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Cambiamenti climatici: l’intelligenza artificiale conferma la causa umana

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Una ricerca condotta dall’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Iia-Cnr), in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università di Roma Tre, applicando tecnologie dell’intelligenza artificiali (IA), conferma che le azioni umane sono la causa principale del recente riscaldamento globale e conduce a nuove scoperte sui cambiamenti climatici dell’ultimo secolo.

Le applicazioni dell’intelligenza artificiale (IA), sia in ambito scientifico che tecnologico, sono molto numerose. Pochi, tuttavia, si aspetterebbero che l’IA possa aiutare a comprendere le origini di un problema attuale e pressante come quello dei cambiamenti climatici. Una ricerca recente, pubblicata su Scientific Reports (Gruppo Nature) con il titolo “Attribution of recent temperature behaviour reassessed by a neural-network method“, condotta dall’Istituto sull’inquinamento atmosferico Consiglio nazionale delle ricerche (Iia-Cnr) e svolta in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università di Roma Tre, ha mostrato come modelli di reti di neuroni artificiali (le cosiddette “reti neurali”- NN) siano in grado di “comprendere” i complessi rapporti tra i vari influssi umani o naturali e il comportamento climatico.

Il cervello di un bambino che cresce aggiusta pian piano i propri circuiti neuronali e impara infine semplici regole e relazioni causa-effetto che regolano l’ambiente in cui vive, per esempio per muoversi correttamente all’interno di esso – ha spiegato Antonello Pasini, Ricercatore dell’Iia-Cnr e principale autore dello studio – Come questo bimbo, il modello di cervello artificiale che abbiamo sviluppato ha studiato i dati climatici disponibili e ha trovato le relazioni tra i fattori naturali o umani e i cambiamenti del clima, in particolare quelli della temperatura globale”.

Finora, l’individuazione delle cause del riscaldamento del pianeta viene studiata quasi esclusivamente mediante modelli climatici globali che utilizzano la nostra conoscenza fisica del funzionamento dell’atmosfera, dell’oceano e delle altre parti che compongono il sistema clima. 
“Tutti questi modelli attribuiscono alle azioni umane, in particolare all’emissione di gas serra come l’anidride carbonica, l’aumento delle temperature nell’ultimo mezzo secolo, e questa uniformità di risultati non sorprende, poiché i modelli sono piuttosto simili tra loro – ha proseguito Pasini – Un’analisi completamente diversa consentirebbe pertanto di capire meglio se e quanto questi risultati siano solidi”.

Questo è quanto hanno realizzato i ricercatori, con un modello che “impara” esclusivamente dai dati osservati e non fa uso della nostra conoscenza fisica del clima.
In breve le reti neurali da noi costruite confermano che la causa fondamentale del riscaldamento globale degli ultimi 50 anni è l’aumento di concentrazione dei gas serra, dovuto soprattutto alle nostre combustioni fossili e alla deforestazione – ha sottolineato Pasini – Ma il nostro modello permette di ottenere di più: ci dà informazioni sulle cause di tutte le variazioni di temperatura dell’ultimo secolo. Così, si vede che, mentre l’influsso solare non ha avuto alcun peso sulla tendenza all’aumento degli ultimi decenni, le sue variazioni hanno causato almeno una parte dell’incremento di temperatura cui si è assistito dal 1910 al 1945. La pausa nel riscaldamento registrata tra il 1945 e il 1975, invece, è dovuta all’effetto combinato di un ciclo naturale del clima visibile particolarmente nell’Atlantico e delle emissioni antropiche di particelle contenenti zolfo, a loro volta causa di cambiamenti nel ciclo naturale”.

La ricerca chiarisce quindi nel dettaglio i ruoli umani e naturali sul clima.
“E conferma la conclusione che i primi siano stati molto forti e influenti almeno a partire dal secondo dopoguerra – ha concluso Pasini – Ma questa non è una notizia negativa, anzi: significa che possiamo agire per limitare le nostre emissioni ed evitare conseguenze peggiori anche in Italia, paese particolarmente vulnerabile dal punto di vista climatico-ambientale”.

Da una prospettiva più ampia, questo approccio sottolinea ulteriormente che, quando si tratta di sistemi complessi, il pluralismo metodologico può rappresentare una strategia sicura e aggiungere affidabilità alle scoperte scientifiche.

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