.000 occupati totali al 2030, quasi 13.000 i posti di lavoro nel comparto del teleriscaldamento e circa 10.000 quelli sia nel settore del fotovoltaico che in quello dell’eolico on-shore.
Proprio l’eolico on-shore è la tecnologia che presenta la maggior discrepanza tra i due scenari in termini occupazionali: con lo scenario “[r]evolution” si ottengono, infatti, quasi 7.000 posti di lavoro in più rispetto allo scenario di riferimento. Circa 5.000 sono invece i posti di lavoro in più, sempre al 2030, legati alle tecnologie del solare termico e delle pompe di calore nello scenario più spinto. Seguono le biomasse con una differenza tra i due scenari pari a 4.057 posti di lavoro al 2030.
Una lieve diminuzione si registra per le caldaie a pellet nello scenario più spinto, mentre sostanzialmente invariata è la situazione per l’idroelettrico che non cambia tra i due scenari, precisando che l’analisi considera solo gli impianti di piccola taglia (non il grande idroelettrico), a partire da una potenza installata al 2013 di 3.121 MW.

Nonostante le potenzialità del settore, uno dei pochi che abbia registrato saldi positivi e creato occupazione in un periodo di crisi – ha commentato Giuseppe Onufrio, Direttore esecutivo di Greenpeace – da Monti a Renzi, le energie rinnovabili vengono costantemente attaccate, ora anche retroattivamente con il decreto spalma-incentivi”.

Che il Governo Renzi abbia un debole per le lobby delle fonti fossili, non è un mistero e lo denuncia il Decreto “Sblocca Italia” che apre alle trivellazioni dei “giacimenti”, assai enfatizzati, dei nostri mari, che non sono di per sé ad alta intensità di lavoro e ancora meno ne creeranno, visto che si dovrà limitare i costi, essendo il prezzo del petrolio sul mercato in caduta libera.
Nonostante avesse affermato “Sosteniamo ambizioni massime sul tema energetico e delle rinnovabili, bisogna affermare la scelta delle energie alternative come investimento, chiediamo perciò al Parlamento di avere la massima ambizione sul pacchetto clima-energia”, il Premier ha tenuto un atteggiamento defilato sul Pacchetto Clima ed Energia al 2030, in occasione del Consiglio UE del 23-24 ottobre 2014, tanto che l’ANEV ha osservato che “La presidenza italiana al semestre europeo non è stata in grado di determinare un cambio di passo rispetto alla proposta di sostegno alle rinnovabili, poco incisiva, delle istituzioni europee, nonostante i benefici economici, occupazionali e ambientali che le rinnovabili e l’eolico in particolare hanno portato al Paese”.

Ora, “porto il mantello a ruota e fo’ il notaio” recitavano le parole del poeta Libero Bovio nella canzone “Signorinella” (1928).

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