Circular economy Sostenibilità

Economia circolare: l’Italia mantiene la leadership ma perde punti

È stato presentato da Edo Ronchi e Roberto Morabito in streaming il 2° Rapporto sull’economia circolare in Italia, realizzato da Circular Economy Network (CEN), che quest’anno dedica un focus alla Bioeconomia per il suo importante ruolo di connessione con l’economia circolare, proponendone le priorità per il suo sviluppo in Italia.

I dati dell’ultimo Rapporto sulla disponibilità di materiali redatto dall’IRP (International Resource Panel), il Gruppo di scienziati di fama mondiale istituito dall’UNEP (Programma Ambiente delle Nazioni Unite), indicano che negli ultimi 50 anni il prelievo globale di materiali è passata da 27 miliardi di tonnellate a 92 miliardi di tonnellate e che tale  rapida crescita, peraltro destinata a raddoppiare entro il 2060 sulla base delle attuali tendenze, “è la responsabile di circa la metà delle emissioni di gas serra globali e di oltre il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico”.

Per uscire da questa economia “estrattivista”, la soluzione è ormai nota e si chiama economia circolare: materiali e anche oggetti che possono essere riciclati e riutilizzati più e più volte. In questo settore l’Italia ha tradizionalmente una posizione di forza. Siamo infatti primi, tra le cinque principali economie europee, nella classifica per indice di circolarità, il valore attribuito secondo il grado di uso efficiente delle risorse in cinque categorie: produzione, consumo, gestione rifiuti, mercato delle materie prime seconde, investimenti e occupazione. Sul podio, ancora ben distanziate, anche Germania e Francia, con 11 e 12 punti in meno. Ma stiamo perdendo posizioni: a minacciare un primato che è anche un asset per la nostra economia è la crescita veloce di Francia e Polonia, che migliorano la loro performance con, rispettivamente, più 7 e più 2 punti di tasso di circolarità nell’ultimo anno, mentre l’Italia segna il passo.

È quanto emerge dal Rapporto 2020 sull’Economia Circolare in Italia, realizzato da Circular Economy Network (CEN), la rete promossa dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile (FoSS) e da 14 aziende e associazioni di impresa, e dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), presentato in streaming a seguito delle misure per il contenimento della epidemia da Covid-19, in occasione della II Conferenza nazionale sull’Economia Circolare.

Nell’economia circolare, l’Italia è partita con il piede giusto e ancora oggi si conferma tra i Paesi con maggiore valore economico generato per unità di consumo di materia – ha commentato Edo Ronchi, Presidente del Circular Economy Network – Sotto il profilo del lavoro, siamo secondi solo alla Germania, con 517.000 occupati contro 659.000. Percentualmente le persone che nel nostro Paese vengono impiegate nei settori ‘circolari’ sono il 2,06% del totale, valore superiore alla media UE 28 che è dell’1,7%. Ma oggi registriamo segnali di un rallentamento, precedente anche alla crisi del coronavirus, mentre altri Paesi si sono messi a correre: in Italia gli occupati nell’economia circolare tra il 2008 e il 2017 sono diminuiti dell’1%. È un paradosso che, proprio ora che l’Europa ha varato il pacchetto di misure per lo sviluppo dell’economia circolare, il nostro Paese non riesca a far crescere questi numeri”.

Il riferimento è alla recente adozione da parte della Commissione UE del Piano d’azione per l’Economia circolare, al fine di ridurre la pressione sulle risorse naturali, la perdita di biodiversità, le emissioni di gas serra e, al contempo aumentare la crescita economica e i nuovi posti di lavoro.  

L’Italia di fatto utilizza al meglio le scarse risorse destinate all’avanzamento tecnologico e ha un buon indice di efficienza (per ogni chilo di risorsa consumata si generano 3,5 euro di Pil, contro una media europea di 2,24), ma è penalizzata dalla scarsità degli investimenti, che si traduce in carenza di ecoinnovazione (siamo all’ultimo posto per brevetti) e dalle criticità sul fronte normativo: mancano ancora la Strategia nazionale e il Piano di azione per l’economia circolare, due strumenti che potrebbero servire al Paese anche per avviare un percorso di uscita dai danni economici e sociali prodotti dall’epidemia del coronavirus.

