Numerosi eventi programmati dalle Città del tartufo nei fine settimana di autunno ed inverno mettono in mostra le eccellenze storico-paesaggistiche dei loro territori e, soprattutto, i “gioielli della natura” che custodiscono e che offrono alla vista, all’olfatto, ma anche al gusto dei visitatori.
Con l’arrivo dell’autunno, le “Città del Tartufo” si apprestano ad ospitare le migliaia di visitatori che ogni anno frequentano le Mostre Mercato e Fiere dei “gioielli” più preziosi dei territori.
Conosciuto fin dai tempi più antichi (si hanno testimonianze della sua presenza nella dieta del popolo dei sumeri ed al tempo del patriarca Giacobbe intorno al 1700-1600 a.C.), il tartufo è un fungo ipogeo, svolgendo il ciclo vitale sottoterra (a 40-50 cm. di profondità). Fa parte del genere Tuber senza essere patate e simili; è invece parente stretto di porcini e prataioli, pur avendo aspetto globoso e struttura interna assai diversa.
Su nessun altro prodotto delle terra sono cresciute storie, leggende e dicerie, ma anche discussioni scientifiche, come attorno al tartufo, testimoniando l’interesse che in ogni età può aver suscitato la sua presenza.
I greci lo chiamavano Hydnon, i latini Tuber, gli arabi Ramech Alchamech Tufus, gli spagnoli Turma de Tierra, i francesi Truffe, gli inglesi Truffle, i tedeschi Hirstbrunst.
Plinio il Vecchio diceva che “il tartufo sta fra quelle cose che nascono, ma non si possono seminare”. Plutarco ipotizzo che fosse l’azione combinata di acqua, calore e fulmini. Lucullo lo considerava un tocco raffinato dei suoi prelibati piatti. Giovenale se ne innamorò tanto da affermare che “era preferibile mancasse il grano piuttosto che i tartufi”.
Eppure quel che i romani consideravano il cibo degli Dei non erano i veri tartufi, ma dei succedanei quali terfezie e tirmane, funghi ipogei simili ai tartufi, ma di qualità molto meno pregiata che crescono nelle aree calde e siccitose del Mediterraneo e che vengono spacciate per tartufi a ignari consumatori.
Fu nel Rinascimento che il tartufo vero cominciò a diffondersi sulle tavole delle corti e divenne uno “status symbol” dei “magnati”, di quelli che per offrirli ai propri commensali non facevano questioni di prezzo.
Sono 9 le specie di tartufo commercializzate, ma alcune sono più pregiate e rare: il tartufo bianco (i più famosi quelli di Alba-CN e Acqualagna-PU); il tartufo nero pregiato (quello di Norcia-PG è il più famoso).
L’Italia è l’unico Paese al mondo (se si eccettua una piccola porzione dell’Istria) dove si raccoglie il pregiato tartufo bianco (Tuber magnatum Pico), considerato il “tartufo” per antonomasia sia per il pregio gastronomico che per l’importanza commerciale notevole che riveste. Le sue quotazioni al 10 ottobre si aggiravano attorno ai 400 euro all’etto per la pezzatura media di 20 gr. (il prezzo si incrementa con l’aumentare del peso).
La taglia varia notevolmente: da pochi decimi di grammo a qualche chilo. Il record storico, se quanto riportato nell’Archivio storico della Biblioteca Universitaria di Urbino corrisponde a verità, spetterebbe a quello trovato nel 1668 in Acqualagna (PU): 75 libbre (25kg!).
L’annotazione che riporta la donazione del tartufo record fatta dal Cardinale Cesare Rasponi, mentre era Legato di Urbino, al collega Flavio Chigi, nipote di Alessandro VII. (immagine tratta da: Umberto Marini, Acqualagna terra di tartufi, Metauro edizioni, 1999).
In tempi più recenti, un monumento eretto a S. Miniato (PI) celebra l’esemplare di 2.520 gr. rinvenuto in quel territorio nel 1954, e donato da un commerciante di Alba (CN) al Presidente degli USA Dwight D. Eisenhower.
Oggi, fa notizia il “cavatore” che, grazie al fiuto del suo cane, rinviene un tartufo attorno al chilo.
