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“Menu for Change”: scegli il tuo cibo per fermare i cambiamenti climatici

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In occasione del ventennale di “Cheese” (Bra, 15-18 settembre 2017), l’evento promosso da Slow Food per sostenere le produzioni di formaggi artigianali di qualità, favorendo l’utilizzazione del latte crudo, la biodiversità delle razze, il legame con il territorio, il benessere animale, il rispetto per il paesaggio, i saperi legati ai mestieri del latte (pastori, casari, affinatori e selezionatori), e mostrando come tutti questi elementi siano profondamente connessi a formaggi più interessanti e complessi sotto il profilo gustativo, il fondatore dell’Associazione Carlo Petrini ha lanciato la Campagna internazionale di comunicazione e raccolta fondi “Menu for Change. Change your food. Stop climate change” per evidenziare la relazione tra produzione alimentare e cambiamenti climatici.

A chi si domanda perché un’associazione che si occupa di cultura alimentare dovrebbe promuovere una campagna sulle questioni dei cambiamenti climatici posso rispondere questo: è incosciente chi si bea della qualità alimentare di un prodotto senza chiedersi se a monte c’è distruzione dell’ambiente e sfruttamento del lavoro – ha affermato l’Ambasciatore Speciale della FAO in Europa per “Fame Zero“, l’iniziativa di supporto ad uno dei temi fondamentali degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 – Tutti noi siamo responsabili di quello che mangiamo e anche di quello che coltiviamo: il più grande terreno da coltivare è la lotta allo spreco. Tutte le istituzioni internazionali ripetono che siccome nel 2050 saremo 9 miliardi e mezzo ‘bisogna produrre più cibo’, ma già oggi abbiamo cibo per 12 miliardi di viventi. Significa che un’ampia parte di quello che viene raccolto, trasformato e venduto finisce nella pattumiera“.

Secondo Petrini, è importante non solo non sprecare, ma cambiare i sistemi produttivi che si stano concentrando nelle mani di pochi devastando le filiere alimentari dei Paesi più come quelli africani.
Tonnellate di pomodori arrivano in Italia dalla Cina, vengono lavorati e colonizzano i Paesi africani, invasi da scatole di concentrato prodotto da aziende con nomi come Gino e la bandiera tricolore sul barattolo – ha proseguito Petrini – Questi marchi simil-italiani stanno distruggendo le produzioni agricole africane perché hanno prezzi perfino più bassi delle loro. Il risultato è che i giovani abbandonano la terra e vanno a lavorare come schiavi nei campi del Sud Italia. Siamo tutti chiamati in causa, le piccole azioni moltiplicate per milioni di persone possono cambiare il mondo“.

A questi paradossi del mercato si aggiunge l’impatto devastante dei cambiamenti climatici, si legge in una nota di Slow Food che cita l’aumento degli eventi climatici estremi che devastano allevamenti e coltivazioni, il mare che sale e ruba terre coltivabili, e una sistema agroalimentare che alimenta tutto questo: il settore agricolo contribuisce ad emettere il 21% di emissioni di gas serra globali (il cui 70% deriva dalla fermentazione enterica degli allevamenti industriali), secondo solo alle attività legate all’energia (37%).
Siamo in chiusura della seconda estate più calda e della quarta più secca dal 1753, in Italia e in buona parte dell’Europa mediterranea – ha ricordato il climatologo Luca Mercalli – Un recente studio francese ha esaminato gli effetti dei cambiamenti climatici sulle razze animali e i formaggi. Anche in alta montagna l’aumento delle temperature sta cambiando il modo di condurre gli alpeggi e i malgari sono costretti a tornare in pianura anche con un mese di anticipo. Siccità e parassiti arrivano dove finora non si erano mai visti“.
Dopo il record del 2003, tutte le estati sono state più calde della media, con conseguenze che l’agricoltura e l’alimentazione pagano fino in fondo.
Gli effetti dell’andamento climatico anomalo del 2017 si estendono dal campo alla tavola con il contenimento produttivo di tutti prodotti base della dieta mediterranea con il raccolto di pomodoro per passate, polpe, concentrati e sughi da conserve che Coldiretti ha stimato in calo del 12% rispetto allo scorso anno, mentre per il grano duro da pasta si prevede una contrazione media attorno al 10%, il raccolto di mele tagliato del 23% con punte del 60% in Trentino, la vendemmia è ridotta del 25% e la campagna di raccolta delle olive 2017/18 si prospetta una delle peggiori degli ultimi decenni forse addirittura inferiore all’annata pessima in termini quantitativi dello scorso anno con 182 mila tonnellate.

Dal 2030 la riduzione dei raccolti vedrà un aumento esponenziale dei danni rispetto ai benefici – hanno avvertito i ricercatori della Società Meteorologica Italiana, Guglielmo Ricciardi e Alessandra Buffai – Non ci dobbiamo però concentrare solo sulla valutazione delle attività principali, ma valutare le attività di preproduzione (mangimi e concimi) e di postproduzione (trasporto, stoccaggio, packaging). Le emissioni di CO2, poi, non sono l’unico parametro da considerare: vanno tenuti in conto anche il contesto geografico di produzione, la qualità dei suoli e il loro livello di tossicità e l’uso in quanto risorsa scarsa, l’utilizzo di acqua e di biosfera (water footprint ed ecological footprint)“.

Sebbene anche la FAO sottolinei la necessità di andare verso un’indagine multiprospettica, che tenga conto degli influssi dei cambiamenti climatici su sicurezza alimentare, nutrizione e perdita di biodiversità, siamo ancora lontani dall’avere una visione complessiva della filiera.
Così come troppo poco sappiamo del funzionamento globale degli oceani, come ha confermato il biologo marino Silvio Greco, Dirigente di ricerca dell’ISPRA e membro del gruppo di lavoro creato dal Ministero dell’Ambiente che si occuperà della Strategia marina italiana: “Mentre in terra il cambiamento climatico offre diversi segnali, nelle acque questo non avviene. Sappiamo per certo solo che l’oceano fa qualcosa di straordinario: ci dà il 50% del nostro respiro, immagazzinando CO2. Eppure noi lo stiamo mettendo in crisi“.
Quest’anno i biologi australiani hanno decretato la morte della Grande barriera corallina, il reef più vasto del pianeta con oltre 2300 km di coralli ormai quasi interamente sbiancati – ha proseguito Greco – Ma non va meglio in acque a noi più familiari. Il Mediterraneo è ancora più compromesso. Al problema dell’innalzamento dei mari qui si sommano la forte salinità di un ambiente chiuso, l’acidificazione, l’arrivo di 300 specie aliene invasive“.
Il Mare Nostrum conserva il 25% della biodiversità marina mondiale e ospita il 30% dei traffici commerciali, ma ora conta anche 1 tonnellata di plastica ogni 3 tonnellate di pesce. Di fronte a tutto questo “non possiamo fare come Ulisse davanti alle sirene – ha concluso Greco – la comunità scientifica è costretta a sentire il grido della Terra e a dire le cose come stanno“.

Ma anche noi possiamo fare molto, ha concluso la nota di Slow Food: “scegliere cosa mettere nel piatto è un atto politico“.

Eleonora Giovannini

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