Economia e finanza

Mediterraneo al bivio: tra instabilità e sviluppo sostenibile

È stato presentato “Mediterranean Economies 2024“, l’annuale volume del CNR sulle tendenze economiche e sociali del Mediterraneo, che mette in luce disuguaglianze, impatti geopolitici e questioni legate al cambiamento climatico e alle migrazioni, temi cruciali per il futuro della regione, evidenziando criticità e proiezioni future.

La regione mediterranea si trova in un momento cruciale, in cui convergono cambiamenti geopolitici, sfide economiche e pressioni ambientali. La Nuova agenda per il Mediterraneo offre un quadro strategico per promuovere la stabilità, la resilienza e la crescita sostenibile. Tuttavia, il suo successo dipende dalla necessità di affrontare questioni strutturali profondamente radicate, di promuovere la cooperazione regionale e di bilanciare le influenze globali. Cogliendo le opportunità offerte dalla trasformazione digitale, dall’energia verde e dallo sviluppo inclusivo, il Mediterraneo può affrontare le sue sfide complesse ed emergere come una regione più integrata e resiliente nell’economia globale.

È quanto emerge dal volume Mediterranean Economies 2024. The New Agenda for the Mediterranean. Perspectives and Challenges “(ME24), il Rapporto curato dall’Istituto di Studi sul Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-ISMed) e dal Dipartimento di Scienze umane e sociali, patrimonio culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-DSU) che è stato presentato il 13 marzo 2025 nel corso di un evento dedicato a Napoli presso l’Università “Parthenope”.

Il rapporto contiene le direttrici dell’evoluzione economica e sociale del Mediterraneo, con le criticità e le analisi che abbiamo, ma anche con una proiezione sul futuro – ha affermato la Presidente del CNR, Maria Chiara CarrozzaÈ un rapporto che ogni anno presentiamo e che fa un po’ il punto sull’evoluzione del Mediterraneo e anche nel rapporto con l’Italia“.

L’edizione 2024 della serie indaga le tematiche al centro della “Nuova Agenda per il Mediterraneo” dell’UE, adottata con una Comunicazione nel febbraio 2021,  volta a delineare le priorità e il quadro della politica dell’UE nei confronti della regione nell’ottica di un partenariato rafforzato, accompagnata da un Piano di investimenti economici per stimolare la ripresa socioeconomica a lungo termine nel vicinato meridionale.

L’analisi, si concentra sui 5 pilastri fondamentali dell’Agenda: sviluppo umano e governance, resilienza e prosperità, pace e sicurezza, migrazione e mobilitàtransizione verde. Attraverso i contributi di esperti, il volume esamina le principali criticità presenti nella regione mediterranea. Tra i temi trattati spiccano le conseguenze geopolitiche della crisi in Medio Oriente dell’ottobre 2023, il crescente ruolo di Russia e Cina nella regione, e gli investimenti infrastrutturali in MENA e Africa, nel contesto della competizione tra G7 e BRICS. In evidenza l’urgenza di affrontare questioni cruciali come il degrado ambientale, la scarsità d’acqua e le disuguaglianze di genere, analizzando al contempo le complesse relazioni tra politiche migratorie e crescita economica. Di fronte a pressioni ambientali, disuguaglianze socio-economiche e instabilità politica, il volume sottolinea la necessità di strategie innovative e di una maggiore integrazione regionale per trasformare queste sfide in opportunità di crescita e sviluppo, con analisi critiche e raccomandazioni concrete rivolte a decisori politici, accademici e stakeholder.

Di seguito la sintesi dei curatori del volume: Salvatore Capasso, Direttore del Dipartimento di Scienze sociali e umanistiche, beni culturali del CNR e Professore ordinario presso l’Università di Napoli – “Parthenope”, e Giovanni Canitano, Tecnologo senior presso l’Istituto di Studi sul Mediterraneo del CNR.

