Le conclusioni del Dossier “Disastri impuniti” di Legambiente, che ha pure lanciato assieme a Libera una petizione affinché si faccia presto ad approvare la Legge che inserisce alcune tipologie di reati ambientali nel Codice penale, sono le stesse a cui è giunto l’organo di cooperazione giudiziaria Eurojust che bolla come esigue le sanzioni per tali reati, rispetto ai profitti enormi che ne derivano.
Nel Dossier di Legambiente “Disastri impuniti. La mappa dell’Italia ferita e bloccata dagli ecocriminali e dalla giustizia negata”, pubblicato a fine novembre 2014, l’Associazione del Cigno Verde aveva elencato 17 casi di ecoprocessi che in Italia sono già prescritti o che rischiano la stessa sorte.
Si tratta di storie di inquinatori ed ecomafiosi, ma anche storie di giustizia negata, anche per l’impossibilità di promuovere capi di imputazione in campo ambientale, che riguardano tutta la Penisola, senza distinzione tra nord e sud.
“Il problema è che in Italia ci sono processi lunghi, prescrizione breve e pene esigue in materia ambientale”, si legge nel Rapporto, dal momento che in questo campo i reati contestabili sono ancora oggi di mera natura contravvenzionale.
Per questo, Legambiente e Libera, l’Associazione che si occupa di sollecitare e coordinare la società civile contro tutte le mafie, hanno promosso una petizione on line, alla quale hanno aderito già 23 Associazioni nazionali, per chiedere al Senato di approvare celermente la legge sui delitti ambientali nel Codice penale. Ad un anno di distanza dall’approvazione a larghissima maggioranza alla Camera del disegno di legge che inserisce 4 delitti ambientali nel nostro Codice penale (inquinamento ambientale, disastro ambientale, trasporto e abbandono di materiale radioattivo, impedimento al controllo), il testo è fermo presso le competenti Commissioni del Senato per rilievi di ordine tecnico che sarebbero facilmente superabili con poche modifiche, come spiegano i promotori dell’iniziativa. Approvarlo prima possibile rappresenterebbe, invece, una pietra miliare nella lotta alla criminalità ambientale, garantendo una tutela penale dell’ambiente degna di questo nome e, soprattutto, assicurando strumenti investigativi fondamentali per le forze dell’ordine e la magistratura.
Alle stesse conclusioni di basse sanzioni, a fronte di rilevanti profitti derivanti dai reati ambientali, è pervenuto Eurojust, l’organismo dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria, nel suo primo Rapporto sui Crimini Ambientali, presentato il 21 novembre 2014 a Bruxelles, che ha sottolineato come i crimini ambientali siano scarsamente perseguiti dalle autorità dei Paesi membri, nonostante il giro di affari che si muove attorno agli ecoreati sia notevole e in grado di alimentare ulteriori forme di criminalità (l’OCSE ha stimato il valore in 30-70 miliardi di dollari all’anno).
Tra le altre indicazioni che emergono dal Rapporto si segnalano:
– i rapporti tra le organizzazioni criminali e il traffico illecito di rifiuti sono sottovalutati o più semplicemente non vengono indagati;
– la mancanza di coordinamento tra le autorità competenti sia a livello nazionale che internazionale, ad esempio, i Pubblici ministeri non ricevono le necessarie informazioni dalle autorità doganali o veterinarie;
– le autorità nazionali non riescono ad affrontare, per lo più, i casi in modo transfrontaliero;
– l’attuazione della legislazione UE a livello nazionale è diversa tra i vari Stati membri, ostacolando di fatto un approccio transfrontaliero armonizzato nella lotta contro la criminalità ambientale;
– l’assenza in alcuni Stati membri di proprie strutture adeguate organizzative, quali, ad esempio, le unità di polizia o procuratori appositi che concentrino la propria attività sulla criminalità ambientale, come avviene in Svezia, Regno Unito e Paesi Bassi che hanno specifica magistratura.
“Questo rapporto è un campanello d’allarme per esperti e responsabili politici circa le gravi conseguenze di questa relativamente nuova e sempre più diffusa tipologia di reati – ha osservato il Presidente di Eurojust, Michèle Coninsx – Le organizzazioni criminali sono attive nei reati ambientali in quanto le sanzioni sono basse. Questa situazione richiede un’azione transfrontaliera e appropriate strutture organizzative da mettere in atto negli Stati membri”.
Tra la lunga lista dei reati ambientali sono preponderanti:
– l’esportazione illegale da Paesi membri dell’UE verso Paesi terzi di rifiuti pericolosi;
– diverse forme di inquinamento delle acque negli Stati membri dell’UE;
– esportazione illegale di uova di uccelli e scimmie.
Il Rapporto contiene anche delle indicazioni per il contrasto al fenomeno, tra cui:
– l’attività di intelligence è essenziale per questo tipo di criminalità, per cui è necessario sviluppare una migliore raccolta di informazioni a livello di Stati membri attraverso un approccio multi-disciplinare, in cui le autorità dei diversi Stati collaborino meglio e condividano buone pratiche e competenze;
– coinvolgere anticipatamente Eurojust nel coordinamento delle indagini e delle azioni penali e un uso più sistematico dei suoi strumenti – squadre investigative comuni, riunioni di coordinamento e centri di coordinamento – per combattere in modo più efficace il grave fenomeno della criminalità ambientale transnazionale.
“Una delle mie azioni prioritarie in qualità di Commissario è di costruire la fiducia dei cittadini nei sistemi giudiziari dell’UE – ha commentato Vera Jourová – Uno degli elementi per instaurare questa fiducia è di perseguire e fare in modo che i criminali siano messi dietro le sbarre. Allo stesso tempo, dobbiamo tutelare i diritti dei cittadini e dello Stato di diritto per il rilascio degli ordini di ricerca e cattura. Per questo è fondamentale che i Pubblici ministeri siano coinvolti fin dall’inizio quando si combatte i reati transfrontalieri. La criminalità ambientale minaccia la vita umana, la salute e le risorse naturali. Questi crimini interessano l’intera società, per cui devono essere indagati con la stessa severità di altri reati”.