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Stato del Clima 2018: non c’è più tempo da perdere

Il Rapporto dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale sullo Stato del Clima 2018 non lascia dubbio sull’accelerazione degli impatti dei cambiamenti climatici.

Nel corso di una Conferenza stampa presso la sede ONU di New York, il World Meteorological Organization (WMO) ha presentatoil RapportoStatement on the State of the Global Climate 2018” giunto alla sua XXV edizione.

Da quando è stato pubblicato il primo Stato del Clima– ha dichiarato Petteri Taalas, Segretario generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale – la scienza del clima ha raggiunto un livello di affidabilità senza precedenti, fornendo prove autorevoli dell’aumento della temperatura globale e delle correlate conseguenze quali l’accelerazione dell’innalzamento del livello del mare, la riduzione della banchisa, il ritiro dei ghiacciai e i fenomeni estremi come le ondate di calore”.

Secondo il Rapporto, i fenomeni fisici e gli impatti socio-economici dei cambiamenti climatici stanno accelerando, mentre le concentrazioni record di gas serra portano le temperature globali verso livelli sempre più pericolosi.

Gli indicatori dei cambiamenti climatici stanno accentuando – ha proseguito Taalas – Il livello di concentrazione in atmosfera di anidride carbonica, che era pari a 357,0 parti per milione (ppm) quando fu redatto il primo Statement nel 1994, continua a salire ed è arrivato a 405,5 ppm nel 2017, e presumibilmente quelli del 2018 e 2019 dovrebbero essere ancora maggiori”.

Proprio qualche giorno fa, l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) ha confermato nel suo ultimo Rapporto sullo stato globale dell’energia e della CO2 (GECO 2018) che la concentrazione annuale media globale di CO2 nell’atmosfera è stata di 407,4 ppm nel 2018, in aumento di 2,4 ppm rispetto al 2017, raggiungendo il nuovo massimo storico.

Il Rapporto che si avvale dei contributi provenienti dai servizi meteorologici e idrologici nazionali, da un’ampia comunità di esperti scientifici e dalle Agenzie delle Nazioni Unite, descrive i rischi legati al clima e gli impatti sulla salute umana e sul benessere delle persone, le migrazioni e gli sfollamenti, la sicurezza alimentare, l’ambiente e gli ecosistemi marini e terrestri., elencando, inoltre, tutti i fenomeni meteorologici estremi accaduti in tutto il mondo.

I fenomeni meteorologici estremi sono proseguiti anche all’inizio del 2019, come dimostra il recente ciclone tropicale Idai che ha già causato inondazioni devastanti e perdite di vite in Mozambico, Zimbabwe e Malawi, che potrebbe rivelarsi uno dei più gravi disastri meteorologici che abbiano colpito l’emisfero australe – ha sottolineato il Segretario della WMO – Idai si è abbattuto sulla città di Beira, una città in rapida crescita posta su una costa bassa ed esposta alle mareggiate, che deve peraltro affrontare già le conseguenze dell’innalzamento del livello del mare. Le vittime di Idai stanno a dimostrare perché c’è bisogno di un’agenda globale per lo sviluppo sostenibile, dell’adattamento ai cambiamenti climatici e della riduzione dei rischi da catastrofi”.

È di queste ore la notizia confermata dal Governo del Mozambico che, oltre ad aver fatto 1.000 vittime e un milione e mezzo di sfollati, il ciclone Idai ha provocato casi di colera, insorta perché larga parte della popolazione è stata costretta ad attingere acqua dai pozzi contaminati, essendo stata completamente distrutta la rete idrica della città.

Di seguito gli aspetti più rilevanti contenuti nel Rapporto.