Geopolitica e sicurezza
Gli sviluppi in Medio Oriente e Nord Africa (MENA) tra la metà del 2023 e luglio 2024 indicano la continuazione di tendenze più ampie di multipolarismo conflittuale, in un contesto di crescente competizione tra le grandi potenze negli investimenti infrastrutturali e di connettività nel Sud globale. Caratterizzati da nuove forme di transnazionalismo e da un’accomodazione con regimi autoritari, gli stati occidentali hanno generalmente mostrato scarsa attenzione alle fratture più profonde dei conflitti nella regione.
I conflitti regionali, in particolare il conflitto israelo-palestinese (aggravatosi dopo l’attacco di Hamas a Israele nell’ottobre 2023), evidenziano questo declino dell’influenza occidentale e la crescente competizione tra potenze globali, come G7 e BRICS. Russia e Cina espandono la loro presenza mentre la stabilità in Nord Africa resta precaria (Tunisia, Algeria-Marocco, crisi economica in Egitto).

Resilienza economica e transizione digitale
L’integrazione economica tra UE e Mediterraneo meridionale è rimasta incompleta. Sebbene iniziative UE come il NDICI investano in crescita sostenibile e digitale, persistono sfide legate all’alto debito, instabilità politica e bassa diversificazione economica. ICT e smart cities possono migliorare produttività e sostenibilità, ma la transizione è ostacolata da sussidi ai combustibili fossili e infrastrutture inadeguate.
A trent’anni dalla Dichiarazione di Barcellona, il divario economico tra il Mediterraneo meridionale e l’Europa non solo persiste, ma in molti casi si è ampliato. Il PIL pro capite della Giordania è sceso dal 26,6% della media euro-mediterranea nel 1994 al 19,9% nel 2021; il Libano dal 33,4% al 25,9%; la Libia, un tempo tra le economie più forti della regione, è crollata dal 68,3% al 39,6%.
L’instabilità politica e le crisi economiche ostacolano la crescita. Il Libano, in crisi finanziaria dal 2019, è afflitto da iperinflazione e collasso bancario, aggravati dall’esplosione del porto di Beirut nel 2020. La Siria, devastata da oltre un decennio di guerra, ha visto il PIL pro capite ridursi al 6,4% della media euro-mediterranea. Anche la Palestina è intrappolata in un conflitto che impedisce lo sviluppo.
La dipendenza dal petrolio non è più una garanzia di crescita. La Libia, un tempo gigante petrolifero, ha visto crollare la produzione a causa di conflitti interni e instabilità. Inoltre, la guerra in Ucraina e la transizione energetica europea stanno riducendo la domanda di idrocarburi.
Dopo la crisi COVID, nel 2021 alcune economie hanno registrato una forte ripresa: Libia +153,5%, Turchia +11,4%, Marocco +8%. Tuttavia, nel 2023 la crescita si è stabilizzata a livelli bassi: Turchia +4,5%, Tunisia e Libano quasi a zero.
L’indebitamento estero è esploso, con il Libano a +374,6% ed Egitto a +260,2%. Il servizio del debito assorbe il 20% del PIL in Libano e il 10% in Tunisia e Giordania, limitando gli investimenti pubblici.
Cambiamenti strutturali evidenziano la crisi del settore agricolo: l’occupazione agricola in Turchia è scesa dal 44% nel 1994 al 16,7% nel 2022, mentre in Egitto è calata dal 35,2% al 18,7%. Tuttavia, la diversificazione economica rimane un miraggio, con Algeria e Libia ancora dipendenti dal petrolio e paesi come Tunisia e Marocco fortemente legati al turismo (8% del PIL).
In definitiva, senza riforme sostanziali e stabilità politica, il Mediterraneo meridionale rischia di rimanere bloccato in una stagnazione economica, con crisi del debito, dipendenza dalle fonti energetiche tradizionali e instabilità politica come principali fattori di rischio.

