La messa al bando dei sacchetti per l’asporto delle merci in plastica, uno dei tanti pasticci legislativi dell’Italia che non riesce a rispettare regole e tempi anche quando è essa stessa a darseli, sta diventando un “caso” europeo per le polemiche insorte in merito alla diffusione del testo della proposta di nuova Direttiva sugli imballaggi e rifiuti da imballaggi che viene interpretata quale intervento a favore della Legge italiana. Ma non dirime, comunque, il problema della data di avvio delle sanzioni previste per la commercializzazione dei sacchetti non conformi.
Lunedì, 4 novembre 2013 la Commissione UE presenterà le nuove proposte emendative alla Direttiva sugli Imballaggi e Rifiuti da Imballaggio (94/62/CE) al fine di ridurre l’uso dei sacchetti di plastica (shopper).
La notizia di per sé rientra tra quegli annunci che la Commissione diffonde per comunicare le sue attività e per far conoscere agli interessati gli orientamenti dell’esecutivo in ordine ad alcune questioni che si ritiene debbano essere normate a livello di Unione europea.
Tale evento, in Italia, è divenuto fonte di polemiche prima ancora del suo svolgimento e di conoscere il testo, o meglio, a seguito di indiscrezioni diffuse sui contenuti della proposta.
Siamo di fronte, ancora una volta, al solito “pasticcio” italiano che si è tramutato in un penoso tormentone iniziato nel 2006 con la Legge Finanziaria del 2007 (L. n. 296 del 27 dicembre 2006), che, all’art. 1 (commi: 1129, 1130 e 1131), conteneva il divieto di commercializzazione dal 1° gennaio 2010 dei “sacchi per il trasporto delle merci… non biodegradabili o che entro la data prefissata non rispondessero ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario”.
Obiettivo dichiarato della norma era quello di: “ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, rafforzare la protezione ambientale e sostenere le filiere agro-industriali nel campo dei bio-materiali”.
Tuttavia, come ben sappiamo l’Italia non è mai puntuale nel rispetto delle scadenze che essa stessa fissa. Con D. L. n. 194/99, infatti, venne successivamente introdotta una proroga che spostava tale divieto al 1° gennaio 2011.
Contestualmente, all’epoca, si dava il via ad un programma di sperimentazione a livello nazionale per favorire la progressiva riduzione della commercializzazione di sacchi per l’asporto di merci che, secondo i criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello europeo, non risultassero biodegradabili.
Fin dall’inizio di questa partita per la messa al bando dei sacchetti di plastica tradizionali, ovviamente, forti pressioni ed interessi economici giocavano un ruolo fondamentale, soprattutto da parte di produttori e riciclatori di polimeri (il sistema muove in Italia oltre 4.000 addetti per un fatturato che fino ad un paio di anni fa sfiorava gli 800 milioni di euro), senza contare il ruolo dei compostatori e quello dei produttori di biopolimeri.
Dopo il divieto, dal 1° gennaio e per tutto il 2011, in commercio si è visto di tutto, dai sacchetti biobased o di origine petrolchimica a quelli in polietilene resi biodegradabili in tempi maggiori, meno costosi, ma non compostabili. Infatti, mentre la biodegradabilità consiste nella capacità delle sostanze e dei materiali organici con cui vengono fabbricati i sacchetti di scomporsi mediante l’attività enzimatica dei microrganismi; la compostabilità è la capacità del materiale organico di trasformarsi con l’aria e altri rifiuti organici, in compost ovvero terriccio ricco di sostanze organiche che può essere impiegato in agricoltura come ammendante e fertilizzante.
Poiché la Legge 296/2006 non differenziava fra i diversi tipi di sacchetto, creando problemi di interpretazione, bisognava definire la questione con un’altra Legge. Così, su proposta del Ministero dell’Ambiente, il Governo adottava nell’Agosto del 2011 un Ddl in materia di commercializzazione dei sacchetti monouso per asporto merci, che prevedeva l’esclusione dal divieto, oltre ovviamente a quelli biodegradabili conformi alle norme UNI EN 13432:2002, anche quelli con spessore superiore a 400 micron, aspetto quest’ultimo che non permise al provvedimento di avere il parere favorevole delle Regioni che chiedevano, oltre un regime transitorio per l’eliminazione delle scorte dei sacchetti non conformi, una soglia limite di 40-80 micron.
