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Imprese grandi emettitrici GHG: rendiconti lacunosi su rischi clima

Il 3° rapporto annuale della serie “Volare al buio” di Carbon Tracker Initiative sostiene che la stragrande maggioranza di 140 imprese tra quelle coinvolte nell’iniziativa Climate Action 100+, alcune delle quali fra le più grandi emettitrici globali di gas serra, non riescono a fornire dati adeguati sui rischi che devono affrontare derivanti dal cambiamento climatico e dalla transizione emissioni nette zero, nonostante le crescenti preoccupazioni degli investitori.

140 grandi imprese, alcune delle quali con le emissioni più elevate del mondo, non riescono complessivamente a spiegare in che modo la crisi climatica influisce sulle loro attività, e i loro principali revisori sarebbero altrettanto inefficaci.

Lo rivela il Rapporto Flying Blind: In a Holding Pattern” che Carbon Tracker Initiative, think tank finanziario senza scopo di lucro che cerca di promuovere un mercato energetico globale sicuro dal punto di vista climatico allineando i mercati dei capitali alla realtà climatica, ha pubblicato il 22 febbraio 2024,  il terzo della serie annuale che valuta se le aziende e i loro revisori stanno considerando la transizione climatica ed energetica nei loro rendiconti finanziari ed audit.

Gli investitori sono sempre più preoccupati per l’impatto finanziario del cambiamento climatico e della transizione energetica, mentre gli organismi normativi e le autorità di regolamentazione sono stati chiari sul fatto che le aziende dovrebbero riflettere tali impatti nei loro conti. Tuttavia, secondo Carbon Tracker, le imprese e i loro revisori lasciano gli investitori all’oscurosolo il 40% fornisce alcune informazioni nei rendiconti finanziari e nelle relazioni di revisione, un po’ di più rispetto al 35% di un anno fa.

Queste aziende hanno un’esposizione significativa ai rischi climatici e di transizione e la maggior parte ha obiettivi di riduzione delle emissioni – ha dichiarato Barbara Davidson, responsabile contabilità, audit e divulgazione e autrice del rapporto – Tali questioni possono avere un impatto significativo sulle loro attività, sui bilanci e sui flussi di cassa. Gli investitori e le autorità di regolamentazione hanno bisogno urgente di informazioni su come le aziende riflettono oggi questo fenomeno nei loro bilanci. Se il management e gli investitori basano le loro decisioni su informazioni incomplete o errate, come attività e profitti potenzialmente sopravvalutati e passività sottostimate, allora gli investitori, compresi i fondi pensione e gli azionisti al dettaglio, rischiano perdite finanziarie significative a fronte di una transizione energetica disordinata”.

Lo studio ha preso in esame 140 aziende, parte delle quali tra i maggiori emettitori di gas serra a livello mondiale, interessate da Climate Action 100+, l’iniziativa guidata dagli investitori per garantire che le maggiori aziende produttrici di gas serra a livello mondiale intraprendano le azioni necessarie sul cambiamento climatico, tutte soggette a requisiti contabili e di revisione simili, per la maggior parte controllate dalle principali  società di revisione.

Analizzando i loro rendiconti finanziari e le relative relazioni di audit per gli anni finanziari del 2022, tramite la metodologia Climate Accounting and Auditing Assessment che include metriche basate sugli standard contabili e di audit pertinenti esistenti, il rapporto ha rilevato che:
solo il 37% dei bilanci delle aziende fornisce agli investitori alcune informazioni su come incorporano i rischi finanziari legati al clima e per il restante 63% gli investitori non sono in grado di dire se i bilanci riflettono gli impatti climatici e quindi “non hanno una visione sulle opinioni del management sulla transizione energetica”;
– “l’81% delle aziende continua ad omettere i dati più basilari e accessibili relativi a  ipotesi e stime quantitative rilevanti [input] utilizzate nel reporting finanziario”, nonostante società identifichino tali input come significativi ai fini della redazione del bilancio, e sono esposti a notevole incertezza di giudizio e di stima;
– il 70% dei rendiconti finanziari delle aziende non è coerente con le altre narrazioni sul clima. “Le discrepanze potrebbero essere la prova di errori materiali, scarsa governance aziendale o potenziale greenwashing perché spesso dipendono dall’uso di tecnologie che non sono sviluppate o non sono disponibili su larga scala, come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, senza alcuna conoscenza degli impatti sul bilancio”.

Il Rapporto rileva che le imprese e i revisori sembrano generalmente riluttanti a fornire informazioni relative al clima, sebbene quelli che operano in UE e Gran Bretagna continuino a fornire più informazioni rispetto a quelli negli Stati Uniti e nell’Asia-Pacifico. Le aziende statunitensi spesso contestano le richieste degli investitori di divulgazioni sul clima e nessuno dei rapporti di audit statunitensi ha indicato che il clima o la transizione energetica erano stati presi in considerazione.

Il Rapporto afferma che è fondamentale che il management e i revisori considerino una serie di rischi e strategie che possono “influenzare in modo significativo l’attività di un’azienda, così come il suo bilancio, la redditività e le previsioni dei flussi di cassa futuri”.

Tra i rischi vengono inclusi:
Rischi di transizione, come la “tecnologie dirompenti” ovvero le tecnologie capaci di rivoluzionare il funzionamento di un mercato o di un settore, il cambiamento delle preferenze dei consumatori, l’azione politica e le normative sulle emissioni, e il conseguente calo della domanda, dei prezzi, dei margini o della produzione.
Rischi fisici come eventi meteorologici estremi e cambiamenti di temperatura, i conseguenti costi di assicurazione, consolidamento, sostituzione e/o spostamento di risorse produttive.
Obiettivi e strategie aziendali correlati, compresi i costi di riduzione delle emissioni e il prepensionamento dei lavoratori in attività al alta intensità di carbonio.

Gli investitori devono capire se le imprese potrebbero affrontare perdite significative a fronte di tali rischi – afferma il Rapporto – compreso se le attività genereranno i rendimenti originariamente attesi, se le passività scadranno prima del previsto e se ne sorgeranno di nuove”.

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