La Grande Barriera Corallina, che si estende per oltre 2300 km al largo della costa nordest dell’Australia, si sta riducendo sempre più. A denunciare la grave situazione un gruppo di studiosi della James Cook University secondo i quali la copertura si è ridotta del 67% negli ultimi otto-nove mesi, mettendo in serio pericolo l’intero ecosistema marino.
I vivaci colori che hanno fatto della Grande Barriera Corallina una delle meraviglie del nostro Pianeta potrebbero spegnersi per sempre. Le temperature degli oceani, infatti, si stanno scaldando sempre più e, in particolare, in Australia il fenomeno sta aumentando considerevolmente, mettendo in serio pericolo più di un terzo dell’area protetta, che si estende per oltre 2300 km al largo della costa nordest del continente.
L’allarme, lanciato ormai da mesi, trova conferma nel nuovo bilancio tracciato dal Centro per l’Eccellenza degli Studi sul Corallo (Australian Research Council Centre of Excellence for Coral Reef Studies) della James Cook University di Townsville: almeno 700 chilometri di coralli del reef australiano, considerato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, sono stati progressivamente “uccisi” dal riscaldamento globale negli ultimi nove mesi.
Una moria senza precedenti e il peggiore sbiancamento mai registrato dagli scienziati. “Dopo aver completato una vasta ricognizione subacquea – ha spiegato il professor Terry Hughes del Centro di Eccellenza – abbiamo riscontrato che la maggior parte delle perdite nel 2016 si è verificata nella regione settentrionale, a nord di Port Douglas, finora la più incontaminata della Grande Barriera. Abbiamo calcolato la scomparsa di oltre il 67% del corallo, come se fosse stato letteralmente cucinato“.
Il pericoloso fenomeno distruttivo dello “sbiancamento”, causato dall’innalzamento delle temperature soprattutto tra febbraio e aprile, ha danneggiato molti settori della barriera, alterando l’ecosistema corallino. All’origine della decolorazione vi è l’assenza dell’alga Zooxanthellae, fondamentale per la sopravvivenza, che viene espulsa: così muore lo scheletro di carbonato di calcio che va a formare il corallo, andando a perdere la tipica colorazione rossa.
Secondo i ricercatori, fenomeni simili si erano già verificati nel 1998 e nel 2002, ma mai di così elevata portata. “L’unica speranza adesso è il brutto tempo – ha continuato Hughes – cioè l’arrivo di un ciclone a breve che potrebbe arrestare, almeno momentaneamente, la situazione. Ci vorranno 10-15 anni per riguadagnare i coralli perduti, anche se temiamo che un ulteriore fenomeno di sbiancamento possa rallentare il lento recupero. Fortunatamente i restanti due terzi meridionali della barriera, che includono le aree turistiche a sud di Port Douglas attorno a Cairns e all’arcipelago di Whitsundays, hanno riportato danni più contenuti perché protetti dalle acque più fresche provenienti dal Mar dei Coralli“.
Nel frattempo, il governo australiano si prepara a riferire al Comitato per il Patrimonio Mondiale dell’Unesco in merito alle misure di protezione adottate o programmate per la Grande Barriera. Il Comitato dovrà, poi, discutere nuovamente se includere il sito nella “lista del patrimonio mondiale in pericolo“. Da quando ha considerato l’ultima volta tale inclusione e ha deciso per un rinvio, infatti, la Barriera ha subito il peggiore evento di sbiancamento mai registrato.
Il cambiamento climatico rappresenta, dunque, una tale minaccia che addirittura l’ex direttore dell’Authority del parco marino della Grande Barriera Corallina, Graeme Kelleher, in carica per 16 anni, ha invocato la messa al bando di ogni nuova miniera di carbone: “L’Australia non può avere una Grande Barriera Corallina in buona salute e allo stesso tempo continuare con l’industria del carbone“.