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Stati Generali Green Economy: chiusa con numeri record la VI edizione

stati generali della Green Economy

Si è conclusa a Rimini Fiera, nell’ambito di ECOMONDO, la Fiera internazionale del recupero di materia ed energia e dello sviluppo sostenibile (7-10 novembre 2017), organizzata da Italian Exibition Group (IEG), la VI edizione degli Stati Generali della Green Economy (7-8 novembre 2017), promossi dal Consiglio Nazionale della Green Economy, composto da 66 organizzazioni di imprese rappresentative della green economy in Italia, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), il Ministero dello Sviluppo Economico(MiSE) e il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT) e con il supporto scientifico della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile (FoSS).

Questa edizione si è caratterizzata per una partecipazione record. Secondo i dati forniti dall’Ufficio stampa della Manifestazioni, si sono avute 2.600 presenze, oltre 1.500 utenti per la diretta streaming italiana, cui vanno aggiunti tutti coloro che hanno seguito la diretta streaming in inglese dedicata agli utenti internazionali, più di 80 relatori italiani e stranieri.

Numeri da record si sono registrati anche nella partecipazione on line al dibattito. Su Twitter, l’hashtag #statigreen17 è stato tra i primi cinque trending topic in Italia nella giornata del 7 novembre tra le 12 e le ore 16, con quasi 2.000 tweet complessivi, oltre 160.000 gli account raggiunti (317.000 impressions, visualizzazioni nella timeline) e circa 300 utenti che hanno partecipato attivamente alla discussione.

Anche il live streaming dalla pagina Facebook dell’iniziativa della sessione plenaria con la partecipazione del Ministro dell’Ambiente Galletti ha raccolto 2.300 visualizzazioni, raggiungendo nella giornata una copertura di oltre 23.000 utenti.

Numeri che dimostrano come la green economy non è più un settore di nicchia, ma il mainstream dello sviluppo economico.

La sessione plenaria conclusiva degli Stati Generali della Green Economy dell’8 novembre è stata dedicata al tema “Europa, Cina, Usa: il futuro della green economy nei nuovi equilibri mondiali” nel corso della quale sono stati passati in rassegna gli scenari della green economy nel mondo, in particolare nelle principali economie, e la possibilità di centrare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi (contenimento della variazione climatica globale ben al di sotto dei 2°C). L’approfondimento è stato suddiviso in due momenti:

– uno di taglio politico con gli interventi dell’economista statunitense e grande sostenitore della green economy Woodrow Clark, dell’eurodeputata Monica Frassoni e del Consigliere scientifico dell’Ambasciata cinese Cao Jianye;

– l’altro di tipo imprenditoriale, con i rappresentanti di alcune delle più grandi aziende del panorama mondiale (VestasArcadisZhidou Ev CarNovamontEnel Green Power).

La green economy sta andando avanti – ha affermato Edo Ronchi, del Consiglio Nazionale della Green Economy – regge in Europa e c’è in particolare una spinta interessante da parte della Francia, sta diventando un elemento di forza per la Cina e, nonostante la posizione del Presidente Trump, anche gli Stati Uniti puntano ancora sul green”.

L’Europa ha conseguito con anticipo gli obiettivi del pacchetto di misure per il clima al 2020, ma nel nuovo pacchetto al 2030 ha identificato target (27% di rinnovabili sul consumo finale lordo e 30% di riduzione del consumo tendenziale di energia) che difficilmente consentiranno di centrare l’obiettivo di riduzione dei gas serra del 40%. L’attuazione dell’Accordo di Parigi richiederà un miglioramento dei target europei al 2030. L’Europa è anche alla vigilia dell’approvazione del Pacchetto sulla Circular Economy per rendere l’economia europea la più efficiente del mondo nell’utilizzo delle risorse, con la revisione delle 4 Direttive sui rifiuti, anche se persistono atteggiamenti contrastanti tra i Paesi membri e tra le forze politiche, come dimostra l’accesso dibattito intervenuto al Parlamento europeo sulla proposta di nuovo Regolamento della Commissione UE per una maggior diffusione dei fertilizzanti organici.

La Cina ha puntato in passato su un modello di crescita accelerata, basato sulle esportazioni, di bassa qualità ed elevati impatti ambientali, con un enorme utilizzo di carbone come fonte di energia di gran lunga prevalente. Questo modello di crescita ha fatto diventare la Cina una potenza economica mondiale, ma anche il principale Paese emettitore di gas serra (con il 29% delle emissioni globali di CO2), con emissioni totali, che comunque non crescono dal 2014, superiori a quelle degli Stati Uniti ed emissioni pro-capite superiori a quelle europee.

Il programma di misure per l’Accordo di Parigi presentato dalla Cina risulta insufficiente e prevede di continuare ad aumentare le emissioni fino al 2030. Tuttavia, si registra una svolta “green” da parte del Governo Cinese, segnalata anche da indicatori quali la crescita del fatturato di beni e servizi ambientali, l’aumento degli stock forestali, la riduzione del consumo di pesticidi e fertilizzanti e l’aumento degli edifici realizzati con criteri green, gli enormi investimenti in rinnovabili e la grande emissione di green bond.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, per la green economy, oltre che per le politiche climatiche globali, è di grande importanza cominciare a valutare i possibili effetti della decisione del Presidente Trump di ritirare gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi per il clima. Gli esiti di questa decisione non sono affatto scontati: circa il 40% delle emissioni di gas serra degli USA proviene da Stati che hanno ufficialmente dichiarato che manterranno il loro impegno di riduzione di gas serra in attuazione dell’Accordo di Parigi.

Proprio nel giugno del 2017, la conferenza dei Sindaci, in rappresentanza di 1.408 città superiori ai 30.000 abitanti, non solo ha sostenuto l’Accordo di Parigi, ma ha chiesto obiettivi più ambiziosi. Oltre agli impegni, sarà molto importante verificare alcuni indicatori chiave. Per ora gli investimenti nelle rinnovabili continuano a crescere: a marzo e ad aprile del 2017, solare ed eolico, per la prima volta, hanno superato il 10% della domanda elettrica.

Gli Stati Uniti continuano a essere leader mondiale nella produzione di biocombustibili e nelle tecnologie per l’efficienza energetica. Le emissioni di green bond nel 2016 sono state 80 volte superiori a quelle del 2012, raggiungendo la cifra di 38,4 miliardi di dollari. Per ora sembra che le dichiarazioni di Trump sull’Accordo di Parigi non siano in grado di produrre effetti rilevanti sulle concrete misure economiche e tecnologiche per il clima, ormai avviate negli USA.

Peraltro, l’isolazionismo dell’Amministrazione USA sui cambiamenti climatici si fa sempre più imbarazzante per i policy maker, specie dopo che dalla COP23 in svolgimento a Bonn è trapelata la notizia che anche la Siria di Bashir al Assad si appresterebbe ad aderire, dopo il Nicaragua ad ottobre, all’Accordo, depositando gli strumenti di ratifica al Segretariato dell’UNFCCC, lasciando così gli USA nella non invidiabile posizione di essere l’unico Paese a non aderire.

L’economia mondiale ha ormai intrapreso la strada green, anche se il presidente Trump non se ne è accorto – ha concluso Raimondo Orsini, Direttore della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – i numeri della green economy negli USA sono infatti molto più alti di quelli della brown economy da lui difesa”.

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