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Emissioni CO2: lo 0,5% intrappolato nella produzione di aggregati

Uno studio di ricercatori dell’Università di Stratchclyde (Glasgow)suggerisce che un processo di frantumazione delle rocce comunemente utilizzate nelle costruzioni avrebbe le potenzialità di catturare e stoccare le emissioni di CO2 quanto una foresta di alberi vetusti delle dimensioni della Germania.

Circa lo 0,5% delle emissioni globali di carbonio, l’equivalente di una foresta di alberi vetusti pari alla superfice della Germania, potrebbe essere catturato durante il normale processo di frantumazione delle rocce, in particolare quelle poliminerali, comunemente utilizzate come aggregati nelle costruzioni, sgretolandole all’interno di gas CO2 che rimane intrappolata in una forma stabile e insolubile, quasi senza consumare energia aggiuntiva.

Lo affermano ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale dell’Università di Stratchclyde (Glasgow), che hanno pubblicato il 13 marzo 2023 su Nature Sustainability lo Studio Mechanochemical processing of silicate rocks to trap CO2“.

L’industria dei materiali e delle costruzioni rappresenta l’11% delle emissioni globali di carbonio. Più di 50 miliardi di tonnellate di roccia vengono frantumate in tutto il mondo ogni anno e gli attuali processi standard nelle costruzioni e nell’estrazione mineraria non catturano la CO2.

L’obiettivo dello studio, come si legge dall’abstract, è di macinare minerali ricchi di magnesio e ferro all’interno di gas CO2 per catturare il carbonio come carbonati metallici. In precedenza i ricercatori avevano tentato di intrappolare la CO2 all’interno di singole rocce, ma hanno scoperto che questo metodo era instabile, poiché la CO2 tendeva a dissolversi dal minerale quando veniva esposto all’acqua. La macinazione in presenza di CO2 su rocce poliminerali come il granito e il basalto, ad alto o basso contenuto di metalli che formano carbonati, sono più efficienti nell’intrappolare la CO2 rispetto ai singoli minerali. Questo perché il processo di intrappolamento non è, come si pensava, basato sulla carbonatazione di metalli che formano carbonati, bensì la CO2 viene assorbita chimicamente nella struttura cristallina, prevalentemente ai confini tra diversi minerali. 

Carbonio catturato dalla composizione minerale a, b, XRD composizione minerale di basalto (a) e granito (b). 
c: la concentrazione media di carbonio (le croci sono le due repliche sperimentali) in basalto (verde) e granito (viola) frantumato in CO2 al 99,9995% prima della lisciviazione (colori solidi) e dopo la lisciviazione per 24 ore (linee orizzontali) e frantumato i ( ~400 ppmV CO2) in aria prima della lisciviazione (controllo, colori tenui) e dopo la lisciviazione (linee verticali). 
d: la concentrazione di carbonio dei minerali sottoposti a reazione meccanochimica nella CO2 prima e dopo la lisciviazione e nell’aria.  e, f: la concentrazione di carbonio intrappolata meccanochimicamente misurata rispetto a quella prevista nella roccia, in base al volume ponderato di minerali prima (e) e dopo (f) la lisciviazione. (Fonte: Nature Sustainability)

La speranza è che il settore possa ridurre le emissioni adattando le attuali configurazioni per intrappolare il carbonio dai flussi di gas inquinanti come quelli della produzione di cemento o delle centrali elettriche a gas – ha dichiarato la Professoressa Rebecca Lunn, a capo del Dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell’Università scozzese e co-autrice dello studio – Se la tecnologia fosse adottata in tutto il mondo nella produzione di aggregati si potrebbe catturare lo 0,5% delle emissioni globali di CO2 – 175 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. La ricerca futura può definire questo aspetto, nonché ottimizzare il processo per intrappolare più carbonio“.

Il calcolo che si possa evitare lo 0,5% delle emissioni globali è stato effettuato sulla Norvegia perché il paese pubblica dati annuali sul volume di aggregato di roccia dura prodotto per la propria industria edile e sono documentate anche le emissioni nazionali annuali di CO2. Sebbene siano necessarie molte più indagini, il nuovo processo delineato nella ricerca ha un enorme potenziale.

Ora che sappiamo che l’intrappolamento di CO2 nella maggior parte dell’hard rock può essere effettuato in laboratorio, dobbiamo ottimizzare il processo e spingere i limiti di quanto può essere intrappolato attraverso la tecnica della frantumazione – ha aggiunto Mark Stillings, Ricercatore associato all’Università di Stratchclyde e co-autore dello Studio – Dobbiamo quindi capire come questo processo possa essere esteso dal laboratorio all’industria, dove può ridurre le emissioni globali di CO2”.

Nell’ambito dell’Accordo di Parigi, i paesi di tutto il mondo hanno concordato di proseguire gli sforzi per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 °C, e di fare ogni sforzo per mantenerlo a 1,5 °C, rispetto ai livelli preindustriali.  Per raggiungere questo obiettivo, i paesi devono ridurre le loro emissioni di gas serra a “zero netto” entro il 2050.

Ci sono molte industrie per le quali attualmente non esiste una soluzione a basse emissioni di carbonio e questa ricerca consentirà la cattura diretta del gas di CO2 da industrie difficili da decarbonizzare, dove una soluzione non esisterà entro il 2050 – ha concluso la Lunn – In futuro, speriamo che la roccia utilizzata nel calcestruzzo per costruire grattacieli e altre infrastrutture come strade, ponti e difese costiere abbia subìto questo processo e abbia intrappolato la CO2 che altrimenti sarebbe stata rilasciata in atmosfera e avrebbe contribuito ad aumentare la temperatura globale“.

Decarbonizzare l’ambiente costruito per mitigare i cambiamenti climatici è l’obiettivo del settore e la ricerca scientifica e la tecnologia cercano le soluzioni più efficaci.  Lo scorso gennaio un altro studio aveva risolto l’enigma della durabilità delle costruzioni degli antichi romani, trovando nella formulazione a caldo del calcestruzzo la soluzione che consente la riduzione dei costi e del 20% di emissioni di CO2.

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