Migrazione e mobilità
Il cambiamento climatico sta trasformando profondamente il Mediterraneo, con impatti diretti sull’agricoltura e sulle migrazioni. L’aumento delle temperature, le siccità prolungate e gli eventi estremi stanno riducendo la produttività agricola, soprattutto nel Mediterraneo meridionale, spingendo molte persone a migrare in cerca di migliori condizioni economiche. I dati mostrano una correlazione tra il declino agricolo e l’aumento dei flussi migratori, con una migrazione interna più marcata nei paesi del sud e una maggiore emigrazione verso l’esterno nei paesi del nord. Questa dinamica rischia di ampliare le disparità economiche tra le regioni, accelerando il riequilibrio della forza lavoro. Per affrontare queste sfide, servono politiche mirate per la resilienza agricola, la cooperazione regionale e lo sviluppo economico sostenibile.

Transizione verde e sicurezza energetica
La regione MENA detiene il 52% delle riserve petrolifere mondiali, ma affronta pressioni ambientali e richieste di decarbonizzazione. L’energia solare e l’idrogeno emergono come settori strategici, ma la dipendenza da combustibili fossili e la volatilità geopolitica ostacolano la transizione. L’UE spinge verso una maggiore sicurezza energetica con investimenti nel Green Deal e meccanismi di adeguamento delle emissioni[1].
I combustibili fossili restano la principale fonte di energia a livello globale, con il Medio Oriente e Nord Africa (MENA) tra i maggiori consumatori e produttori. Arabia Saudita e Iran, oltre che produttori, risultano tra i principali consumatori di petrolio e gas naturale. Egitto è uno dei maggiori utilizzatori di energia in Nord Africa. L’Italia è tra i paesi europei con il più alto consumo di gas naturale (2,35 exajoule).
Si riscontra il boom di importazioni petrolifere in Europa. Le importazioni di petrolio in Europa sono aumentate dell’11,2% nel 2022, superando i 14 milioni di barili al giorno. Parallelamente, le esportazioni di petrolio dal Medio Oriente sono cresciute dell’8,7%, consolidando il ruolo della regione come fornitore strategico.
L’Europa spinge sulle rinnovabili, ma resta dipendente dai fossili.  Spagna, Francia e Italia continuano a essere tra i principali consumatori di petrolio e gas nella regione.
MENA ancora dipendente dai fossili, transizione lenta. La produzione di gas naturale in Iran ha raggiunto 259,4 miliardi di metri cubi, rappresentando il 6,4% della produzione globale. La regione MENA mantiene una forte dipendenza dai combustibili fossili, con una transizione energetica più lenta rispetto all’Europa.
In conclusione, la transizione energetica è in corso, ma il petrolio e il gas naturale restano dominanti. L’Europa accelera sulle rinnovabili, mentre il Medio Oriente e il Nord Africa consolidano il loro ruolo di fornitori strategici nel mercato globale.

Sviluppo umano e governance
La governance nel Mediterraneo è frammentata. L’UE promuove riforme amministrative e investe nell’istruzione per ridurre il divario di sviluppo, ma le disuguaglianze di genere e la sottorappresentazione femminile nei settori scientifici restano problemi critici. La digitalizzazione e il patrimonio culturale possono favorire crescita sostenibile e dialogo interculturale, ma richiedono politiche mirate e inclusione sociale.
Approfondendo la questione di genere nell’area mediterranea, il volume sottolinea come nei paesi in cui le donne sono attivamente coinvolte nella ricerca e nell’innovazione, si osservano benefici significativi in termini di crescita economica e progresso sociale. Tuttavia, persistono ostacoli culturali e strutturali che limitano la presenza femminile nei settori STEM, contribuendo a un divario di genere ancora marcato. Iniziative come Horizon Europe e PRIMA favoriscono la partecipazione delle donne nella scienza, mentre programmi di mentorship e finanziamenti mirati sono essenziali per ridurre le disparità. Per costruire un futuro più equo e sostenibile, i paesi mediterranei devono adottare politiche efficaci che garantiscano pari opportunità nell’accesso all’istruzione e alla ricerca, contrastando discriminazioni e stereotipi di genere.


Articoli simili

Lascia un commento

* Utilizzando questo modulo accetti la memorizzazione e la gestione dei tuoi dati da questo sito web.