Pericoli. La maggior dei pericoli naturali che hanno interessato nel 2018 circa 62 milioni di persone era associata a fenomeni meteorologici e climatici estremi. Secondo un’analisi compiuta su 281 eventi registrati dal Centro per la ricerca sull’epidemiologia dei disastri (CRED) e dall’Agenzia ONU incaricata di facilitare l’implementazione della Strategia per la Riduzione dei Rischi da Catastrofi (UNSIDR) le inondazioni hanno continuato a colpire il maggior numero di persone, oltre 35 milioni, secondo un’analisi di 281 eventi registrati dal Centro per la ricerca sull’epidemiologia dei disastri (CRED) e la strategia internazionale delle Nazioni Unite per la riduzione dei rischi di catastrofi.
Gli uragani Florence e Michael, 2 delle 14 catastrofi che hanno causato nel 2018 miliardi di dollari di danni, negli Stati Uniti hanno provocato circa 49 miliardi di dollari di danni e oltre 100 morti. Il super tifone Mangkhut ha colpito più di 2,4 milioni di persone e ucciso almeno 134 persone, soprattutto nelle Filippine. Mentre oltre 1.600 morti sono stati associati ad intense ondate di calore e incendi in Europa, Giappone e Stati Uniti che hanno avuto danni economici record di circa 24 miliardi di dollari. Lo stato indiano del Kerala ha subito le piogge più pesanti e le peggiori alluvioni in quasi un secolo.

Sicurezza alimentare. L’esposizione del settore agricolo agli estremi climatici minaccia di invertire i progressi realizzati nella lotta alla malnutrizione. Secondo il Rapporto sullo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo (SOFI 2018), la fame nel mondo dopo un lungo periodo di declino è tornata a salire, tanto che nel 2017 erano 821 milioni le persone denutrite, anche a causa delle gravi siccità correlate all’intensa persistenza del fenomeno El Niño nel 2015-16.

Spostamenti di popolazioni. Dei 17,7 milioni di profughi interni censiti al settembre del 2018 dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM), oltre 2 milioni erano vittime di catastrofi legate a fenomeni meteorologici e climatici. Siccità, inondazioni e tempeste (inclusi gli uragani e cicloni) sono gli eventi che hanno portato allo sfollamento più disastroso nel corso 2018, con conseguente necessità per le persone coinvolte di protezione. Secondo la rete di monitoraggio e protezione dell’UNHCR, circa 883.000 nuovi spostamenti interni sono stati registrati tra gennaio e dicembre 2018, di cui il 32% è stato associato a inondazioni e il 29% a siccità.

Caldo, qualità dell’aria e salute.  Sussistono molte interconnessioni tra clima e qualità dell’aria, che sono esacerbate dai cambiamenti climatici. Tra il 2000 e il 2016, il numero di persone esposte alle ondate di calore è stato stimato in circa 125 milioni di persone, in aumento a seguito del protrarsi della lunghezza media delle singole ondate di calore di 0,37 giorni, rispetto al periodo compreso tra il 1986 e il 2008, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Queste tendenze sono segnali di allarme per il settore della salute pubblica, prevedendo che le ondate di calore aumenteranno ulteriormente per intensità, frequenza e durata. 

Ambiente. Gli impatti ambientali includono lo sbiancamento dei coralli e la riduzione di ossigeno negli oceani. Altri fenomeni collegati sono la perdita di “Blue Carbon” associata ad ecosistemi costieri come mangrovie, lpraterie di fanerogame e zone umide salmastre e ad ecosistemi di una vasta gamma di paesaggi. Si prevede che il riscaldamento globale contribuirà alla diminuzione, già osservata, dell’ossigeno in mare aperto e lungo le coste, inclusi estuari e mari semi-chiusi. Dalla metà del secolo scorso, c’è stata una diminuzione (1-2%) dell’ossigeno oceanico, secondo la Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO (UNESCO-IOC).

Secondo l’UNEP, i cambiamenti climatici sono diventati una grave minaccia per gli ecosistemi delle torbiere, perché esacerbano gli effetti del drenaggio e aumentano il rischio di incendi. Le torbiere sono importanti per le società umane in tutto il mondo, contribuendo in modo significativo alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici attraverso il sequestro e lo stoccaggio del carbonio, alla conservazione della biodiversità, al regime idrologico e la qualità dell’acqua e la fornitura di altri servizi ecosistemici che sostengono i mezzi di sussistenza.

Indicatori climatici
Calore degli oceani.
Nel 2018 ha registrato nuovi record per il calore accumulato degli oceani fino alla 700m (record di dati iniziato nel 1955) e fino a 2000m (record di dati iniziato nel 2005), superando il precedente record stabilito nel 2017. Oltre il 90% dell’energia intrappolata dai gas serra entra negli oceani e questa quantità di calore dell’oceano si accumula negli strati marini .