Il suo aspetto è globoso, con depressioni sul peridio (scorza) che è liscio e leggermente vellutato. Il colore è normalmente giallo, qualche volta tende al crema scuro, fino al verdastro, a seconda del sito di raccolta e della pianta con cui vive in simbiosi (querce, tigli, salici, pioppi, noccioli).
La gleba (polpa) percorsa da venature, varia dal bianco grigiastro a varie tonalità di giallo, ma anche al nocciola, a seconda del grado di maturazione e dell’ambiente di raccolta.
Oltre alla morfologia, per riconoscere questa specie è il forte profumo, particolarmente gradevole e spiccato a maturità.
Anche su questo aspetto si concentra l’attività di frodi e contraffazioni, introducendo aromi di sintesi per spacciare per tartufo bianco varietà meno pregiate o poco profumate.
Per svilupparsi il micelio del tartufo ha bisogno di terreni soffici e umidi per la maggior parte dell’anno, ricchi di calcio e con un buon arieggiamento. Con l’arrivo del caldo, il micelio si sviluppa e invade con il suo reticolo le radici degli alberi. All’arrivo delle piogge che incrementano l’umidità del terreno e abbassano le temperature, si cominciano a formare i corpi fruttiferi che maturano qualche settimana o qualche mese più tardi. Perciò, il suo ciclo biologico non è fisso, anche se generalmente il periodo di maturazione va da settembre a dicembre.
Anche la quota altimetrica di crescita lungo la dorsale appenninica e sulle Prealpi varia da 500 a 1.000 m.
L’altra specie di notevole interesse gastronomico e commerciale, il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum Vittadini), ha un areale di crescita più ampio. Oltre quelli raccolti in Italia, sono rinomati i truffefrancesi diffusi su gran parte del territorio, con aree di predilezione in Provenza e nel Pèrigord.
Il suo prezzo è inferiore a quello bianco, per i maggiori quantitativi di raccolta, non certo per minore valore gastronomico, trovando estimatori che lo preferiscono al bianco, da cui differisce per il colore del peridio nero a maturazione e rugoso, con verruche minute. La gleba, bianca negli esemplari più giovani, è nera fuligginosa con sottili venature bianche che virano all’aria verso il rosso-violaceo.
Emana un profumo intenso e il suo sapore è ancora più gradevole. Vive in simbiosi con querce (specialmente roverelle), carpini, noccioli, ecc. e matura, a seconda delle aree, dalla metà di novembre alla meta di marzo. Poiché il terreno su cui cresce presenta il “pianello” ovvero una chiazza di terreno pulito privo o molto povero di erba, anche se tale situazione non dà la certezza della sua presenza, agevola tuttavia i raccoglitori con pochi scrupoli che ne anticipano la raccolta fin da ottobre, per prenderli con la gleba ancora bianca e venderli ai ristoranti, per essere serviti mescolati con le fettine di tartufo bianco.
Il tartufo è la sentinella della salubrità dell’ambiente in mancanza della quale non si riproduce. Dissesto idrogeologico, cambio di uso dei suoli e cambiamenti climatici sono oggi i maggiori nemici di questi “tesori della natura”, ma anche attività antropiche più dirette quali la raccolta in periodi vietati e la diffusione di tartufi “alieni” (Tuber indicum; Tuber himalaiensis), di provenienza cinese. L’immissione di questi ultimi nel nostro Paese potrebbe risultare devastante, sia dal punto di vista ambientale che economico, perché le loro spore (semi) sono meno esigenti e più adattabili, propagandandosi facilmente, con il rischio di soppiantare i tartufi autoctoni, stravolgendo l’ecosistema.
Rendere il tartufo, vera ricchezza collettiva, e l’ambiente tartufigeno risorse rinnovabili é il motivo per cui l’Associazione “Città del Tartufo” è impegnata da anni nel percorso per la richiesta di riconoscimento del tartufo come Patrimonio immateriale dell’umanità dal parte dell’UNESCO.
Per constatare il legame intrinseco del tartufo con il contesto da cui proviene e che lo celebra con “buone pratiche” di salvaguardia del territorio, ma anche con assaggi e piatti gastronomici in cui odori e sapori dei tartufi si accompagnano alle eccellenze vinicole locali, bisogna visitare una delle tante mostre-mercato e fiere che si svolgono nelle Città del Tartufo, consultandone il calendario.