I risultati del Progetto Ortumannu, condotto da ENEA, Università di Cagliari, CRS4 e Mutah University (Giordania) dimostrano che mediante l’utilizzo di microbi endemici selezionati si può promuovere la crescita di piante anche in condizioni avverse di suoli poveri di nutrienti e aridi.
Le pratiche agricole, fino ad oggi, si sono basate sull’uso intensivo di fertilizzanti e sull’acqua, con negative conseguenze quali l’impoverimento del suolo e lo sfruttamento eccessivo delle risorse idriche. Il rincaro dei fertilizzanti, innescato dalla guerra in Ucraina e la siccità incombente correlata ai cambiamenti climatici in atto, hanno evidenziato che l’utilizzo dei concimi di sintesi da fonti fossili non è una pratica sostenibile.
Sostituire i fertilizzanti chimici con microrganismi e batteri in grado di favorire la crescita delle piante anche in condizioni di stress idrico, migliorare le funzioni del suolo e la produzione agricola e l’obiettivo del Progetto Ortumannu, condotto da ENEA, Università di Cagliari, CRS4 e Mutah University (Giordania),
Grazie all’utilizzo integrato di risorse naturali, biotecnologie e strumenti all’avanguardia per caratterizzazione, monitoraggio e modellazione, il Progetto si propone di contrastare l’impoverimento del suolo e promuovere produzioni agricole di alta qualità, riducendo al contempo l’uso di fertilizzanti, pesticidi e acqua, mediante l’utilizzo di fertilizzanti microbici per aumentare le funzioni del suolo e promuovere la crescita delle piante.
La strategia del Progetto è consistita nello studiare la biodiversità microbica del suolo agricolo e le sue funzioni, per formulare degli inoculi di microbi endemici al fine di creare condizioni ottimali per promuovere la crescita di piante anche in condizioni avverse. Tale strategia è stata testata in due siti: Sardegna e Giordania.
Nel sito in Sardegna, sono stati isolati dal suolo di un’azienda agricola della piana di Pula 8 ceppi microbici che sono stati selezionati in laboratorio per le loro funzioni di promozione della crescita delle piante (PGP) e successivamente testati in tre successive prove in loco con diverse varietà di pomodoro. I risultati hanno dimostrato che l’inoculazione della formula batterica indigena ripetuta nelle diverse fasi di crescita della pianta, indipendentemente dalla varietà di pomodoro, rappresenta una strategia efficace per ottenere una resa in frutti paragonabile a quella ottenuta con i fertilizzanti chimici.
In Giordania, presso una stazione agronomica nella regione di Al-Ghweir, caratterizzata da suoli e risorse naturali improduttivi e scarsità idrica, utilizzando il sequenziamento del gene 16S rDNA, il team ha isolato e identificato 40 ceppi di batteri dal suolo testati per la loro capacità di promuovere la crescita delle piante, fissare l’azoto, mobilizzare il fosforo, solubilizzare il potassio e produrre siderofori, cioè sostanze organiche in grado di influenzare la crescita delle piante. I ceppi con le migliori caratteristiche sono stati selezionati per creare la formula microbica più efficace da applicare in un campo sperimentale della Mutah University coltivato a sorgo, una specie vegetale della famiglia delle graminacee. Rispetto all’utilizzo di fertilizzanti chimici come il fosfato biammonico (DAP), le prove in campo hanno dimostrato l’efficacia del formulato microbico nel sostenere la crescita durante la fase di produzione dei fusti secondari di sorgo (coltivazione). Inoltre, è stato riscontrato che in condizioni di stress idrico le piante inoculate con il biofertilizzante sopravvivevano in buone condizioni fisiologiche, a differenza delle piante concimate con fertilizzanti chimici.

“Ad oggi abbiamo dimostrato che la fertilizzazione con una formula microbica site-specific, naturale ed endemica può sostituire i prodotti chimici e migliorare le pratiche agricole spesso basate su un uso intensivo di fertilizzanti e un sovrasfruttamento delle acque, che causano un impoverimento del suolo – ha sottolineato Chiara Alisi, Ricercatrice ENEA presso il Laboratorio di Osservazioni e Misure per l’Ambiente e il Clima (OEM) e referente del Progetto – Per questo speriamo in un impatto positivo sulle comunità locali coinvolte nella ricerca, ma ci impegniamo anche a trasferire rapidamente i risultati al settore agroindustriale“.