Nel frattempo, anche la Commissione UE si era mossa, aprendo nel maggio 2011 ad una Consultazione pubblica (secondo l’Associazione European Plastic Films che la impugnò, prese avvio proprio dalla decisione italiana di mettere al bando i sacchetti di plastica non biodegradabili), i cui risultati, poi diffusi nel settembre dello stesso anno, sarebbero stati presi in considerazione al fine di una revisione della Direttiva Imballaggi. Alla domanda più controversa: “Siete d’accordo sulla necessità di mettere al bando in Europa i sacchetti di plastica per la spesa?”, oltre il 70% di coloro che hanno partecipato alla consultazione si è dichiarato “d’accordo”.
Intanto, nelle sedi tecniche si aprivano ulteriori diatribe tra coloro che sostenevano che le plastiche addittivate, seppur biodegradabili, non sono conformi alla norma UNI EN 13432:2002 e quindi non compostabili, e chi riteneva che tali prodotti non danneggino la qualità del compost, impiegando solo più tempo a portare a termine il processo di degradazione. Questa tesi veniva categoricamente respinta dal Consorzio Italiano Compostatori (CIC).
Con la caduta del Governo Berlusconi a novembre 2011, la patata “bollente” passava al Governo Monti e al nuovo Ministro dell’Ambiente Clini.
Intanto, con un Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico l’entrata in vigore delle sanzioni previste per la commercializzazione degli shopper in plastica veniva sospesa già nel dicembre 2011 e nel gennaio 2012 l’art. 2 del D.L. “Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale” era fissata al 31 luglio 2012 , data slittata poi al 31 dicembre 2012, in sede di conversione in Legge n. 28/2012.
Per quelli riutilizzabili di diverso spessore a seconda che siano con maniglia esterna o interna: 200 micron (uso alimentare) o 100 micron (altri usi) i primi, 100 micron e 60 micron (uso alimentare o non) i secondi, nonché quelli biodegradabili non conformi alla UNI EN 13432:2002 le sanzioni sarebbero state avviate a decorrere dal 60° giorno dall’emanazione di decreti di natura non regolamentare, quale quello che demandava (comma 2, Art. 2) al Ministro dell’Ambiente e a quello dello Sviluppo Economico il compito di individuare “eventuali ulteriori caratteristiche tecniche ai fini della commercializzazione dei sacchi di asporto merci, anche prevedendo forme di promozione della riconversione degli impianti esistenti, nonché in ogni caso, le modalità di informazione ai consumatori”.
Il summenzionato Decreto Interministeriale avente ad oggetto “Individuazione delle caratteristiche tecniche dei sacchi per l’asporto delle merci” è stato emanato il 18 marzo 2013 (G.U. n. 73 del 27 marzo 2013) definiva le caratteristiche tecniche per sacchetti in base alle categorie (uso alimentare e non) e alle tipologie.
Il Decreto, tuttavia, vincolava la sua efficacia alla conclusione con esito favorevole della procedura di comunicazione alla Commissione UE che ha 90 giorni di tempo per esprimersi.
Ma il D.L. n. 2/2012 non parla di “entrata in vigore” del Decreto, bensì di “emanazione”. Di qui è sorta una “querelle” sulla data del divieto di commercializzazione degli shopper non conformi, anche se i competenti uffici ministeriali, in via informale, hanno ribadito che il regime sanzionatorio non sarebbe scattato prima della piena entrata in vigore del Decreto ovvero alla conclusione, con esito favorevole, dell’esame del testo presso la Commissione UE.
Poiché la Gran Bretagna presentava formalmente opposizione alla Legge italiana n. 28/2012 e di conseguenza al Decreto che ne discende, per contrasto con i principi di libera circolazione delle merci e di concorrenza quali sanciti nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la decisione della Commissione veniva prorogata di altri 90 giorni, spostando il termine dal 13 giugno al 13 settembre 2013. Pertanto, se non fossero intervenute altre obiezioni, le sanzioni sarebbero scattate a partire dal 13 novembre 2013.
Sopraggiunto il fatidico 13 settembre senza che ci siano state decisioni in merito, i fautori della messa al bando dei sacchetti di plastica che non siano biodegradabili e compostabili dichiarano che finalmente sarebbero scattate le sanzioni per la messa in commercio dei sacchetti non conformi, in virtù del “silenzio assenso”.