Il Rapporto conferma come l’Italia sia ai primi posti tra le grandi economie europee in molto settori dell’economia circolare – ha evidenziato Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali di ENEA – Tuttavia, l’andamento temporale degli indicatori mostra purtroppo un peggioramento per il nostro Paese. Stiamo pericolosamente rallentando e se continuiamo così corriamo il rischio di essere presto superati dagli altri Paesi, che invece nel frattempo stanno accelerando. Serve un intervento sistemico con la realizzazione di infrastrutture e impianti, con maggiori investimenti nell’innovazione e, soprattutto, con strumenti di governance efficaci, quali l’Agenzia Nazionale per l’Economia Circolare”.

Il Rapporto di quest’anno dedica un focus alla Bioeconomia, che ha un ruolo di grande importanza nell’economia circolare, con 2 approfondimenti: sui suoi decisivi rapporti con il capitale naturale e sul suo ruolo per far fronte ai cambiamenti climatici, proponendo le priorità per il suo sviluppo in Italia.

Secondo il Rapporto, la bioeconomia cresce di valore e peso complessivo, con un fatturato che in Europa vale 2.300 miliardi di euro con 18 milioni di occupati nell’anno 2015, secondo il JRC della Commissione UE.

In Italia l’insieme delle attività connesse alla bioeconomia registra un fatturato di oltre 312 miliardi di euro e circa 1,9 milioni di persone impiegate (177 volte i dipendenti dell’Ilva). I comparti che contribuiscono maggiormente al valore economico (63%) e occupazionale (73%) della bioeconomia sono l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco e quello della produzione primaria (agricoltura, silvicoltura e pesca). Si tratta di settori di peso rilevante e di attività che hanno un ruolo fondamentale nel rapporto con il capitale naturale: indirizzarli in direzione della sostenibilità è essenziale.

Anche perché “L’intervento umano ha trasformato significativamente il 75% della superficie delle terre emerse, ha provocato impatti cumulativi per il 66% delle aree oceaniche ed ha distrutto l’85% delle zone umide – si legge nel Rapporto – Questo cambiamento degli ecosistemi ha avuto luogo soprattutto negli ultimi cinquant’anni ed è causato dall’attività antropica attraverso modifiche dei terreni e dei mari, l’utilizzo diretto delle specie viventi, il cambiamento climatico, l’inquinamento e la diffusione delle specie aliene. Gli ecosistemi rappresentano un capitale naturale per la gran parte non sostituibile, da preservare”.

La bioeconomia è quindi un tassello fondamentale nella salvaguardia delle risorse naturali, ma solo a condizione che sia rigenerativa, cioè basata su risorse biologiche rinnovabili e utilizzate difendendo la resilienza degli ecosistemi e non compromettendo il capitale naturale con prelievi e modalità di impiego che ne intacchino gli stock. Da questo punto di vista è essenziale la tutela del suolo, elemento base della bioeconomia, che contiene oltre 2 mila miliardi di tonnellate di carbonio organico: è il secondo sink di assorbimento dei gas serra dopo gli oceani. Ma il continuo degrado del terreno e della vegetazione rappresenta oggi a livello globale un’importante sorgente netta di emissioni di gas serra.

Secondo il Rapporto speciale Climate Change and Land (SRCCL) dell’IPCC, in media nel decennio 2007-2016 le attività connesse ad agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo sono state responsabili ogni anno dell’emissione netta di circa 12 miliardi di tonnellate di CO2, circa un quarto dei gas serra globali. Se a queste si aggiungono quelle generate dal settore dall’industria alimentare e dal trasporto degli alimenti, le emissioni stimate per il settore food salgono al 37% del totale. La difesa del suolo, delle foreste, delle risorse marine è un punto essenziale nello sviluppo di una bioeconomia rigenerativa e dunque sostenibile, spiega il Circular Economy Network.

La transizione verso l’economia circolare e la bioeconomia rigenerativa è sempre più urgente e indispensabile anche per la mitigazione della crisi climatica – ha aggiunto Ronchi – Oggi esistono importanti strumenti normativi a livello europeo ma vanno incoraggiati. Penso al piano investimenti presentato alla Commissione europea il 14 gennaio scorso: un primo passo che però non è ancora sufficiente – Per rendere operativo il Green Deal occorre almeno il triplo delle risorse stanziate: bisogna arrivare a 3.000 miliardi di euro. Per raggiungere questo obiettivo serve un pacchetto di interventi molto impegnativi: una riforma dei regolamenti alla base del Patto di Stabilità per favorire gli investimenti pubblici; una nuova strategia per la finanza sostenibile in modo da incoraggiare la mobilitazione di capitali privati; una revisione delle regole sugli aiuti di Stato. Indispensabili, infine, la revisione della fiscalità e la riforma degli stessi meccanismi istituzionali dell’Unione Europea”.

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