Livello del mare.  L’innalzamento  del mare continua a salire ad un ritmo accelerato. Il livello medio globale del mare (GMSL) nel 2018 è stato di circa 3,7 millimetri in più rispetto al 2017, il più alto mai registrato. Nel periodo gennaio 1993 – dicembre 2018, il tasso medio di aumento è stato di 3,15 ± 0,3 mm all’anno, mentre l’accelerazione stimata è di 0,1 mm ogni due anni. L’aumento della perdita di massa dei ghiacciai, secondo il World Climate Research Programme global sea level budget group, è la causa principale dell’accelerazione del GMSL, come rivelano i dati altimetrici satellitari.

Acidificazione degli oceani: Nell’ultimo decennio, gli oceani hanno assorbito circa il 30% delle emissioni di CO2 antropogeniche. La CO2 assorbita reagisce con l’acqua di mare e modifica il pH dell’oceano. Questo processo è noto come acidificazione può influenzare la capacità degli organismi marini come molluschi e coralli che costruiscono le barriere, di fabbricare e mantenere i rivestimenti e il materiale scheletrico. Le osservazioni in mare aperto negli ultimi 30 anni hanno mostrato una chiara tendenza alla riduzione del pH, come attesta la Commissione oceanografica intergovernativa (IOC) dell’UNESCO.

Ghiaccio marino. L’estensione della banchisa artica è stata ben al di sotto della media per tutto il 2018 ed era ai livelli record di riduzione nei primi due mesi dell’anno. Il massimo annuale si è verificato a metà marzo ed è risultato al 3° posto tra i livelli del mese di marzo del periodo 1979-2018. L’estensione mensile di settembre della banchisa si colloca al 6° posto tra la minor estensione del mese. Le 12 estensioni più piccole di settembre si sono verificate tutte dopo il 2007. Alla fine del 2018, l’estensione del ghiaccio giornaliero era vicina ai livelli record di riduzione.
La banchisa antartica ha raggiunto il suo massimo annuale tra la fine settembre e l’inizio di ottobre. Dopo la sua massima estensione all’inizio della primavera, la banchisa dell’Antartico è diminuita a un ritmo rapido ad ogni mese, fino alla fine dell’anno, collocandosi tra le cinque più piccole di ogni mese fino alla fine del 2018.

Groenlandia. La calotta glaciale della Groenlandia ha perso la sua massa ogni anno negli ultimi due decenni. Il bilancio di massa superficiale (SMB) ha registrato un aumento per effetto di nevicate sopra la media, in particolare nella Groenlandia orientale e di una stagione di fusione vicino alla media, determinando un aumento della SMB complessiva, ma ha avuto un impatto limitato sulla tendenza negli ultimi due decenni con la calotta della Groenlandia che ha perso circa 3.600 gigatonnellate di massa di ghiaccio dal 2002. Un recente studio che ha esaminato anche i nuclei di ghiaccio prelevati con carotaggi nell’entroterra ha stabilito che il recente livello di eventi di scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia non si è verificato almeno negli ultimi 500 anni.

Ritiro dei ghiacciai. Il World glacier monitoring service che monitora il bilancio di massa dei ghiacciai, utilizzando una serie di ghiacciai di riferimento globali con oltre 30 anni di osservazioni tra il 1950 e il 2018, testimoniano che l’anno idrologico 2017-18 è stato il 31° anno consecutivo con un bilancio di massa negativo.

Due recenti Studi pubblicati entrambi il 21 dicembre 2018 che hanno preso in esame lo scioglimento delle calotte glaciali antartiche ed artiche, concordano nel ritenere che tale accelerata riduzione dei ghiacci e ghiacciai debba attribuirsi al riscaldamento antropogenico, inviando un avvertimento sulla rapidità in termini climatologici dei cambiamenti una volta innescata l’instabilità.

Questi dati confermano l’urgenza di un’azione climatica, come ha sottolineato anche il recente rapporto speciale dell’IPCC sugli effetti di un riscaldamento globale a + 1,5 °C – ha sottolineato il Segretario generale dell’ONU, António Guterres che ha presenziato la Conferenza stampa di lancio del Rapporto – L’IPCC ha svelato che limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C richiederà transizioni rapide e di ampia portata nell’uso dei suoli, nell’energia, nell’industria, negli edifici, nel trasporto e nelle città e che le emissioni globali nette causate di anidride carbonica antropogenica calino di circa il 45% rispetto ai livelli del 2010 entro il 2030, per raggiungere lo zero netto intorno al 2050. Non c’è più tempo da perdere”.

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