Ma la Direzione Generale Ambiente della Commissione UE, richiesta di delucidazioni in merito rispondeva che “Il decreto è stato notificato e poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale prima della fine del periodo di sospensione; questo fatto è attualmente in corso di verifica. Tuttavia, è improbabile che l’Italia voglia immediatamente far entrare in vigore il decreto, considerato che sia il Regno Unito che i Paesi Bassi hanno presentato pareri circostanziati durante il periodo di sospensione, che devono essere tenuti in considerazione”.
Il Vice-Primo Ministro della Gran Bretagna Nick Clegg annunciava il 14 settembre 2013 che il Governo di Sua Maestà aveva stabilito di introdurre una tassazione di 5 pences per sacchetto di plastica, dal quale saranno esentati i sacchetti in materiali bioplastici.
Questa decisione veniva considerata in Italia “come un’importante inversione di tendenza, si tratta infatti di una misura già tentata dal nostro Paese prima di arrivare alla più recente e stringente messa al bando – dichiarava il Ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del Mare, Andrea Orlando – Se l’UE, finalmente, assumerà una posizione univoca su questo tema, giungerà anche una spinta fondamentale allo sviluppo delle bioplastiche, che costituiscono un settore fondamentale per la Green economy e un volano essenziale per la ricerca e l’innovazione finalizzata ad uno sviluppo sostenibile”.
Nel frattempo la Commissione UE non si esprime sul Decreto italiano, ma stringe i tempi sull’elaborazione della nuova Direttiva imballaggi e rifiuti da imballaggi, tant’è che il 23 ottobre 2013 Legambiente annuncia con una nota che “La Commissione Europea mette fine al dibattito sul bando italiano relativo ai sacchetti di plastica con una proposta di direttiva europea, ancora in fase di ultimazione, che prevede la possibilità di tassare o di mettere al bando gli shopper tradizionali come previsto nell’esperienza italiana, considerata a tutti gli effetti un esempio virtuoso e ripetibile in tutti gli altri stati membri. Legambiente ha visionato in anteprima la bozza della direttiva all’interno della quale si sancisce, tra le altre cose, che il principio della tutela ambientale può derogare a quello della libera circolazione delle merci”.
L’annuncio suscitava immediatamente le reazioni contrastanti delle varie Associazioni di categoria del settore. Tra le altre:
– per Assobioplastiche (l’Associazione che rappresenta la filiera italiana delle plastiche biodegradabili e compostabili) la proposta di Direttiva era “un importante riconoscimento per la legge italiana sugli shopper”;
– CNA Produzione Nazionale, una delle Associazioni che più si è opposta alla messa al bando dei sacchetti, tanto da presentare nell’aprile scorso una formale denuncia alla Commissione Europea per inadempienza al diritto comunitario, criticava la diffusione della bozza di Direttiva nei confronti degli “uffici competenti di Bruxelles tenuti in materia a rispettare precise regole di riservatezza”, e ribadiva che la deroga contenuta nella proposta legislativa “la cui pubblicazione è attesa per il prossimo 15 Novembre, orientata a derogare all’Art. 18 della Direttiva Imballaggi e ai principi comunitari sulla libera circolazione delle merci, lasciando campo libero ai singoli Stati membri, sarebbe molto grave e del tutto incomprensibile e ingiustificato”.
Ends Europe (Agenzia di informazioni e servizi ambientali) aveva diffuso on line il 22 ottobre la proposta di Direttiva (Proposal for Directive of the European Parliament and of the Council amending Directive 94/62/EC on packaging and packaging waste to reduce the consumption of lightweight plastic carrier bags) che prevederebbe la possibilità di introdurre diverse misure anti-shopper che vanno dalla fissazione di target nazionali di immissione dei sacchetti, all’introduzione di tasse, a restrizioni alla vendita, come per la messa al bando italiana. In merito a spessore e biodegradabilità, la soglia sarebbe di 50 micron e senza riferimenti di esenzioni per la biodegradabilità.
Arrivati a questo punto, la Commissione UE ha anticipato i tempi, annunciando la presentazione della proposta al 4 novembre 2013. Vedremo se ci saranno novità, rispetto al draft diffuso.
Tuttavia, tenendo conto che la proposta seguirà la prassi e i tempi previsti e che potrebbe subire modifiche in seno al Consiglio e al Parlamento UE, questo trasferimento delle polemiche italiane in sede europea, serve a dirimere la questione dell’inizio dell’introduzione delle sanzioni previste dalla legislazione italiana o si cerca di trovare appigli e cavilli per “fare” o “non fare” rispettare regole e tempi che ci si è dati, al di là del merito della specifica questione?